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lunedì 7 novembre 2022

I mantra del popolo italiano [3]

Salve. 

Concludo la mia breve disamina dei mantra ripetuti incessantemente dalla cultura dominante in Italia con questo terzo post (il primo, con le premesse e i primi tre mantra, lo trovate qui; il secondo, invece, con tre grandi classici, lo trovate qui).

In questo post finale, mi occupo di altri sette dogmi che, a mio avviso, completano il quadro. Essendo questo post il completamento dei primi due, la numerazione dei "dogmi" non parte da uno.

 

 

7. L'Italia ha grandi meriti che tutto il mondo le riconosce
E sarebbero, scusate? No, perché l'Italia ‒ per come si vede da qui (io vivo all'estero dal 2006) ‒ più che un bellissimo carrozzone di saltimbanchi in cui ogni tanto ci trovi dentro anche uno bravo, guardate che non è.
Ci riconoscono gusto estetico; ci riconoscono stile; ci riconoscono gusto culinario. Ma vi assicuro che come popolo siamo visti come dei goderecci inaffidabili, dal primo all'ultimo. E non è una cosa solo legata a Berlusconi ed al bunga-bunga. Le "olgettine" sono solo andate a consolidare una convinzione che all'estero esiste da molto più tempo. Forse dalla clamorosa decisione di Badoglio nel 1943, in cui ci svincolammo dal Patto d'Acciaio e dichiarammo guerra a quelli che letteralmente sino al giorno prima erano stati i nostri alleati. Chissà, magari anche da prima.
L'Italia è vista come un Paese che vive aggrappato al passato, un posto in cui non succede niente, in cui non si cambia mai davvero niente, come un gigantesco museo a cielo aperto; o, per usare le efficaci parole di Frank Bruni, un Paese che "procede per inerzia aggrappandosi alle sue incredibili benedizioni, invece di edificare su di esse". Il solo, vero "grande merito" dell'Italia è quello di aver avuto un passato prestigioso. Se a voi questo sembra abbastanza, be'... Suonate pure la fanfara.


8. In Italia vivevamo tutti bene, prima delle riforme ("neo-liberiste", viene aggiunto di solito)
In Italia, si è davvero vissuto bene, con un grande boom demografico ed una crescita economica elevata e costante, solo sino a metà degli Anni '60. In quegli anni, l'Italia era un Paese ancora sostanzialmente deregolato, con una bassa tassazione ed una burocrazia contenuta (almeno rispetto ad oggi). Non si percepivano ancora gli effetti dell'intervento diretto dello Stato nell'economia che, specie al Sud, finirà con il contrastare sempre più e, infine, minare pesantemente l'imprenditorialità locale. Il rapporto deficit / PIL si attestava intorno al 35%-40% (avete letto bene; non è un errore di stampa: sono i dati ufficiali), piccole aziende spuntavano come funghi e prosperavano, anche. Il tasso di natalità era ben al di sopra di quello di sostituzione, la popolazione cresceva e ‒ udite, udite ‒ in Italia si investiva notevolmente anche in innovazione e ricerca. Guardate che non vi sto prendendo per il culo: è tutto vero. L'Italia era così, in quegli anni. Un piccolo, grande Paese di cui andare fieri, operoso e prospero (in rapporto agli altri Paesi dell'epoca, si intende); una nazione con uno stile di vita, lo stile di vita italiano, che erano in molti ad invidiarci. Forse il mito del "Paese in cui tutti vorrebbero vivere" è nato allora. Allora, ad emigrare erano per lo più poveri diavoli dalle campagne, gente senza istruzione né competenze evolute. Sul finire di quegli anni, tuttavia, grazie anche ai grandi movimenti giovanili ed operai, si son cominciate ad introdurre riforme atte a limitare la libertà di licenziamento, come pure è stata introdotta la riforma previdenziale retributiva, che vincolava l'importo delle pensioni non agli effettivi contributi versati, bensì alla media delle ultime retribuzioni percepite. C'è da dire che molti Paesi, in quei frangenti, introdussero riforme previdenziali analoghe alla nostra e la ragione era, in fondo, sensata: alla fine degli Anni '60, arrivava alla pensione la generazione della Grande Guerra che, in virtù della situazione bellica, non aveva certo potuto versare contributi regolari...! L'errore imperdonabile è stato, casomai, non tornare indietro dopo; cosa che gli altri Paesi, invece, hanno fatto. Ma soprattutto, sul finire degli Anni '60 la politica ha pesantemente investito sul controllo pubblico dell'economia, non solo industriale, ma anche di quella dei consumi, incrementando enormemente, ad esempio, il numero di dipendenti pubblici nei vari livelli della Pubblica Amministrazione. Si è assistito ad una proliferazione di Enti dalla funzione sempre più nebulosa e dalle finalità sempre più incerte, se si eccettua quella clientelare, ovviamente. Tutto ciò ha fatto aumentare il fabbisogno pubblico in modo esponenziale e, con esso, anche la tassazione. 


