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mercoledì 20 novembre 2013

Agnostici contro Atei :-)

Salve.

Da agnostico senza speranza, mi è capitato qualche giorno fa di avere una vivace quanto interessante discussione con un ateo sull'eterno, irrisolvibile tema "Atei contro Agnostici - Chi dei due è davvero razionale?".
Sì, lo so: a volte a me e ad altri piace farci del male. 

Ve la ripropongo qui (sempre che ve ne freghi qualcosa), ma se avete anche un flebile interesse per l'argomento vi suggerirei di leggerla, perché sia il mio "avversario" ateo che il sottoscritto portiamo diversi punti di vista utili al dibattito (o almeno questo è il mio modesto parere).

Ovviamente, essendo la discussione avvenuta sui social network, per alleggerire la lettura, ho cercato di eliminare, unitamente ai nomi, le inevitabili ripetizioni(!), gli accoltellamenti reciproci e qualche puttanata dal sapore epico -- da parte di tutti, sia chiaro -- oltre ad elementi non strettamente attinenti al tema.

Inoltre, ho limitato lo scambio tra me e l'ateo, escludendo il contributo di altri: non per altro, solo per semplificare ed evitare di allungare troppo il post.
Vi ripropongo la discussione senza ulteriori commenti e, per spirito sportivo, lascio anche all'ateo l'ultima parola.
Non chiedetemi di fare di più, per favore.  :-)


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Ateo: Ho notato recentemente che credenti ed agnostici sono convinti che gli atei credano nell'ateismo, senza capire che essere atei significa appunto rifiutare qualsiasi atto di fede.
Non credere significa non credere: punto.

Agnostico (Rio): Mah... Insomma.
Alla domanda "esiste un qualche Dio?", si può solo rispondere che non ci sono prove, né a favore né contro. Che si ritenga di sì o che si ritenga di no, si compie -- in ogni caso -- un atto di fede.
La sola, vera posizione razionale è quella agnostica.


Ateo: Confermi il mio assunto, proprio non vi riesce di accettare che chi rifiuta di credere in qualcosa di cui non c'e' prova che esista possa non credere che sia possibile che esista.
D'altra parte altrimenti non avrebbe senso l'agnosticismo. E' come se tu mi dicessi: guarda che esistono gli ippopotami rosa! Io: "Hai le prove?" Tu: "No, ma come fai ad essere sicuro che non esista?" E io: "Quando lo vedo ci credo".
Insomma e' questione di metodo: io considero esistente cio' che e' verificabile. Sul resto non sono possibilista, semplicemente per me non esiste fino a prova contraria. Questa e' (vera) razionalita'.

Agnostico (Rio): Più che agli ippopotami rosa, io preferisco pensare al bosone di Higgs.
Esistendo, implica una determinata fisica delle particelle; se non fosse esistito, ci sarebbe stata un'altra fisica delle particelle.
Ma l'idea in sé non è balzana.
Ci sono idee palesemente assurde, come le diverse concezioni del Dio giudaico-cristiano-islamico, ad esempio, che sono chiaramente miti umani.
Ma ci sono concezioni di Dio che invece non sono così ridicole ed assurde e -- pur essendo giustissimo dubitarne -- non credo sia razionale né crederci né negarle a priori.
Bisogna semplicemente sospendere il giudizio, come facevano i Greci.
E' proprio come dici tu: metodo. Il metodo ateistico è comprensibile, umano; ma non razionale, se lo osservi a rigore di logica.


Ateo: Concordo che ci siano versioni metafisiche piu' plausibili di quelle maggioritarie ma ripeto, l'agnosticismo e' piuttosto umano (Pascal che non sceglie perche', chissa', magari non conviene).
L'ateo, non accontentandosi del plausibile, riconosce solo cio' che e' dimostrabile.

Agnostico (Rio): Allora, sulla base di questo metodo, tutti gli scienziati atei non avrebbero dovuto credere nemmeno al bosone di Higgs, visto che per decenni lo si è cercato ma non lo si è mai trovato.
Né in nessuna teoria ancora indimostrata.
Invece, molti credevano che la cosa fosse "plausibile" (lo stesso Higgs è ateo).
Scusa tanto, ma gli unici davvero logici, razionali siamo noi agnostici.
Voi (come i credenti) avete la pretesa di trarre sempre conclusioni finali su tutto.
Be', noi agnostici abbiamo una brutta notizia per voi: non si possono trarre sempre conclusioni su tutto.
Su certe cose, semplicemente, non si può dire nulla perché -- banalmente -- le informazioni al riguardo sono insufficienti.
E quindi, ahimè, ce le dobbiamo tenere così.


Ateo: Lo dico col massimo rispetto, da ex agnostico e, risalendo, da ex credente: non significa trarre conclusioni dire che cio' che non e' mai stato dimostrato non esiste.
Si chiama metodo scientifico razionale. A voi fantasticare.

Agnostico (Rio): No, noi agnostici, banalmente, non traiamo conclusioni per assenza di informazioni sufficienti.
Non si fantastica. Punto.
Siete voi che, come i credenti, pretendete di completare la casa senza avere abbastanza mattoni per farlo e finite il lavoro con... Un salto di fede; cioè, con la fantasia. 

Per noi la casa resta incompleta, perché non si può completarla: tutto qua.
Poi, sia chiaro, il vostro è un atteggiamento pienamente legittimo.
Ma quanto a razionale...


Ateo: Ma di quale casa stai parlando? A me la vostra sembra una speranza affievolita: almeno i credenti si abbandonano alla fantasia, mentre l'agnostico, tra metafisica e scienza, semplicemente non sceglie.
Voglio dire, dio significa un'entita' consapevole e creatrice. O uno ci crede o assomiglia ad una favola. L'agnosticismo e' comodo ma non ha nulla di razionale.
Riguardo al bosone: seguire l'intuizione cercando una dimostrazione scientifica e' un conto, presupporre l'esistenza di dio sapendo comunque che la dimostrazione della sua esistenza e' fuori portata e' un altro.
D'altra parte se si accetta il metodo sperimentale si rimane nell'alveo della razionalita', altrimenti si puo dire quel che si vuole.

Agnostico (Rio): Noi non presupponiamo niente: siamo agnostici. In che cosa rappresenterebbe una "speranza" il fatto di sospendere il giudizio per assenza di elementi, me lo devi spiegare.
Se fosse possibile dimostrare che una qualche Entità consapevole e creatrice NON PUÒ esistere, allora noi agnostici diremmo che Dio non può esistere e saremmo atei.
Ma non è così, perché non si può dimostrare né che c'è, né si può dimostrare che NON c'è.
Per cui, noi agnostici diciamo: "Boh! Non lo sappiamo".
Dov'è la speranza? La fantasia? La favola?
Questo si chiama "attenersi solo ai fatti e NON TRARRE CONCLUSIONI AFFRETTATE fondate su altro (speranze? desideri? ripicche? ideologie?)".
Questo è il metodo scientifico.
Il vostro è il metodo di chi dice "Che puttanata, non ci credo." E' VOSTRA la speranza. Non nostra.
Io non "presuppongo" niente: per questo sono agnostico: perché "a - ghighnosko", cioè "non so".
Sono altri che presuppongono senza prova l'esistenza o la non esistenza di qualcosa.
Non noi agnostici. Noi ci atteniamo strettamente ai fatti, senza MAI, dico MAI deviare da essi.
Noi siamo scientifici, non facciamo "scommesse", né viviamo di "speranze".
I fatti; e basta.


Ateo: Razionale e' dire: cio' di cui non c'e' evidenza scientifica e sperimentale non esiste fino a prova contraria.
L'agnosticismo pretende di non pronunciarsi in un senso e nell'altro, confondendo fisica e metafisica.

Agnostico (Rio): Non mi pare, posto che non formuliamo alcuna ipotesi. Diversamente da voi e dai credenti.

