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venerdì 13 dicembre 2019

Brexit, oh my Brexit

Salve. 

E così, i Conservatori di Boris Johnson hanno la maggioranza assoluta. Quindi, la Brexit, in qualche modo, in qualche forma, si farà. 

Intendiamoci: se state leggendo questo post sperando di sapere come saranno le regole del Regno Unito post-Brexit, vi avverto subito che state perdendo tempo. Non lo sa nessuno. 
Sì, certo, Boris Johnson ha dei piani belli, pronti e definiti. Ci ha fatto pure un bel foglio di Excel. Ha ammorbato l'etere albionico per settimane con infografiche, proclami, proiezioni, nuove normative,  tutto. 

Ma quello che molti qui in UK sembrano davvero non voler capire è che la Brexit non è un processo unilaterale, né potrà mai esserlo. Altrimenti, la partita sarebbe stata chiusa già tre anni fa. 
La Brexit è una negoziazione tra due parti. E dall'altro lato della scrivania c'è una controparte tosta, agguerrita e, a questo punto, pure parecchio incazzata che si chiama Unione Europea. 

Che piaccia o meno ai reali sudditi ed elettori del biondone, è questa possente controparte ad avere l'ultima parola su ogni-singolo-punto dell'accordo; a meno che Londra non rinunci a negoziarlo, un accordo, optando per la cosiddetta "hard Brexit", il taglio netto che, nei confronti dell'Unione Europea, porrebbe il Regno Unito alla stessa stregua, diciamo, dell'Australia. 
Pur essendo anche questa una opzione sul tavolo (da oggi, più che mai), sono in molti qui a non essere sicuri che sia una grande idea per il Paese.

Per inciso: da Italiano a Londra (pur con doppia cittadinanza), in questo momento provo sentimenti classificabili tra la depressione e la rabbia, tra il "mai una gioia" ed il "vaffanculo a quest'epoca di sovranisti di merda". Ma giustamente, a voi, di quel che provo io cosa ve ne frega... Quindi vi risparmio lo sfogo. In fondo sono soltanto affari miei. 

Vi dico solo che stavolta una piccola gioia forse c'è: in teoria, quel comunista antisemita di Jeremy Corbyn dovrebbe finalmente levarsi dai piedi. E con lui, dovrebbe sparire tutta la sua cricca filo-russa, filo-islamista, filo qualsiasi cosa che non sia una democrazia moderna, secolare, occidentale e, beninteso, borghese

Detto ciò, fa sorridere l'ingenuità di quelli che salutano festanti il rialzo della sterlina di stamattina, convinti che questo significhi qualunque cosa che non sia solo la fine dell'incertezza, dello stallo. Le reazioni a breve dei mercati hanno carattere emotivo, si sa. 
Credo sarà molto più interessante osservare le reazioni dei mercati, quando uno qualsiasi dei problemi irrisolti che ora vado a descrivere ‒ tutt'altro che ipotetici, vi assicuro ‒ si presenterà sulle scrivanie del nuovo esecutivo a guida Johnson.

Cominciamo da quelli interni.

La questione scozzese
La Scozia, tre anni fa, ha votato a maggioranza (62%) per restare nell'UE. In queste elezioni lo SNP, lo Scottish National Party, il partito indipendentista scozzese favorevole alla secessione dal Regno Unito ed all'ingresso di una Scozia indipendente nell'Unione Europea, ha ottenuto un ottimo risultato. 

Nicola Sturgeon, la leader dello SNP, ha dichiarato che interpreta questo risultato elettorale come un chiaro mandato del Popolo Scozzese per un secondo referendum sull'indipendenza della Scozia. 
All'epoca della prima consultazione secessionista, infatti, non si era ancora tenuto il referendum sulla Brexit, per cui ‒ sostiene non a torto lo SNP ‒ gli Scozzesi hanno votato sì per restare nel Regno Unito, ma all'interno dell'Unione Europea. 

Ora, però, lo scenario è completamente cambiato: gli Scozzesi non hanno alcuna voglia di andare alla deriva insieme al resto del Regno Unito, e torneranno a chiedere a gran voce un nuovo referendum sull'indipendenza, forti anche del risultato dello SNP. Se Johnson negherà loro questo diritto, è difficile prevedere con certezza cosa potrebbe accadere. Niente di buono, temo.