9. L'Italia possiede il 70% del patrimonio culturale Unesco
Verissimo. Ma guardate anche come lo (sotto)utilizza. Non soltanto si investe pochissimo nella tutela delle aree di interesse culturale ed archeologico (patrimonio UNESCO o meno che siano), come pure nella conservazione e valorizzazione del passato (si pensi anche al patrimonio bibliografico, alle coste ed ai sentieri storici, a tutto l'agroalimentare, non solo ai monumenti). In molti altri Paesi europei e non, il più piccolo sito o semplice manufatto che possa essere di un qualche interesse viene contestualizzato, valorizzato, arricchito, anche con il coinvolgimento dei privati. In Italia, non soltanto non si fa quasi mai nulla del genere, ma quando qualche illuminato dirigente decide di provarci, viene ostacolato in ogni modo possibile. La domanda che bisognerebbe porsi è: che valore ha possedere tutto questo bendiddìo, se poi lo si lascia lì, abbandonato al degrado del tempo e in balia della carenza di personale?


10. La rivoluzione si fa in piazza
Ma certo. Abbiamo visto tutti che gran bei risultati hanno prodotto, in Italia, le meravigliose rivoluzioni fatte in piazza negli Anni '70 e '80, i grandi movimenti sindacali, quelli dei cortei in cui si chiedevano "più diritti per i lavoratori e le lavoratrici" in un'epoca martoriata dal terrorismo e dagli attentati bombaroli. In quegli anni difficili e pericolosi, la politica è stata ben felice di assecondare le richieste della piazza come meglio ha potuto, posto che sapeva benissimo che gli effetti nefasti sarebbero comparsi solo decenni dopo. Persino la Costituzione-più-bella-del-mondo (altro cliché di cui ho già parlato) ha fatto la sua parte, offrendo supporto giuridico ad una generazione, quella nata nel secondo dopoguerra, che ha letteralmente depredato il Paese di ogni risorsa, scaricandone i costi su chi veniva dopo. A farne le spese sono stati tutti quelli che, in questi anni di glorioso fermento sociale e proletario, erano troppo piccoli per capire che si stava loro scippando il futuro; o quelli che all'epoca dei cortei non erano nemmeno nati. No, grande cosa, le rivoluzioni di piazza! Davvero. Strano come, nei Paesi in cui queste rivoluzioni hanno avuto una minore portata e durata, oggi le cose per i giovani vadano sistematicamente meglio. Dev'esserci un errore...

11. Tutti devono poter mangiare
Eh, indubbiamente. Questo, in Italia, è il mantra dei mantra. Va applicato sempre e comunque, anche quando significa far venir meno qualsiasi ragione che possa spingere a rischiare in proprio, a lavorare di più, ad innovare ‒ in altre parole, a far crescere l'economia in qualche modo. Peccato solo che, solitamente, quando si obbliga qualcuno a comprare un prodotto o servizi da qualcun altro con una norma ad hoc, lo si stia anche obbligando ‒ di fatto ‒ a redistribuire il proprio, di reddito, con quell'altro soggetto. Il che andrebbe pure bene, se soltanto l'altro soggetto fosse, a sua volta, disposto a farsi carico di parte del rischio d'impresa di chi è obbligato per legge a comprare i suoi prodotti o servizi. Di troppa regolamentazione l'economia privata muore. E quando lo capiremo in Italia sarà sempre troppo tardi.

12. Serve una legge
Un altro grande classico, radicato nella granitica convinzione italica che tutto possa essere risolto normando ogni cosa a dovere. Che dire... Un po' è il risultato dello strapotere cinquantennale in Italia della cultura giuridica su quella economica (e, non ne parliamo nemmeno, su quella aziendale!), che ha fatto sì che insigni giuristi venissero posti a capo di programmi macro e micro-economici dei quali capivano più o meno come io mi intendo di balletti folkloristici bulgari. E nemmeno si è avuta l'umiltà, dimostrata invece in Paesi più seri del nostro come la Germania, di procedere a normare le cose "dal basso", realizzando progetti pilota, analizzandone feedback e risultati, per poi allargare il quadro in una legge nazionale... Niente: un pugno di giuristi chiusi in una stanza, pronti a calare dall'alto la loro saggezza ed onniscienza su tutti noi ed in qualunque campo dello scibile umano. Bellissimo, no?

13. Chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere
Questo me lo sono tenuto per ultimo, perché è il più odioso e stupido di tutti i mantra. Premesso che vorrei sapere cosa ne avrebbe pensato non dico il povero Enzo Tortora, ma uno qualsiasi dei circa 975 sconosciuti (è una media: tutti i dati li trovate qui) vittime ogni anno di errori giudiziari e/o ingiusta detenzione, a me appare chiaro che, in un Paese in cui vige un ginepraio di norme scritte male, spesso redatte in compartimenti stagni, contraddittorie e ‒ come minimo ‒ poco chiare, solo due categorie di persone non hanno davvero nulla da temere: chi non fa niente (ad esempio, perché ha soltanto un lavoro dipendente, magari pubblico, e non fa altro), e chi è abbastanza ricco e furbo da saper sfruttare a proprio vantaggio il caos normativo. Tutti gli altri, in qualche modo, devono stare molto, molto attenti. Ma sicuramente starò esagerando. In tanti Paesi, magari, potrà succedere che un innocente finisca multato ingiustamente dal fisco o riceva una cartella pazza che determini problemi la cui risoluzione costerà tanto tempo, spese legali e guadagni persi, ma in Italia non abbiamo mica certe situazioni. Scusate: è che certe volte mi faccio davvero prendere la mano. 


Saluti,


(Rio)