Ateo: E' qui che non ci capiamo. Dire che non credo in cio' che non e' dimostrabile FINO A PROVA CONTRARIA (misurabile e verificabile) non implica alcuna ipotesi.
Sono gli agnostici secondo me che si lasciano suggestionare dalla cultura (da non sottovalutare) dei credenti.
Se esistono infiniti mondi paralleli puo' esistere dio, gli elfi e lo scoiattolo della Milka, per quanto mi riguarda.
Fatto sta che, per quanto e' concesso verificare, nessuno dei tre esiste.

Agnostico (Rio): Se hai una "prova" (contraria o a favore) non devi "credere" in niente. Lo sai e basta.
Sino ad allora, non pronunciarsi su ciò che non è possibile dimostrare né è possibile negare è l'unico atteggiamento logico.
Non completare il quadro! Lascia che i fatti lo completino: sino ad allora, fermati. Sospendi il giudizio, se no anche la tua è fede.
Siete voi atei che odiate talmente tanto la cultura dei credenti da negarla, combatterla.
Noi ci limitiamo a dire "Boh... Non si può dire nulla al riguardo."
Quale "suggestione culturale" ci vedi in uno che dice soltanto "non lo so"?


Ateo: Quindi rifiutate il metodo empirico scientifico, dal momento che secondo quello, razionale per definizione, un fenomeno o e' provato o non esiste.
Provatelo e cambiero' idea, ma dire boh significa riconoscere una valenza alla metafisica che va oltre la razionalita'.
Nulla di male, ma bisogna chiarire.

Agnostico (Rio): Lasciando da parte gli elfi o gli scoiattoli della Milka, che sono creazioni umane, come il Dio di tutti i Testi Sacri, ricordo che qui si parla della possibilità o meno di un qualche Creatore, che non abbia le ridicole caratteristiche antropomorfe di tutti i miti umani.

E questo non si può escludere.
E' chiaro che l'onere della prova spetta a chi afferma, per cui il credente che dice "DIO ESISTE!" poi dovrebbe anche preoccuparsi di dimostrarcelo, invece che solo di urlarlo.
Ma non si può escludere -- diversamente dagli elfi, che derivano da miti umani ed hanno caratteristiche umane.
Ci sono argomenti su cui non si possono trarre conclusioni finali, per mancanza di elementi a favore o a discapito.
Bisogna avere l'umiltà di fermarsi e di non voler per forza completare il quadro solo perché ci piace così.
Come agnostico, io non lo so se mi piace granché l'idea che ci sia un Dio; probabilmente, preferisco che no ci sia. Ma non posso escludere né affermare una mazza. Perché non-lo-so.


Ateo: Ma l'ateo non esclude nulla a priori, pero' considera inesistente cio' che non e' verificabile.
Chi non e' ateo non lo capisce e pensa che noi vogliamo che dio non esista.

Agnostico (Rio): No, sei tu che pensi che noi agnostici vorremmo che Dio esista!
Noi non vogliamo niente: non-lo-sappiamo. 
Abbiate una buona volta l'onestà e l'umiltà di ammettere che non lo sapete nemmeno voi.


Ateo: Io non so nemmeno se esistano universi paralleli e quant'altro...
Cosa fa pensare a voi agnostici che dio sia una questione diversa da tutto il resto?
Come diceva padre Pizarro, esistono universi paralleli, il tempo e' relativo ecc ecc e qualcuno, per dare un senso al tutto, va a complicare la cosa con dio.

Agnostico (Rio): Lo vedi che sugli universi paralleli (qualsiasi cosa siano) tu sei agnostico?
E cazzo, mi sei agnostico su certe idiozie e invece, su un concetto chiave come Dio, mi trai conclusioni senza sapere?


Ateo: Non sono agnostico nemmeno sugli universi paralleli. Dico solo che, come serve una prova per dire che esistono quelli, serve una prova per dire che dio esiste.
Il resto son chiacchiere e fantasie. Per me poi son tutte puttanate, allo stato dell'arte.

Agnostico (Rio): Infatti, non essendoci tale prova (né positiva, né negativa), non si sa. 

Tu credi che dire che una teoria non è dimostrata equivalga a dire che sicuramente non è vera.
Le due cose sono diverse.
La teoria delle "super-stringhe" o quella "dell'universo a bolle" non è provata, ma questo non vuol dire che è necessariamente falsa. Falso e indimostrato sono cose diverse.
Il metodo scientifico è proprio questo: dire che la "teoria dell'universo a bolle" è indimostrata e che, quindi, è soltanto una delle tante teorie in circolazione, su cui non si può dire ancora niente.
Dire che SICURAMENTE NON esiste un "universo a bolle" è come dire che sicuramente esiste: un salto di fede.


Ateo: Sì, te lo stavo per scrivere io, ma li'(per quanto poco ne capisca) ci sono basi scientifiche (ancora da dimostrare), dio non ha il benche' minimo straccio di attinenza con la scienza e la realta'.
Chissa', magari un giorno...
Se poi vogliamo credere al disegno intelligente, ma le enormi contraddizioni di quella teoria sono ampiamente dimostrate.
Dio non ha alcuna evidenza scientifica, non e' plausibile e nemmeno logico. lasciare la possibilita' che esista e' gia' atto di fede.

Agnostico (Rio): Lasciamo stare il disegno intelligente, che è una cazzata umana dei creazionisti che semplicemente non capiscono l'evoluzione darwiniana. 

Quanto all'universo a bolle, sono solo teorie, e anche abbastanza avveniristiche.
Bisogna vedere se le basi sono davvero "scientifiche" come alcuni suppongono, oppure no.
E non sarà affatto facile dimostrarle anche, posto che non ci sono esperimenti in grado di provare che il nostro universo è in una bolla generata da un altro universo!
In teoria, un ateo dovrebbe dire "Non è vero!". Invece alcuni scienziati atei dicono che è possibile; indimostrato (forse indimostrabile?), sicuramente non certo, ma possibile.
Ecco: questo è l'agnosticismo.
Poi, che il concetto di Dio "non sia né possa essere logico", da agnostico, mi piacerebbe tanto che me lo spiegassi.


Ateo: Per la teoria dell'universo a bolle mi manca la competenza per disquisire nel merito: dico solo che, a quanto ne so, ci sono elementi su cui lavorare.
Per quanto riguarda la mia affermazione e' molto semplice: dio, pur non antropomorfo, ha senso solo se onnipotente ed onnisciente, ma l'esperienza ci dice che non ha senso che esista un essere simile.
Infatti i credenti si sono inventati il mistero della fede.

Agnostico (Rio): Ma i credenti lasciali stare...
Hanno i loro problemi a far quadrare il loro bel Dio antropomorfo che "si adira" e "vuol essere adorato" con il concetto filosofico di Dio: non li invidio affatto.
Poi, perché "non ha senso" che esista un Creatore onnisciente ed onnipotente non mi è chiaro. Guarda che "Creatore onnisciente ed onnipotente" non implica affatto che intervenga nelle vicende umane!
Ma proprio per niente.
Che l'esperienza ti dica che non l'hai mai visto nella tua esperienza quotidiana, be', io non ho mai visto un universo a bolle: qualcuno suppone che ci siamo dentro, ma è solo una supposizione.
Altri, molti di più, sostengono che prima del Big Bang il tempo non esisteva e che chiedersi cosa ci fosse prima del Big Bang non abbai senso. Ti sembra forse un concetto che trova un qualche riscontro nell'esperienza quotidiana?


Ateo: Ma infatti, ti ripeto: se dico che non credo, significa che non faccio atto di fede, non che, se un domani avessi l'evidenza del contrario, la rifiuterei per principio.
Piuttosto che io agnostico, mi sa che sei tu ad essere ateo.
Perche' secondo me l'esperienza suggerisce che non esista un essere onnipotente ed onnisciente? non perche' i bambini muoiono, so,o perche' non mi pare necessario o utile.
Per il tempo che non esisteva: si', da ignorante capisco perfettamente che senza moto non esista il tempo, non avrebbe senso.

Agnostico (Rio): Ecco l'inghippo: il rasoio di Occam. Per te, ciò che non è necessario e/o utile non è vero. Io ti dico che su un concetto come Dio, invece, la mente umana deve avere l'umiltà di ammettere l'ipotesi che -- forse -- potrebbe non essere in grado di capire se Dio è necessario all'universo.