La questione nord-irlandese
Sul fronte doganale ‒ ovvero, sul transito delle merci tra le due "Irlande", quella fuori dall'UE, l'Ulster, e quella dentro l'UE, l'EIRE ‒ pare che già prima delle elezioni si sia raggiunto uno straccio di intesa tra Regno Unito ed Unione Europea. In realtà, i funzionari nord-irlandesi hanno recentemente espresso forti preoccupazioni sul processo di transizione, che prevede che per un tempo limitato le regole doganali in Ulster restino quelle UE; ma su questo punto almeno una bozza c'è.

Resta invece la scottante questione della libera circolazione dei capitali e delle persone: le forze politiche nord-irlandesi hanno ribadito a tamburo battente che non accetteranno alcuna ulteriore limitazione alla circolazione dei cittadini dell'Ulster all'interno dell'isola, e sono tutte sul piede di guerra, su questo punto.

Del resto, è cosa arcinota che gli Irlandesi dei due Paesi hanno parenti, amici, affetti e interessi in entrambe le "Irlande", e non hanno alcuna intenzione di farsi dire da nessuno dove possono o non possono andare. Il ricordo di un'Irlanda divisa e in perenne conflitto è ancora molto vivo nella memoria collettiva ed i benefici per l'economia provenienti dalla libera circolazione di merci, capitali e persone degli ultimi anni sono bazzecole, in confronto all'aumento della pace sociale che ne è derivato. 
Dall'altra parte, l'Unione Europea non sembra molto propensa a fare delle eccezioni, qui: visto e passaporto per tutti. 
Quanto alla circolazione di capitali, poi, non se ne è nemmeno parlato seriamente: sarà uno spasso.
Se all'interno dell'esecutivo Johnson dovesse prevalere una linea di fermezza, del tipo "fate come il resto del Regno Unito e non rompete"... Be', visti i precedenti, forse stavolta, diversamente dalla Scozia, non è così difficile capire cosa potrebbe accadere; ma io preferisco non pensarci. 



E veniamo adesso ai problemi esterni. 

Il nuovo colonialismo economico
Il mondo del futuro prossimo venturo sarà sempre più caratterizzato da pochi soggetti economicamente e/o militarmente molto più forti di tutti gli altri: alcuni li chiamano "big players". Io li chiamo molto più prosaicamente "squali"

Questi squali hanno capito bene che, nel Terzo Millennio, per colonizzare un altro Paese non serve sconfiggerlo in guerra: è sufficiente comprarselo un po' per volta. 

Infatti, nel cosiddetto Primo Mondo (cioè noi), la gente ormai è talmente assuefatta al proprio stile di vita, ai propri diritti, che si priverebbe di qualsiasi cosa, pur di non perdere il proprio status; inclusa la pienezza della propria sovranità. 
Lungi dall'essere una semplice "limitazione alla sovranità degli Stati Nazionali", come dicono i soliti imbecilli sovranisti, l'UE è una unione di Paesi piccoli, ridicoli nella loro spocchiosa e patetica grandeur, che da soli non conterebbero un cazzo di niente nel mondo. Un cazzo di niente. 
Uniti, però, e forti non certo del loro esercito, ma del grande peso dato dalla somma delle loro economie di nazioni del Primo Mondo, riescono, in qualche modo, a fare muro. Non dico a contare, ma almeno a resistere.

In un certo senso, l'Unione Europea rappresenta per i propri membri una baia al riparo dalle onde alte, un porto sicuro che protegge chi vi sosta dai rischi di imbattersi negli squali

E veniamo allo UK. Da quando 'sta storia della Brexit tiene banco, il Regno Unito sta perdendo pezzi di economia e posti di lavoro. Alcuni episodi fanno notizia, mentre altri, invece, no. Resta che è un processo costante; ora lento, ora meno lento, ma continuo. E' cominciato col settore finanziario, per poi estendersi anche al settore "retail" (vendita al dettaglio). 
Anche se la chiave di lettura non è univoca, i dati non sono certo confortanti. L'economia britannica non va ancora male, ma non va nemmeno bene. 

Una volta che ci sarà la Brexit, questo piccolo Paese (sì, piccolo: perché qualcuno deve pur dirlo agli Inglesi, una buona volta, che non siamo più ai tempi del grande Impero Britannico della Regina Vittoria, cazzo!), con un'economia dalle prospettive incerte ed una serie di tensioni secessioniste interne, abbandonerà il porto sicuro dell'Unione Europea per farsi una bella nuotata in mare aperto, dove ci sono gli squali
Secondo voi, come andrà a finire? Facciamo qualche ipotesi.