 
Ateo: Chiedilo all'universo, a me basta quello.

Agnostico (Rio): Ci ho provato, ma non mi risponde. E quindi io-non-lo-so. E quindi io-sono-agnostico.

Ateo: Ecco che la differenza si fa sottile: io non sto nemmeno a chiederglielo.

Agnostico (Rio): ... Perché tu "ti butti in avanti", lanci il cuore oltre l'ostacolo, come fanno anche i credenti.

Ateo: Non c'e'. Punto.

Agnostico (Rio): Non "punto": AMEN. Si addice di più a chi ha appena affermato cose non dimostrate.

Ateo: Ma e' sbagliato pensare che un ateo sia sicuro di non sbagliare, non siamo come i credenti.
Si fa solo un calcolo di probabilita', con i dati disponibili e si riconosce cio' che e' riconoscibile: noi non ci inventiamo niente.

Agnostico (Rio): Sì, invece: voi vi inventate CHE SICURAMENTE NON È VERO.
Siamo noi agnostici che non ci inventiamo davvero niente, perché diciamo "boh".


Ateo: Dite "boh" di fronte ad un'ipotesi astratta, dunque non applicate il metodo empirico razionale. Liberissimi.

Agnostico (Rio): E voi atei non applicate il metodo scientifico, invece, perché vi lasciate affascinare dall'idea che Dio non esiste, perché questo vi dà più libertà.
Il che è vero. Ma purtroppo è indimostrato (forse anche indimostrabile?).


Ateo: Intendiamoci: lo scienziato di fronte ad un'ipotesi fa i suoi tentativi, ma per la scienza esiste solo cio' che e' dimostrato.

Agnostico (Rio): Sì. Ma poi per la scienza ci sono anche teorie ancora indimostrate (né sconfessate). Teorie che sono non dimostrate, certo, ma mica sono necessariamente false o errate. Sono soltanto indimostrate.

Ateo: Ma io non posso e non devo dimostrare l'inesistenza di un qualcosa!

Agnostico (Rio): Invece sì. Se dimostrare l'esistenza di Dio è il compito dei credenti, il vostro compito è dimostrarne la non esistenza.

Noi agnostici staremo a guardavi tutti e due.
Sarete bellissimi, visti da qui.


Ateo: Ma voi siete i piu' buffi, tra le fantasie degli uni ed i possibilismi di voialtri su di un qualcosa che non ha mai, dico MAI dato alcuna manifestazione tangibile, siete proprio voi i piu' creativi.
Riuscite a prendere in considerazione l'inesistente, facendo salvo il vostro vivere nella modernita'.
Per voi, Dio non e' morto: e' andato in vacanza...

Agnostico (Rio): Cosa c'è di fideistico, di buffo o di fantasioso nel dire "non posso rispondere perché non ho elementi"?
Voi non sapete niente, ragazzi. 
E' tutto soltanto nella vostra testa: come per i credenti.
Siate logici, per una volta.


Ateo: Ma devi fare un passo indietro. Tu prendi istintivamente in considerazione l'esistenza di dio per cultura; ma se nessuno ti avesse mai parlato di dio, in qualunque modo, non avresti mai elementi per prenderne in considerazione logicamente l'esistenza.
E' solo un fattore culturale lo stesso porsi il problema.
 

Agnostico (Rio): Due cose: 
1) Di speranza non viviamo affatto tutti: vivono solo atei e credenti. L'agnostico accetta di restare inesorabilmente nell'incertezza; il che, ben lungi da quello che credono alcuni atei, non è affatto una posizione "comoda" né "di comodo". E' un'immensa rottura di balle, altro che.

2) L'incertezza non è alimentata dalla speranza di qualcosa, tipo che Dio esista: è dettata dalla incapacità da parte dell'agnostico di avere qualsivoglia tipo di fede, di discostarsi dai fatti anche solo per un instante.  
L'ateo qui dice che l'agnostico prende in considerazione l'esistenza di Dio per un fattore culturale, e che se nessuno ci avesse mai parlato di Dio, oggi nemmeno ci porremmo il problema. Altri atei dicono addirittura che la mente umana, per come è strutturata, è "portata" ad inventarsi il concetto di Dio, perché la mente umana esige risposte. 
Secondo me, invece, è proprio questo il problema degli atei e dei credenti. 
L'ateo e il credente, molto umanamente, dinanzi al punto interrogativo, lo rigettano e puntano i piedi. Dicono: "Noi non possiamo accettare! Noi pretendiamo una risposta!". Perciò chiudono gli occhi, fanno un bel salto e se ne danno una. Problema risolto.
L'agnostico purtroppo, non sapendo "saltare", cosa di cui è del tutto incapace, deve accontentarsi di contemplare il punto interrogativo. Sfido chiunque a dire che è "facile" o che è "comodo": è contrario alla natura umana, invece.
Ateo: E' anche vero che le discordanze di cui sopra attengono piu' alle definizioni che al merito, ma gli agnostici proprio non riescono a capire che un ateo non crede che dio non esiste, semplicemente non vede alcun elemento che ne postuli l'esistenza.

Agnostico (Rio): E gli atei non capiscono che gli agnostici non vedono alcun elemento che postuli l'esistenza di Dio né vedono alcun elemento che ne postuli la NON esistenza.
Non-c'è-niente.
Non si può-dire-niente.
Tutti e due, atei e credenti, non concepiscono la possibilità che uno si tenga semplicemente il dubbio.
Se un ateo mi dicesse: "Io non credo all'esistenza di un Dio, ma non lo posso dimostrare", io considererei la sua posizione pienamente accettabile.
Se un credente mi dicesse "io credo all'esistenza di Dio, ma non lo posso dimostrare", io considererei anche la sua posizione pienamente accettabile.
E' che tutti e due pretendano di sapere, non semplicemente di credere, che mi fa sorridere.
Come fate a saperlo? Ce lo spiegate, per favore?
Perché noi agnostici non riusciamo a saperlo. Possiamo solo fare congetture.


Ateo: Il fatto e' che voi, senza rendervene conto, fate un'eccezione solo per dio, quando sapete bene che non ha alcun senso dimostrare l'inesistenza di un fenomeno non sostenuto da alcun elemento a sostegno della sua esistenza.
Si finisce per poter dire qualsiasi cosa. L'eccezione che fate per dio deriva da fattori culturali e, qualche volta, anche sentimentali, nulla che attenga alla razionalita'.
E' un'invenzione culturale dell'uomo, che anela ad una protezione superiore e ad un senso trascendente la sua condizione, appunto. Nessun elemento di fatto ne suggerisce, invece, l'esistenza.

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Saluti,

(Rio)

lunedì 11 novembre 2013

Aneddoto Zen


Secoli fa, in Giappone, un ragazzino di 10 anni lavorava presso un rinomato maestro Zen, svolgendo per lui alcune umili mansioni.

Il maestro aveva diversi discepoli adolescenti, tutti più grandi del ragazzino.
Il ragazzino li guardava arrivare dal maestro e, dopo essersi messi in ginocchio e inchinati dinanzi a lui, toccare con la testa i piedi del maestro. Poi gli chiedevano: "Maestro, ti prego, accettami come tuo discepolo e dammi qualcosa su cui meditare".
Il maestro dava loro una meditazione e i discepoli andavano via, a praticare la meditazione.

Un giorno, anche il ragazzino andò dal suo datore di lavoro, il maestro Zen, gli si inchinò davanti, toccò con la testa i piedi del maestro e poi gli disse: "Maestro, ti prego, accettami tra i tuoi discepoli e dammi qualcosa su cui meditare."
Il maestro sorrise, per via della giovane età del ragazzino, ma decise comunque di assegnarli uno dei Kōan Zen più noti. Gli disse: "Va' e scopri il suono prodotto da una mano soltanto".

Il ragazzino andò via e, poco dopo, tornò dal maestro, dicendo: "Maestro, ho sentito il suono del vento tra le foglie." E il maestro: "E allora la mano cosa c'entra?" Il ragazzino non seppe rispondere, per cui il maestro gli disse: "Non è quello del vento il suono che devi scoprire. Continua a cercare." E lo congedò.

Più volte il ragazzino tornò da suo maestro e più volte il maestro gli disse: "No; non è questo il suono che devi trovare. Torna a cercare e ascolta; ascolta meglio".

Un giorno, tuttavia, il maestro si accorse che il ragazzino non tornava. Dopo un po', i suoi discepoli si dissero preoccupati che potesse essergli capitato qualcosa e, quando l'assenza del ragazzino si protrasse troppo a lungo, il maestro acconsentì che i discepoli andassero a cercarlo.

Poco dopo, i discepoli tornarono e dissero di averlo trovato sotto un albero poco distante a meditare, ma che non avevano osato disturbarlo perché il suo volto sembrava quello di un Buddha risvegliato, un illuminato.

Il maestro, allora, chiese loro di portarlo nel luogo in cui il ragazzino stava meditando.
Quando il maestro vide il ragazzino, non ebbe più dubbi.
Quindi, si inchinò a toccare i piedi del ragazzino con la propria testa e gli chiese: "E così è vero? Hai dunque scoperto il suono prodotto da una mano soltanto?"

Ed il ragazzino rispose: "Sì, maestro; ma è un suono privo di suono."

(Citato da Osho Rajneesh nel suo "The Book Of Secrets" - La traduzione dall'inglese è mia).

domenica 27 ottobre 2013

L'Italia ti spezza il cuore (Italy Breaks Your Heart) - di Frank Bruni

Frank Bruni
Salve.

Pubblico qui una (mia) traduzione di un articolo ad opera di Frank Bruni, editorialista del New York Times, comparso sull'edizione del 26/10/2013. 

A mio avviso, l'articolo è importante perché mette bene a fuoco alcuni aspetti chiave della crisi italiana che ancora appaiono confusi a molti miei connazionali in Italia.
Ovviamente, in fondo alla traduzione trovate anche il link all'articolo originale.






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L'Italia ti spezza il cuore
("Italy Breaks Your Heart")
di Frank Bruni

Al mio ritorno in Italia, la mia prima sera ad una festa a Milano, ho visto ed ascoltato una coppia professionalmente affermata e prossima ai 50 anni programmare la fuga da un Paese che amavano ma nel quale avevano perso la fede.
Hanno liberato lo spazio dai piatti, aperto un computer portatile e cominciato a dare un'occhiata al mercato immobiliare di Londra, dove ad uno di loro era stato offerto un trasferimento. 
I prezzi li hanno sconvolti, ma non scoraggiati. Hanno un figlio di dieci anni ed hanno paura che l'Italia, con il suo tasso di disoccupazione giovanile al 40% ed un'economia la cui apatia sembra esser diventata la nuova normalità, non prometta a lui un futuro particolarmente fulgido.

Due giorni dopo e circa 200 miglia a sud-est di Milano, è stata un'anziana signora italiana -- sulla settantina, immagino -- a cantare il suo country blues. Stavo pranzando su una cima appenninica nelle Marche e, con una salsiccia di cinghiale di fronte a me ed un castello marchigiano sulla mia testa, avrei potuto convincermi di essere in paradiso. "In un museo", mi ha corretto lei. "Sei in un museo ed in un giardino biologico. Questa è diventata l'Italia. -- ha detto -- Ogni anno il Paese perde una qualche meraviglia o un pezzo della propria rilevanza".

Dato che io sono stato abbastanza fortunato da aver vissuto qui una volta, e per via del fatto che ci torno spesso, sono ben abituato al pessimismo teatrale degli Italiani, al loro innato talento per la lamentela. 
E' una specie di sport, una sorta di operetta, messa in scena con tanto di gesticolare svolazzante ed intonazione musicale e, nel passato, con il sottinteso che non ci sarebbe davvero altro posto in cui vorrebbero trovarsi.

Ma l'aria lirica si è rivelata diversa, questa volta. L'umore dell'intero Paese non è lo stesso. Chiedi agli studenti italiani cosa li attenda alla fine del loro corso di laurea e loro ti rispondono con un'alzata di spalle. Chiedi ai loro genitori quando o come l'Italia riuscirà a invertire la rotta ed ottieni la stessa espressione perplessa. Senti parlare più di quanto non sentissi solo dieci o persino cinque anni prima di emigrare in Gran Bretagna o in USA. Vedi meno fiducia nel domani. 

La cosa mi ha allarmato ed anche spaventato, perché io arrivavo in Italia direttamente dal default federale americano, ed ho osservato il malcontento italiano attraverso il filtro delle difficoltà in USA, elaborandolo come un monito per noi Americani.

L'Italia è quello che accade quando un Paese conosce sin troppo bene i propri problemi ma non sa evocare a sé la disciplina e la forza di volontà necessarie per risolverli.
E' ciò che accade quando la disfunzione della politica diventa sempre più opprimente e la buona governance diventa un miraggio, un mito, uno scherzo. 
L'Italia procede per inerzia aggrappandosi alle sue incredibili benedizioni invece di edificare su di esse, e perde slancio in un'economia globale animata da concorrenti più determinati. 
Suona familiare?
C'è così tanta bellezza e potenzialità qui, e così tanto spreco. L'Italia ti spezza il cuore.

E non solo soltanto le vicende di Silvio Berlusconi. La sua recente condanna definitiva per frode fiscale, unitamente all'interdizione dai pubblici uffici per diversi anni, non hanno prodotto quel senso di sollievo e di nuovo inizio che ci si sarebbe aspettati.  
Hanno invece obbligato gli Italiani ad ammettere che, mentre lui sperperava tempo, peggiorava i problemi e si comportava come un intrattenimento buffonesco e da cartone animato, i problemi di fondo del Paese -- una normativa intricata e una burocrazia barocca che soffocano le imprese, un sistema chiuso di favoritismi che contrasta l'iniziativa privata, la corruzione ed il cinismo che ne consegue -- lo sormontavano.

Nel secondo trimestre del 2013, il debito pubblico italiano è salito al 133% sul PIL, il secondo più alto dell'Eurozona, superato solo da quello greco. La diminuzione del PIL italiano di circa 8% dal picco registrato prima della crisi è peggiore di quello di Spagna e Portogallo.
Non si è ancora visto alcun segno di ripresa, anche se un modesto miglioramento potrebbe finalmente arrivare più in là quest'anno.

Ma non lasciate che i numeri misurino la deriva italiana.
Piuttosto, scendete dal treno super-veloce (che è bellissimo) o uscite dall'autostrada e viaggiate sulle strade secondarie, lasciandovi andare nella decadenza. 
O cercate di gettare la vostra coppetta di gelato vuota in uno dei cestini della spazzatura nella celebrata capitale del Paese, Roma. Apparentemente sono sempre pieni o straripanti. Quello in cui mi sono imbattuto io vicino la Camera dei Deputati una sera era rimasto non svuotato per così a lungo che la gente lasciava l'immondizia alla base del cestino, da cui fuoriusciva una collinetta di spazzatura: l'ottavo colle di Roma. 
In una città il cui bilancio risicato e le inefficienze sono lo specchio del Paese, la spazzatura è diventata un problema serio, un sintomo dello stato di salute incerto del proprio apparato politico.

Martedì ho fatto visita al dottore che si occupa del caso. Si chiama Ignazio Marino. A giugno è stato eletto nuovo sindaco di Roma battendo il candidato di Centrodestra sostenuto da Berlusconi, con un notevole 64% dei voti, che suggerirebbe la smania degli Italiani per qualcosa di nuovo. 
Marino, 58 anni, è entrato in politica solo sette anni fa, ed ha trascorso tutta la sua vita professionale sino a quel momento come chirurgo specializzato in trapianti di fegato (benché si sia anche occupato di reni e pancreas) ed ha vissuto per la maggior parte del tempo in Pennsylvania.
Mi ha detto che amministrare Roma non è diverso dal portare avanti uno dei suoi interventi chirurgici.
"Un'emergenza controllata", ha spiegato.