Uno squalo (se va alla meno peggio, gli USA; poi, nell'ordine, Cina, Russia e Paesi Arabi) si offre di fare rilevanti investimenti in Gran Bretagna per recuperare i posti di lavoro persi e far risalire l'economia. 
In cambio, chiede a Londra soltanto di ratificare una serie di accordi bilaterali in cui il Regno Unito si impegna a vincol... ehm, relazionare sempre più la propria spesa pubblica ed il proprio import con l'export dello squalo, assicurandogli condizioni privilegiate
A seguire, lo squalo chiederà anche leggi, ad esempio normative sulla sicurezza che ‒ ma tu guarda la combinazione! ‒ combaciano perfettamente con le caratteristiche dei prodotti e dei servizi offerti dallo squalo stesso, garantendogli una posizione di vantaggio competitivo sul mercato. 
Così, lo squalo avrà di fatto messo un piede nel Parlamento del Regno Unito; ne influenzerà le decisioni, ne condizionerà la vita, ne orienterà il futuro. Et voilà. Il Regno Unito si ritrova gradualmente a somigliare sempre di più ad una colonia economica. Il gioco è fatto.
A quelli di voi che credono sia fanta-geopolitica, vorrei solo far notare che questo è già successo molte volte nel corso del XX secolo, ed in molti modi diversi.

All'Unione Europea si rimprovera spesso, e mica a torto, di essere un cazzo di carrozzone burocratico e senza un numero di telefono, cioè senza nessun "capo" da chiamare se le cose vanno male e c'è bisogno urgente di prendere decisioni. 
Però questa carenza di leadership forte ci dà anche spazio; ci dà indipendenza e sicurezza allo stesso tempo. Siamo sì in una bolla in cui forse non succede abbastanza, ma è una bolla che, in qualche modo, ci protegge.

Non vorrei che si stesse avvicinando il giorno in cui ‒ nel Regno Unito prima e in Italia poi ‒ ci troveremo tutti a rivalutarli, i carrozzoni.

Saluti,

(Rio)




domenica 29 settembre 2019

Greta Thunberg, la rabbia e le soluzioni


Salve. 

Credo che non ci sia persona sulla faccia della Terra che non abbia visto e sentito l'intervento della sedicenne svedese Greta Thunberg al summit sul clima delle Nazioni Unite. 

Un grido di rabbia, di indignazione, di frustrazione accompagnata da lacrime, sulla inettitudine della classe politica mondiale nell'affrontare l'emergenza climatica. La Thunberg ha parlato di ecosistemi che collassano, di gente che muore, coronando il tutto con dichiarazioni ideologiche non esattamente in linea, del tipo "siete qui a raccontarci favole sulla crescita infinita" o "avete privato me e la mia generazione dei nostri sogni", nonché l'ormai celeberrimo "come osate?!" ("how dare you?!", prudentemente tradotto da molti giornali in Italia con un più educato "come avete potuto?!"; ma si sa, in Italia sono tutti bravissimi a capire le cose). 

Chiariamo subito una questione: l'emergenza legata al cambiamento climatico non l'ha inventata Greta Thunberg, né qualche gruppo oltranzista di ecologisti radical chic. L'emergenza climatica è una realtà confermata da centri di ricerca e comitati scientifici di tutto il mondo. 

Dove ci si divide ancora, casomai, è sulle cause che l'hanno determinata oltre che, ovviamente, sui modi migliori per affrontarla. Ma è un fatto che la temperatura del pianeta è in aumento e che, fosse anche vero che questo è già successo altre volte in passato, di sicuro quelle volte non avevamo sette miliardi di esseri umani sulla Terra. 

Quindi il problema è reale. 
Sinora, a parlarne c'erano alcuni impavidi scienziati (inascoltati), qualche politico "verde" come Al Gore (deriso) e sparuti gruppi d'azione, più o meno ideologizzati, che ogni tanto riuscivano a conquistare le pagine dei giornali, prima di ripiombare inevitabilmente nell'oblio. 

Poi è arrivata Greta Thunberg. Una adolescente svedese, appassionata di temi ambientali, non dotata di retorica particolarmente brillante (anzi), ma con la grinta giusta, il look giusto, la tenacia giusta, le circostanze giuste, non lo so. Fatto sta che, da quando c'è lei, la questione ambientale ha riconquistato finalmente le prime pagine dei giornali, le aperture dei telegiornali, i temi in cima alle agende dei convegni mondiali, sino ad imporsi come "il tema", "la battaglia" del futuro in grado di mobilitare i giovani in massa. Tanto di cappello. 

A Greta Thunberg va dato atto di aver portato per la prima volta nella storia dell'umanità la questione del cambiamento climatico esattamente al centro del dibattito internazionale, sino nelle stanze più alte del "Potere" (anche di quello scritto con una pasoliniana ed inquietante "P" maiuscola). 
Non era mai successo prima. 
E queste sono conquiste mica da poco. Sono grandi vittorie di buon senso per cui noi altri dobbiamo esserle grati; altro che chiacchiere.

Il problema vero è che la denuncia non va bene, va benissimo; ma non basta. Ciò che occorre, qui, è trovare soluzioni praticabili, ragionevoli, fattibili; e che occorre trovarle in fretta, anche. 

Su questo, purtroppo, la GretAlleanza (così io voglio chiamare il gruppo di attivisti che lavora con e per Greta Thunberg) è inesorabilmente scivolata sul tipico, vecchio, trito ambientalismo ideologico oltranzista.
Per capirci, la Thunberg era solita dire, sino a non molto tempo fa, che un solo volo intercontinentale vanifica un anno di raccolta differenziata a Stoccolma. Io non so se questo sia vero, ma supponiamo pure di sì. La soluzione di Greta Thunberg sarebbe, semplicemente... quella di rinunciare a volare. 
E' la solita storia de "Il progresso inquina, quindi fermiamo il progresso". 

Ora, è più che evidente che fermare o anche soltanto ridimensionare le industrie inquinanti a livello mondiale avrebbe delle enormi ricadute sul piano economico, occupazionale, sulla qualità della vita e persino sulle aspettative di vita di miliardi di persone. Non pensate soltanto alle industrie colpite in senso stretto. Pensate anche all'indotto; ai servizi connessi. L'effetto a catena sarebbe talmente grande da risultare davvero difficile da stimare con esattezza.
Se nel 2008 la crisi di una sola tipologia di prodotti finanziari, i derivati CDO, ha innescato una crisi mondiale, immaginate cosa succederebbe se chiudessimo o ridimensionassimo anche soltanto le industrie più inquinanti: quella petrolchimica, quella estrattiva, le acciaierie, quelle delle materie prime e dei semilavorati... Sono tutte inquinanti. Tutte. 

In che modo avrebbe affrontato e risolto certe questioni secondarie la GretAlleanza, non è dato saperlo. Ma ultimamente, pare che abbia cambiato stile comunicativo e che oggi suggerisca come misura cardine contro l'aumento di CO2 nell'atmosfera quella di piantare miliardi di alberi e di altre piante, in particolare di quelle specie che sono più capaci di intrappolare anidride carbonica. 
Per quel niente di ecologia che so io, a me pare una proposta decisamente più sensata e condivisibile del solito "fermiamo tutto" che darà pure grandi soddisfazioni emotive a chi lo enuncia, ma che non ha mai risolto niente.

La nota davvero stonata della visione gretesca del problema (consentitemi il neologismo) è rappresentata dalla --per ora-- velata coloritura socialista-terzomondista nel messaggio che, almeno nelle rivendicazioni contro il progresso, è come un filo d'olio d'oliva: non guasta mai. 

Nell'intervento della Thunberg, infatti, non sarà sfuggita ai più l'accusa ai politici di tutto il mondo che "ci vendono favole sulla crescita infinita". A parte che a me questo non risulta, ma mi sembra un'accusa molto discutibile, posto che viene da una che vuol venderci il mito della decrescita felice

Dico che a me non risulta perché chiunque abbia studiato un po' di economia sa bene che la crescita infinita, almeno nel modo in cui probabilmente la intende lei, non esiste né è mai esistita. Ciò che accresce la ricchezza di una nazione è la sua capacità di produrre valore aggiunto dalle risorse che sono a sua disposizione, non lo sfruttamento di maggiori quantità di quelle stesse risorse. 
Altrimenti tutti i Paesi produttori di materie prime sarebbero benestanti e noi altri che invece le importiamo saremmo tutti poveracci. 
Quando un Paese si organizza meglio sul piano normativo, produttivo, tecnologico e delle risorse umane, riesce a ricavare più ricchezza da quello che ha già: non gli serve spremere di più il pianeta. Anzi, la cosa diventa controproducente, perché lo impoverirebbe nel lungo termine.
Certe cose, il capitalismo le sa benissimo.