(Frank Bruni)
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Pubblicato sul New York Times del 26 Ottobre 2013 

Link all'articolo originale ("Italy Breaks Your Heart"):
http://www.nytimes.com/2013/10/27/opinion/sunday/bruni-italy-breaks-your-heart.html


Saluti,

(Rio)

sabato 13 aprile 2013

Commento agli Otto Punti per l'Italia proposti da Attac Italia

Salve.
Circola da oggi (venerdì 12 Aprile 2013) un breve documento di otto punti elaborato da Antonio Tricarico e Vittorio Lovera dell'Associazione AttacItalia che suggerisce otto punti per cambiare il Paese in 100 giorni. 
Il documento originale è disponibile, ad esempio, qui

In questo mio post, mi permetto di commentare gli otto punti indicati da Tricarico e Lovera che, come prevedibile, ricalcano una visione fortemente statalista e pubblica del Paese e dell'economia.


Punti 1 e 2: sostanzialmente, si ripropone la ristrutturazione del debito. Sono contrario e il perché l'ho spiegato in diversi post di questo mio blog; ma, soprattutto in due: questo e questo.

Punto 3: è un controsenso. Da una parte si chiede di rendere di nuovo pubblica Cassa Depositi e Prestiti, quando poi si riconosce che il controllo di CDDPP è attualmente detenuto dalle fondazioni bancarie, un'anomalia tutta italiana di enti "senza fini di lucro" in mano... ai politici! Allora che vogliamo fare, non ho capito...?

Punto 4: è solo un atto formale, in realtà. Si tagliano i tassi di 3 punti per permettere un maggiore indebitamento degli EELL, ma si tagliano anche i guadagni della CDDPP che sarebbe nel frattempo diventata pubblica. E' una partita di giro, che trasferisce più soldi agli EELL, ma non cambia la situazione di indebitamento pubblico complessiva.
Ma c'è anche un altro aspetto da considerare: gli EELL (lo hanno ribadito persino i saggi di Napolitano) devono imparare ad utilizzare i Fondi Strutturali, non indebitarsi in prestiti agevolati di CDDPP. I Fondi Strutturali non hanno interessi, ma richiedono più lavoro di pianificazione e di rendicontazione. Per questo gli EELL non li sfruttano appieno. Secondo me, questa è la strada. Altro che prestiti CDDPP.

Punto 5: non ho capito. Chi e come paga l'acquisizione del credito fondiario da Morgan Stanley? Poi, perché per "decreto legge"? I decreti legge sono provvedimenti di massima urgenza, che devono comunque essere "convertiti in legge" (ossia convalidati) dal Parlamento entro 30 giorni, se no decadono. Non si possono mica usare per acquisire Fonspa.

Punto 6: è semplicemente stupido. Forse va fatto comunque per rispettare la volontà referendaria, ma rimane una cosa stupida. L'acqua non è mai stata "privata". Ci sono Enti che affidano la gestione dell'erogazione del servizio idrico a società a capitale interamente pubblico, a capitale misto pubblico/privato o a capitale solo privato. 
Il problema non è tanto la proprietà del capitale, ma i criteri di selezione e, soprattutto, il contratto di servizio stipulato con il gestore, che stabilisce standard di qualità e penalità/sanzioni, in caso di violazione di tali standard. 
Ancora una volta, gli Enti vogliono il gestore interamente pubblico solo perché -- diciamolo! -- non sanno scrivere i contratti di servizio e preferiscono, per ragioni politiche, non avere problemi nel servizio, anche se la gestione interamente pubblica può comportare maggiori sprechi.
La strada, secondo me, è che gli Enti imparino a redigere contratti di servizio adeguati. In quel modo, avremmo buoni standard e pochi sprechi, quale che sia la composizione societaria del gestore. 
Senza contratti di servizio scritti bene, possiamo solo scegliere tra un pubblico che spreca ed un privato che ruba. Non mi pare una grande libertà di scelta.

Punti 7 ed 8: certo, come no. Così tutti gli investitori finanziari ed i loro capitali andranno altrove, mentre l'Italia perderà anche il gettito dall'attuale 21%. Un colpo di genio.

Saluti,

(Rio)


martedì 26 marzo 2013

Indignados, torti e ragioni [2] - L'uscita dall'euro

Salve.

Attualmente in Italia, anche a seguito della grande affermazione del Movimento Cinque Stelle alle recenti elezioni politiche, si fa un gran parlare della possibilità di uscire dalla moneta unica e di ritornare alla lira.

E' un'opzione sulla quale anche alcuni economisti si sono detti possibilisti, ove non favorevoli, motivata da una serie di ragioni che possono essere sintetizzate nei vantaggi di riacquistare la sovranità valutaria da parte del nostro Paese e dalla possibilità dell'utilizzo della leva monetaria come strumento in più per affrontare la crisi economica.

L'idea di fondo è quella di tornare alla lira per svalutare ed aiutare le esportazioni italiane (come avveniva negli Anni '80, in cui la lira era sottovalutata), rilanciando così l'economia.

Si tratta in realtà di una scelta davvero miope e rischiosa, perché foriera di una serie di problemi molto seri che -- con ogni probabilità -- dopo una (eventuale) fase iniziale di miglioramento apparente, non farebbero altro che aggravare la situazione italiana.
Vediamone rapidamente due.


Problema uno: il nuovo tasso di cambio. Inflazione e svalutazione.
Chiunque sogni che la nuova lira possa essere scambiata con l'euro allo stesso tasso di cambio stabilito il giorno dell'entrata in vigore della divisa europea oltre dieci anni fa, cioè 1.936,27 lire per un euro, è destinato a rimanere deluso.

Il tasso di cambio è solo inizialmente un "atto politico": alla mezzanotte del ritorno alla lira, tutti i risparmi nei nostri conti correnti, tutti i nostri stipendi e salari, tutti i contratti, gli accordi commerciali, le transazioni e tutti i bilanci verrebbero convertiti da euro in lire ad un tasso di cambio stabilito "politicamente".
Ma questo sarebbe solo un effetto di breve durata.

Infatti, a stabilire quanto realmente vale la nuova lira italiana sui mercati valutari internazionali non è la volontà del Parlamento o del Governo italiani, purtroppo. Il tasso di cambio è l'effetto della volontà dei mercati di accettare la nostra (sgangherata) valuta e di scambiarla con l'euro, con il dollaro, con la sterlina o con qualsiasi altra divisa.

Il punto non è stampare cartamoneta e di stabilire arbitrariamente quanto vale, ma far sì che ogni banconota stampata rappresenti un eguale controvalore di beni e  di servizi prodotti, in altre parole, di ricchezza reale del Paese.

Per quanto tempo, infatti, i nostri fornitori esteri sarebbero disponibili ad accettare pagamenti in lire in base ad un tasso di cambio lira-euro (o lira-dollaro) deciso dal Ministero dell'Economia del Governo Italiano?
La risposta logica è che, guardando all'economia reale del nostro Paese, i fornitori esteri pretenderebbero o un tasso diverso, per tutelarsi meglio, oppure di essere pagati direttamente in valuta pregiata, così da scaricare ogni rischio di cambio sulle nostre imprese.

Posto che l'economia italiana negli ultimi dieci anni si è contratta notevolmente, mentre l'indebitamento è aumentato in misura considerevole, offrire pagamenti in valuta nazionale ai nostri fornitori di beni esteri importati significa vedere rapidamente aumentare i prezzi di quegli stessi beni. Ciò è legato alla necessità del mercato di scambiare le valute ad un tasso di cambio ritenuto congruo dai soggetti economici che effettivamente vi operano, e non certo da chi occupa le poltrone più importanti in Viale dell'Astronomia.

Naturalmente, i costi di produzione di tutti i prodotti italiani realizzati con l'ausilio di quei beni importati -- tra i quali figurano, lo ricordiamo, idrocarburi (petrolio e metano), materiali da costruzione di molti tipi (ad esempio, metalli e leghe, sia grezzi che semilavorati), sostanze e prodotti chimici, apparecchi elettronici, alimentari (!) -- non potrebbero che incorporare anche gli aumenti dei prezzi di importazione dei beni esteri e, di conseguenza, generare un effetto a catena di incremento anche dei prezzi di vendita dei beni italiani.