Persino sul piano macroeconomico questa storia della "crescita infinita in un mondo di risorse finite" non ha alcun senso: tutti i sistemi conoscono momenti di crescita, momenti di stasi e momenti di crisi.
Ciò che davvero abbiamo avuto negli ultimi 70 anni e passa, almeno qui in Europa, è stato un periodo di pace e di stabilità politica, che ha comportato un periodo di crescita economica prolungata in Paesi che avevano anche gli strumenti politici ed organizzativi per redistribuirla. Questo ha fatto sì che in Europa le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione migliorassero enormemente. 

Si potrebbero portare centinaia di esempi storici in cui non una crescita infinita, che non esiste, ma una fase di crescita economica prolungata abbiano migliorato la qualità della vita di interi popoli.
Stiamo ancora tutti aspettando, invece, che la GretAlleanza o chi per lei ci presenti anche solo un unico, fulgido caso storico di decrescita felice che abbia funzionato non dico nel lungo periodo; mi va bene anche nel medio periodo. 

Un ultimo accenno ai soliti, patetici tentativi di legare la crisi climatica alla lotta al capitalismo. Gira in rete uno slogan a effetto che recita più o meno: «L'ambientalismo senza lotta al capitalismo è giardinaggio».
La frase viene attribuita a varie persone, dall'ambientalista brasiliano Chico Mendes a mio nonno, ma il punto non è questo, posto che devi essere davvero alla frutta per tentare anche certe strade.
Chi sostiene --e con che coraggio!-- che "la lotta per l'ambiente è inscindibile dalla lotta di classe" (cit.), chiaramente, non conosce, non ricorda o ignora l'enorme contributo allo sfacelo ambientale da parte della sgangherata industria pesante socialista, con le sue fabbriche antiquate dotate di ciminiere senza alcun depuratore collocate al centro delle città (fatevi un giro in una capitale qualsiasi di un ex Paese comunista europeo, per rendervene conto), dei massicci sversamenti di sostanze chimiche pericolosissime a Dzerzinsk, dell'inquinamento di metalli pesanti (cadmio, selenio, piombo, zinco) in Siberia, con intere aree in cui l'aspettativa di vita è del 15% più bassa che altrove. 

Ma senza arrivare a parlare delle discariche di scorie nucleari del Kirghizstan, guardate soltanto all'inquinamento dei Paesi che sono o si dicono ancora socialisti oggi: il Venezuela, un Paese petrolifero privo di qualsiasi cultura ambientale. Si pensi solo a cosa succede nel lago di Maracaibo; alla deforestazione amazzonica, che in Venezuela raggiunge livelli da record (con buona pace del povero Chico Mendes, buonanima).
Eppure è strano: secondo alcuni, l'ambientalismo è connaturato al socialismo. Sono una cosa sola, no? Vero?

Saluti,

Rio

martedì 6 agosto 2019

Il cosiddetto "Popolo Italiano"


Salvini si affida alla Madonna di Medjugorje
Salve.

È da tanto che non scrivo, anche perché, francamente, di cosa dovrei parlare?

Sono partito, anni fa, occupandomi di questioni di economia, di lavoro, di temi sociali elevati e di politica e mi ritrovo, a poco più di dieci anni di distanza, a dover commentare gli strafalcioni di Di Maio o le uscite di Salvini, il Ministro degli Interni che il giorno della commemorazione delle vittime della strage di Ustica se ne sta a Milano Marittima a divertirsi, come se avesse vinto il Grande Fratello, invece di essere il Vicepresidente del Consiglio.