Proverò a semplificare: se per produrre e portare nei negozi un certo bene italiano X mi servono anche materie prime e semilavorati stranieri e se il loro prezzo d'importazione aumenta, io non posso che aumentare anche il prezzo di vendita di X. Questo perché il costo di produzione di X è, di fatto, aumentato.

Questo fenomeno di aumento a catena dei prezzi di vendita di ogni prodotto si chiama inflazione.
L'inflazione ha molti effetti spiacevoli, ma il più ovvio consiste nella perdita di potere d'acquisto di stipendi, salari e pensioni; e la ragione è evidente: i prezzi di ogni cosa aumentano, ma le buste paga della gente e le loro pensioni, invece, restano invariate.

Un altro effetto negativo è dato dal fatto che l'inflazione interna finisce con il minare alla base i benefici alle esportazioni generati dalla svalutazione della divisa locale: in breve, si svaluta per abbassare i prezzi di vendita in valuta estera e così esportare di più, ma si finisce con il dover aumentare i prezzi in valuta locale perché si è generata inflazione.

Ciò può spingere la politica ad agire in due modi: o cercare di contenere l'inflazione, scaricandone il "costo" sulla gente (si legga: non si aumentano stipendi e pensioni), oppure adottare misure a tutela del potere d'acquisto, attraverso un adeguamento di salari e pensioni al nuovo costo della vita e, nello stesso tempo, si procede ad un'ulteriore svalutazione della lira, volta a preservare i vantaggi per le esportazioni italiane.

E' ovvio che nessuna delle due strade è auspicabile: con la secondo, in particolare, si rischia di innestare una spirale di inflazione / svalutazione di tipo sudamericano, nel quale l'economia nazionale potrebbe trovarsi intrappolata e dalla quale diventerebbe difficile uscire, per un Paese importatore di materie prime, senza enormi sacrifici.

Inoltre -- come è già accaduto in alcuni Paesi dell'America Latina -- la spirale inflazione / svalutazione, riducendo progressivamente il valore del denaro depositato nei conti correnti,  determina l'erosione e, infine, la distruzione dei risparmi in valuta locale.  


Problema due: il debito già contratto in euro.
L'Italia, in questi undici anni di valuta unica, ha contratto debiti rilevanti in euro, attraverso l'emissione di titoli del debito nazionale nella divisa europea.

Questi debiti non possono mica essere ripagati in lire: bisogna continuare a pagare in euro i debiti sottoscritti in euro. Ma se il tasso di cambio nuova lira-euro peggiora, per l'Italia questo significa pagare di più: significa un peggioramento della situazione debitoria del nostro Paese, ovvero proprio di quella situazione che ha maggiormente contribuito a generare lo stato di crisi in cui l'Italia si trova impelagata da anni.

Naturalmente, l'alternativa è quella di fare default, cioè bancarotta (a tal proposito, vedasi anche il mio post del 15/10/2011).
In questo caso, si dichiarerebbe ufficialmente che l'Italia non è più in grado di pagare e si procederebbe alla cosiddetta "ristrutturazione del debito": in sostanza, si direbbe ai nostri creditori che, ad esempio, se prima dovevamo loro "100", ora dobbiamo loro solo "40". Prendere o lasciare.

Questa può sembrare per qualcuno una situazione ottimale, in quanto permetterebbe all'Italia di liberarsi in un sol colpo del fardello del debito e riconquistare anche la piena sovranità finanziaria, oltre che monetaria.

Ma in economia, proprio come nella vita, quando una cosa è troppo bella per essere vera, probabilmente non è vera; oppure non è così bella come sembrava all'inizio. :-)

E infatti, la ristrutturazione del debito cambia radicalmente le aspettative dei mercati (sia degli investitori esteri che di quelli italiani), che chiederebbero interessi più elevati per acquistare titoli del nostro debito pubblico, per tutelarsi da un rischio maggiore.

Come mai?  La ragione è anche qui ovvia: la fiducia. E' la stessa ragione per cui una banca che presta i soldi ad un privato che ha già fatto bancarotta una volta pretende interessi più alti di quelli che invece chiederebbe a chi ha una storia finanziaria improntata alla solidità e al rispetto degli impegni presi.

Dopo il default, l'affidabilità dello Stato italiano non sarebbe più la stessa e anche i nostri concittadini sottoscrittori di titoli di Stato pretenderebbero maggiori garanzie (ricordiamo che circa la metà del debito italiano è ancora in mano ad investitori italiani).

Non è da escludere che, alla prossima necessità di liquidità per pagare la spesa pubblica, lo Stato italiano -- non potendo o non volendo offrire rendimenti troppo elevati sui titoli pubblici -- si veda persino obbligato al rifinanziamento attraverso operazioni di trasferimento dai nostri conti correnti; oppure che ricorra, semplicemente, alle tasse.

Quel che i cittadini non sono più disposti a prestare allo Stato perché non si fidano, diventa quindi oggetto di un prelievo forzoso.

A queste considerazioni, si aggiunge anche il fatto che nei 18 anni passati (ovvero da quando l'Italia ha deciso e si è impegnata ad entrare nella moneta unica), la divisa comune europea ci ha permesso di risparmiare circa 700 miliardi di euro in interessi sul debito -- anche se va detto che lo Stato italiano ha immediatamente provveduto a "rimangiarseli", aumentando la spesa pubblica.

Sicuri che valga davvero la pena di tornare alla lira?

Saluti,

(Rio)

P.S. Alcuni si chiedono: ma perché non possiamo ripetere il giochino della svalutazione, posto che negli Anni '80 funzionava così bene? 
Perché negli Anni '80 non c'erano ancora né la situazione debitoria che abbiamo oggi né la globalizzazione dell'economia. 
Oggi, un'azienda cinese può produrre contando su una forza lavoro che fa turni di 12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana e guadagna, diciamo, 200 euro al mese. E così giù, lungo tutta la filiera. 
Distorsioni del mercato del lavoro così gravi vanificano qualsiasi manovra di svalutazione a sostegno delle esportazioni. 
Cos'è, qualcuno vorrebbe mettersi a competere con la struttura di costi delle aziende cinesi ?  :-)

sabato 23 febbraio 2013

Contro (o pro) Oscar Giannino


Salve.

Una delle vicende di cui più si è parlato sui media in questo finale di campagna elettorale per le elezioni politiche è il caso dei titoli accademici inventati da parte dell'ex leader del Movimento liberista "Fare per Fermare il Declino", il giornalista Oscar Giannino. 

In breve, il giornalista è stato più volte ripreso in video a millantare un master in management pubblico conseguito all'Università di Chicago Booth (per il cui Dipartimento di Economia lavora il compagno in politica prof. Luigi Zingales), più una laurea (o due) e persino una partecipazione allo Zecchino d'Oro da bambino, immediatamente sconfessata dal Mago Zurlì. :-)

Non appena messo al corrente dei titoli millantati da Giannino, tra cui uno proprio nell'università per cui lavora Zingales, il professore si è dimesso da ogni incarico nel Movimento, auspicando un immediato cambio della dirigenza e sostenendo in un breve comunicato che "anche le idee migliori hanno bisogno di gambe sane" e che avrebbe votato comunque FiD, ma turandosi il naso. 

Mortificato dalle parole di Zingales, Giannino -- a pochi giorni dal voto -- ha immediatamente confermato di non avere alcun titolo accademico (si è infatti fermato alla maturità classica) ed ha fatto il giro di tutti i media per:
  • ammettere pienamente il proprio errore, da lui stesso definito "grave";
  • chiedere scusa;
  • dimettersi da ogni incarico nel Movimento;
  • non potendo dimettersi anche da candidato perché la cosa avrebbe invalidato tutta la lista, dichiarare che -- in caso di sua elezione -- avrebbe rimesso il seggio nelle mani del Movimento.
Il giorno dopo, la Direzione Nazionale di FiD ha preso atto delle dimissioni di Giannino e nominato Silvia Enrico nuovo Coordinatore e Presidente sino al primo congresso del Movimento, da stabilirsi entro (credo) Febbraio.