Quindi non scrivo. 
Perché, diciamolo, oggi di cosa potrei scrivere?
Del MoVimento del Cambiamento che s'inventa i mandati zero "che non vanno conteggiati"? Del gruppo parlamentare di ragazzi meravigliosi che fa l'esatto contrario di quel che aveva promesso in campagna elettorale, sulla TAV, sulla TAP, sul Parlamento Pulito, sulle Olimpiadi, sullo streaming, sull'euro, sulla UE, sulla trasparenza dei meccanismi interni, sull'uno vale uno, sui migranti, o che riduce —come io avevo già previsto anni fa— il Reddito di cittadinanza ad una mera operazione di creazione di ulteriore debito?

O dovrei forse parlare dell'esuberante esponente leghista-barra-sovranista che fa un milione di cose che fino a ieri né la Lega né il M5S avrebbero mai tollerato da parte di nessun altro? Del prode signor "arrestatemi pure" che si nasconde dietro l'immunità per evitare i processi, spalleggiato da un Parlamento di honesti che chiude prima un occhio e poi tutti e due sul furto del secolo (sì, parlo di quei benedetti 49 milioni di euro di soldi pubblici che nessuno sa davvero esattamente come siano stati spesi e dove siano finiti, di preciso)? Dello stesso Parlamento di virtuosi che permette a Salvini di mentire prima e di non rispondere poi sui suoi rapporti poco chiari con Vladimir Putin, stretti al punto da prendere forse soldi da Mosca e da permettere allo zar di intervenire tramite l'ambasciatore russo in Italia su questioni interne, come gli scioperi al Petrolchimico di Siracusa?

O forse dovrei commentare le gesta dei leoni del Nuovo PD di Zingaretti, la cui strategia politica sembra improntata al fingersi morti, salvo qualche occasionale uscita fuori luogo, come il prendere prontamente le distanze da Scalfarotto che visita in carcere gli imputati americani per l'omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, unico esponente Dem a ricordarsi che siamo ancora in democrazia, in uno Stato di diritto, con tutti gli altri "compagni" impegnati a fare qualsiasi cosa, fuorché darsi una linea politica chiara e risolvere i propri annosi problemi interni?

E come dimenticare Berlusconi, che si inventa ripartenze politiche ed alleanze quantomeno improbabili, ove non fantascientifiche, tutte con lui come protagonista e leader? E non soltanto non sembra rendersi conto che non se lo fila più nessuno, ma nemmeno si accorge che in Italia non esiste un vero fronte liberale almeno dal 2009? 

Oppure potrei fare un bel post su quelli di Più Europa, che quel fronte liberale vorrebbero rappresentare, salvo poi utilizzare le truppe cammellate di Tabacci, come si faceva decenni fa, per far eleggere segretario Benedetto Della Vedova —brava persona eh, per carità; ma determinante come un contagocce in un mare in tempesta— invece di Marco Cappato, acclamato dalla base, ma troppo ribelle, brioso e indomabile per i gusti di qualcuno? Un gran bell'inizio dirigista, non c'è che dire. Complimenti. Poi fanno buca alle elezioni e ci rimangono anche male.

O magari, per una volta, potrei soprassedere sulla politica ed occuparmi dei giornalisti non allineati messi alla porta da direttori sempre prontissimi a correre in aiuto del vincitore? Da Giampaolo Pansa, liquidato dall'Espresso, sino ad Oscar Giannino, ostracizzato da Radio24... Senza dimenticare i servizi ossequiosi dei nostri TG nazionali, per i quali sembra ormai che uno che per ventimila e passa euro al mese si mette a fare comizi dalla spiaggia invece di lavorare al Ministero, sia un "vulcano inarrestabile" (sic). 
Una sorta di tronista di Uomini e Donne che non ha nemmeno mai cominciato a lavorare, ma è "inarrestabile"... 
Forse è un sottile riferimento alla vicenda della mancata autorizzazione a procedere. Boh.

Ma no.
Non varrebbe la pena parlare di niente di tutto questo.
Sapete perché? Perché nulla di tutto questo conta, dinanzi al "PROBLEMA". 
Il "PROBLEMA" —lo scrivo maiuscolo perché sono anni ed anni che ripeto che questa è LA SOLA, VERA QUESTIONE— è che in Italia manca il popolo

Non date retta a chi vi dice "con una legge elettorale così" oppure "con un assetto istituzionale cosà"... 
Tutte balle. 
In Italia il meccanismo di rappresentanza della volontà popolare è pressoché perfetto. Per-fet-to. 

Purtroppo.
Purtroppo perché gli Italiani non sono un popolo. 
Gli Italiani sono solo un assembramento di persone superficiali, individualiste, miopi e puerili, identiche ai propri rappresentanti a Montecitorio, a Palazzo Madama ed a Palazzo Chigi. 
  • Gli Italiani odiano i migranti perché li vedono come destinatari concorrenti di sussidi e di ogni forma di assistenzialismo di Stato che vorrebbero percepire loro ("prima gli Italiani!").
  • Gli Italiani odiano l'Europa perché l'Europa ci impone le regole della concorrenza leale con le altre imprese del Mercato Unico, regole a cui noi non vogliamo sottostare, né ora né mai; perché, da complessati quali siamo, se noi Italiani dovessimo agire secondo le regole, come potremmo mai vincere? ("No all'euro! No al giogo della Germania!" in realtà, vogliono dire "No a regole competitive da cui si evince chiaramente che gli altri sono meglio di noi", "No a confronti in cui potremmo perdere")
  • Gli Italiani non hanno mai desiderato vivere in un Paese normale. In un Paese normale, ti tocca lavorare come un fesso fino a 70 anni e sudarti anche le briciole. Ciò che gli Italiani vogliono è il ritorno della cuccagna, dei piccoli privilegi "perché hai le entrature giuste", della vita comoda fatta a spese di chi verrà dopo, grazie ai debiti che tanto non sarai mica tu a pagare. Per te, ci sono i contratti a tempo indeterminato prima e "quota cento" poi. Per chi verrà dopo di te, solo una vita da precario di merda, seguita dalla pensione sociale, a circa 380 euro al mese (calcoli di CGIL Giovani Non+).
Quindi per gli Italiani, qualunque obbrobrio compiano Salvini o Di Maio, non c'è mai niente da rilevare, niente da dire, fintanto che la cosa non li tocchi personalmente.

Il cosiddetto "popolo italiano" —che "popolo" in realtà non è, ma in qualche modo si dovrà pur chiamarlo!— è talmente preso da se stesso e dai propri bisogni particolari che non sembra nemmeno accorgersi che dall'Italia stanno andando via tutti. 

Oramai circa 290mila persone, per lo più giovani, molti dei quali laureati, abbandonano ogni anno il presunto Belpaese, in cerca mica di chissà cosa! In cerca di una possibilità. 
Ad oggi, ci sono oltre cinque milioni di Italiani all'estero e si badi che non stiamo parlando di cittadini stranieri di origine italiana: questi sono tutti "Italiani-Italiani", gente che in Italia non soltanto c'è nata, ma ci ha vissuto ed ha studiato sino alla maggiore età. 

Solo a Londra, dove vivo io, gli Italiani ufficialmente residenti sono 315mila, ma attenti: questi sono solo quelli iscritti all'AIRE, l'Anagrafe Italiani Residenti all'Estero. 
Secondo l'ambasciata d'Italia, per ogni due Italiani iscritti all'AIRE ce n'è almeno uno che vive e lavora là senza essersi mai iscritto (per adesso, l'iscrizione AIRE non è ancora obbligatoria, e comunque non esistono praticamente controlli. Vedremo se le cose cambieranno con la Brexit). 

Si stima, pertanto, che gli Italiani di Londra superino di molto i 400mila; il che significa che se siete, che so, di Bologna, ci sono più Italiani a Londra che nella vostra città. Non è mica un'opinione, questa, eh! Questo è un fatto. 

Chissà quanto ancora ci vorrà, prima che gli uomini e le donne dell'assembramento italico si accorgano che presto non ci sarà più chi può pagare loro la pensione (è matematica attuariale: con l'allungamento della vita e più di due pensionati onerosi per ogni giovane, ma nemmeno se 'sti ragazzi li fai tutti precari ce la fai a stare dentro...!). 
Chissà quanto ci vorrà prima che si rendano conto che quei migranti che vogliono respingere e lasciare annegare sono i soli che possono fare da precari, come serve per gli interessi di lor signori quei lavori che i loro giovani sono scappati a fare all'estero per uno stipendio vero e condizioni dignitose.

Ma, nel frattempo, questa politica avrà già trovato il modo di dare la colpa a qualcun altro. 
Chissà, forse a Renzi, a Berlusconi, a Prodi; o, magari, persino ad Andreotti.
Un po' se lo meritano, anche.

Saluti da Londra,

(Rio)