Questa settimana, i giornali di Silvio Berlusconi, più il Fatto Quotidiano e Lettera43, hanno passato al setaccio tutta la vita e la carriera di Oscar Giannino, alla ricerca del pur minimo indizio che egli si sia servito delle false credenziali non solo per vantarsene pateticamente sui media, ma anche per ottenere incarichi per i quali erano previsti requisiti che il giornalista in realtà non possedeva. 

A giudicare dall'assenza di nuove notizie al riguardo, non devono aver trovato niente: Giannino ha solo commesso un atto di vanità personale; sicuramente grave, data la valenza politica, ma senza rilevanza penale.
Insomma, non un criminale: un vanesio bugiardo. 

A parere di chi scrive, Oscar Giannino si è bruciato ogni possibilità di guidare il Movimento: il segretario di un partito politico è un po' il simbolo del sistema di valori che quel partito porta avanti e le menzogne di Giannino, anche se non hanno rilevanza penale, minano alla radice l'immagine di un Movimento che ha tra i propri punti chiave la trasparenza e la correttezza e che, paradossalmente, si batte proprio per... l'abolizione del valore legale del titolo di studio! :-)
Non si capisce perché Giannino, la cui eccellente preparazione in economia è fuor di dubbio, non sia andato dinanzi ai suoi potenziali elettori a dire che proprio uno come lui è la dimostrazione di quanto poco contino i pezzi di carta e quanto, invece, il duro lavoro ed il merito.

Resta però il fatto che Giannino, nel tentativo di riparare, ha stabilito un precedente nuovo nella storia della politica italiana: non era mai successo che un leader politico si dimettesse a pochi giorni dalle elezioni, ammettendo pubblicamente ogni responsabilità, scusandosi e promettendo che non avrebbe accettato un seggio, in caso di sua elezione; tra l'altro per questioni che (sino a prova contraria) non costituiscono reato, ma solo un danno d'immagine.
Potrà forse essere una consuetudine in alcuni Paesi stranieri; ma questa è l'Italia, dove da anni siedono quasi cento parlamentari incriminati da reati che vanno dalla concussione, all'abuso d'ufficio e a salire sino al concorso esterno in associazione mafiosa; questo è il Paese dove nessuno si dimette mai, e quelli lasciati fuori dall'elenco dei candidati o minacciano di "parlare ed inguaiare tutti" o afferrano le liste e scappano via, inseguiti in macchina come in un remake di Miami Vice.

In un Paese così, il gesto di Giannino, non motivato da fatti di rilevanza giudiziale, di addossarsi le colpe e farsi da parte in sole 48 ore dallo scoppiare del caso appare come una novità assoluta; un po' come le dimissioni dell'ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, solo che stavolta è accaduto appena prima del voto, quando probabilmente il danno elettorale e politico è massimo.

In molti, fuori da FiD, hanno auspicato (non senza avere un loro tornaconto politico) che Giannino si ritirasse a vita privata.
Invece, a parere di chi scrive, l'eccentrico giornalista piemontese ha appena dimostrato, con il modo serio in cui ha cercato di porre rimedio alle proprie menzogne, che se rispetta l'impegno di restare fuori dal Parlamento per questo giro, pur senza più avere ambizioni di leadership, potrà tornare a chiedere di farsi votare molto più degnamente di chi lo critica.

La prossima volta, preferibilmente, senza dannosi atti di vanità. 

Saluti,

(Rio)

venerdì 22 febbraio 2013

Elezioni 2013 - Qualche chiarimento doveroso

Salve.

Stavamo appena cominciando ad abituarci ad un regime politico normale, quando -- tutto d'un colpo -- ci siamo ritrovati di nuovo in campagna elettorale. 

Come di rito, da tutte le parti sono immediatamente partiti gli slogan, le frasi ad effetto e, neanche a dirlo, una mareggiata di promesse elettorali.

In questo breve post non voglio entrare nel merito dei programmi dei partiti politici, perché se no mi ci vuole un'enciclopedia, più che un blog. Mi limiterò quindi a tre semplici considerazioni di base, che possono servire a tutti come bussola per valutare questa o quell'offerta programmatica. 

Punto primo: se tagli le entrate, devi tagliare anche le spese; oppure devi fare debiti ma, prima o poi, i debiti si devono pagare. E quindi quei soldi, prima o poi, devono saltare fuori. Inoltre, di solito i debiti si pagano con gli interessi. E ci vogliono ancora più soldi per farlo, cioè più di quanti ce ne sarebbero voluti pagando subito. Non ci sono pasti gratis in natura.
Non ci vuole mica un Nobel in economia per afferrare il concetto.
Quindi, il mio modesto consiglio e': nei programmi, non leggete solo come il partito vuol spendere i soldi. Quella e' la parte facile: si scrive un bel libro dei sogni senza copertura finanziaria. Cercate piuttosto come intende reperirli, i soldi per fare cio' che vuol fare; quali costi vuol tagliare e quali spese vuol ridimensionare.
E fatevi sempre i conti da soli: chi vi dice che vuol risanare il bilancio dello stato semplicemente tagliando i costi della politica e' come chi sostiene di voler svuotare un lago usando un bicchiere. Non fatevi ingannare.

Punto secondo: la lotta all'evasione fiscale è sacrosanta, ma non è affatto priva di conseguenze negative per l'economia. Specie in tempi di crisi, ci sono molte aziende che restano aperte solo perché evadono.
Chiedere loro di pagare le tasse è giusto, ma chi lo fa deve anche assumersene il costo politico, che non è affatto irrilevante: significa più chiusure di aziende, più disoccupazione, meno consumi (perché un disoccupato ha meno denaro da spendere), che portano a meno fatturato per chi rimane aperto, quindi a meno investimenti e a meno competitività, oltre che meno entrate fiscali per lo Stato, che di conseguenza... deve alzare le tasse.
Nel frattempo, tanta gente in piazza (di solito gli stessi che chiedevano la lotta all'evasione un anno prima), pesanti accuse di "Paese strangolato" da Destra o di "macelleria sociale" da Sinistra, richieste di dimissioni e tutto l'armamentario nazional-demagogico di rito.
In breve: in tempi di crisi, la lotta all'evasione può facilmente diventare il serpente che si morde la coda. E' sicuramente una cosa giusta, ma non è così semplice come ci raccontano. Soprattutto adesso.

Punto terzo: tralasciando le polemiche su chi dice "tassa patrimoniale" e poi invece vuol tassare i redditi, se si propone che il patrimonio di chi possiede molti beni vada tassato, bisogna comunque stare attenti e chiedersi sempre: "Da dove viene quel bene e soprattutto come viene impiegato?" E' la conseguenza di una rendita oppure e' un bene strumentale d'impresa, cioè uno strumento con cui si produce?
Spiegazioncina breve: tassare gli immobili di uno che ha venti appartamenti è una cosa; tassare il capannone, la sede operativa o la flotta aziendale di un'impresa è ben altra.
Tassando i primi, si recupera qualcosa in più (anche se probabilmente meno di quello che si racconta in campagna elettorale), mentre tassando i secondi si spinge solo la gente a trasferire le proprie attività all'estero.

Sperando di aver fatto cosa utile, vi saluto.
E andate a votare, perdindirindina.

(Rio)

venerdì 1 febbraio 2013

Acchiappando farfalle nel programma del Movimento 5 Stelle



Salve.

E' tempo di elezioni e cosi' presento di seguito alcuni commenti sul programma del Movimento Cinque Stelle in materia di Economia.

Premetto, per correttezza, che chi scrive non e' un elettore del M5S, ne' mai lo sara'.
Ma avrebbe potuto anche esserlo, se solo il M5S si fosse limitato ad occuparsi dei temi con cui e' nato anni fa e sui quali ha dimostrato competenza e serieta', invece di montarsi la testa e di scrivere un programma a 360 gradi che dimostra -- su temi critici come l'economia -- una sostanziale ignoranza e una notevole dose di incoscienza, anche.

In materia economica, il Movimento Cinque Stelle si comporta praticamente come un bambino che si diverte a smontare un apparecchio elettronico rotto di cui non capisce niente, cercando di aggiustarlo: puo' solo fare disastri.

Oggi, il M5S avrebbe potuto essere il VERO Pirat Partei italiano, con proposte eccellenti in tema di virtualizzazione delle procedure amministrative e dei contenuti. Ha scelto invece di fare il passo piu' lungo della gamba e, nonostante una probabile affermazione elettorale alle prossime politiche, se non cambia rotta e se davvero realizza una qualsiasi delle proposte elencate qui sotto, mettera' il Paese in acque anche peggiori di quelle in cui gia' si trova.

E allora ha ragione Oscar Giannino, quando dice che le idee in materia economica di Grillo sono "roba da ambulanza"? Be', secondo me, si', specie se si considera che una delle premesse economiche dei grillini e' quella di tagliare i costi e gli sprechi, a partire da quelli della politica e dei livelli amministrativi intermedi, come le Province.
Ma vediamo queste proposte. Io ne ho estrapolate alcune: le piu' folli.
Il programma per intero lo trovate a questo link.


SUL TEMA (FONDAMENTALE!) DELL'ECONOMIA, IL M5S VORREBBE:

Abolizione delle scatole cinesi in Borsa.
Questa abolizione della finanza derivata cosi', per decreto, e' bellissima.
E' la tipica trovata qualunquista casaleggiana per prendere all'amo chi di finanza non capisce nulla.
C'e' una roba strana che nessuno sa bene come funziona e che a volte causa disastri?
Abroghiamola! Tanto chi ci capisce niente...
Complimenti a Casaleggio: il suo lavoro di consulente in demagogia lo sa fare.

Abolizione della legge Biagi.
Sottotitolo: e da domani si torna a lavorare tutti in nero.
(Forse dovrebbero aggiornare il programma alla Riforma Fornero, ma l'intento e' chiaro: abolire la flessibilita' per abolire il precariato. Come non averci pensato prima?).
Questi che vogliono combattere il precariato abrogando le norme sui contratti flessibili sono come quei fanatici battisti o metodisti che nell'Ottocento volevano impedire la prostituzione introducendo il coprifuoco al tramonto.Non avevano capito il problema.

Impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno.
Impedire? Come "impedire"?
Innanzitutto, la cosa sembra prefigurare un comportamento anticoncorrenziale, probabilmente contrario ad una lunga serie di direttive comunitarie, ma lasciamo perdere.
Solo, se i proprietari di queste aziende-alimentari-eccetera decidessero di "smantellare", perche' a loro conviene cosi', che facciamo?Li arrestiamo?
Oppure le loro aziende se le compra lo Stato per salvare posti di lavoro?
Ma non dovevamo tagliare i costi?
E ci mettiamo a comprare fior di aziende improduttive?
E quanto ci costa? E dove prendiamo i soldi?

Vietare gli incroci azionari tra sistema bancario e industriale.
Cosi', per decreto. Vorrei proprio vedere come fanno.
Voglio leggere il disegno di legge, per farmi quattro risate.
Suggerimento: perche', gia' che ci siamo, non abroghiamo per decreto anche i programmi elettorali fatti di fumo?

Introdurre la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite.
Sicuro. Potete dire addio: alle societa' di revisione, alle societa' di rating, alla quasi totalita' del business di intermediazione mobiliare, agli edge funds ed alla gestione dei patrimoni wealthy. Questo  per citare le prime cose che mi vengono in mente.
Privato di tali sbocchi, un fiume in piena di denaro si riversera' nei soliti approdi sicuri, cioe' nell'oro e nel mattone: vi lascio immaginare le conseguenze.

Impedire ai consiglieri di amministrazione di ricoprire alcuna altra carica nella stessa società se questa si e' resa responsabile di gravi reati.
Avete letto bene: c'e' scritto questA, con la A. E' riferito alla societa', non al consigliere. Sara un refuso: forse volevano dire questI con la I.
No, perche', messa giu' cosi', significa che Tizio commette il reato e Caio, che siede nel consiglio di amministrazione, non puo' ricoprire un altro incarico nella stessa societa'.
E perche'? Perche' forse "non poteva non sapere"?
Il CFO trucca i bilanci, magari lo fa anche bene, e il consigliere "lo doveva sapere"?
E la responsabilita' personale nei reati penali? E la presunzione di innocenza? Riscriviamo tutto l'impianto giuridico e diventiamo il primo Paese al mondo con un diritto penale collettivo e la presunzione di colpevolezza?

Introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato.
Eccone un altro che non sa in quanti modi si puo' remunerare un executive in un'azienda.
Attuata alla lettera, ammesso che sia attuabile (ma, come avrete capito, l'attuabilita' non e' una priorita' per la Casaleggio & Associati: e' il consenso che conta), questa cosa significa che tutti i migliori manager andranno a gestire ed a realizzare utili per aziende che sono all'estero, mentre noi ci terremo quelli che nessuno vuole.
Un colpo di genio.

Abolizione delle stock options.
Ma studiare un po' di storia recente delle crisi finanziarie, proprio no?
Le stock options non solo devono restare, ma devono sostituire i bonus e rimanere incedibili nel medio periodo, proprio per contrastare le cause che hanno favorito e rafforzato la crisi del 2008.

Allineamento delle tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità, trasporti agli altri Paesi europei.
Un modo sicuro c'e', Grillo: si chiama liberalizzazione del mercato.
 Funziona anche con le banche, sai?
Quelle in perdita che tu vuoi nazionalizzare a spese del contribuente.
E menomale che vuoi tagliare gli sprechi.

Favorire le produzioni locali.
Se e' mediante forme di protezionismo, si sappia: e' vietato dall'U.E.
Perche' -- pensate un po' -- e' un comportamento contrario alle logiche del mercato unico.
Chi l'avrebbe mai detto, vero?

Sostenere le società no profit.
Come? Le reggiamo con una mano?
Oppure de defiscalizziamo ancora? E i mancati introiti per l'erario come li compensiamo?
Ma per avere un po' di dettaglio dal M5S, cosa bisogna fare?
Andare a casa di Casaleggio?

Sussidio di disoccupazione garantito.
Be', se sovvenzionate, sostenete e nazionalizzate tutto quello che dite di volere sovvenzionare, sostenere e nazionalizzare, se ritenete che persino i 10mila e passa forestali siciliani "non siano un problema", non vi restera' un centesimo.
Come lo create il fondo per il sussidio di disoccupazione garantito?
Stampando cartamoneta a Sestri Levante?
Tagliando le famose "auto blu" ed i "privilegi della politica"?
Ma ce l'avete un'idea -- anche vaga -- di quanti soldi vi servano e, quindi, di quanti costi vadano tagliati, per finanziare il fondo per un sacrosanto sussidio di disoccupazione garantito che sia degno di tale nome?

E questo su Grillo.
Un'ultima riflessione vorrei dedicarla a quelli che dicono che la sostanza vince. Ottimisti.
Così, si rischia di commettere un altro mio errore: quello di sottovalutare la "pancia degli Italiani".
Anch'io dicevo, alle scorse politiche: "Berlusconi non puo' vincere, la gente ne ha abbastanza, non
e' cosi' stupida..."
Conclusione: Berlusconi ha ottenuto il miglior risultato di sempre.
Poi, dopo Monti, ho anche detto: "La gente non puo' mica ricascarci di nuovo..."
Conclusione: Berlusconi nei sondaggi e' ormai a pochi punti dal PD.

Ammettiamolo tutti una buona volta:
purtroppo, l'Italia non e' un granche'.
E' un Paese superficiale, popolato da gente emotiva e puerile, che ha sempre una gran voglia di scorciatoie comode.
Altro che chiesa cattolica, mafia, razzismo nord-sud, questione meridionale e compagnia bella: la vera anomalia italiana e' che
l'Italia non e' un granche'.

Casaleggio questo lo sa. 

E Casaleggio il suo lavoro lo sa fare.

Saluti,

(Rio)