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venerdì 27 gennaio 2023

La guerra dei Måneskin

 Salve.  

La scena musicale mainstream italiana – solitamente caratterizzata da un vuoto spinto perenne e imbarazzante – è da qualche anno interessata da un fenomeno tanto spettacolare quanto inaspettato. Un gruppo di quattro ragazzi romani di appena vent'anni, in assoluta controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza dei loro coetanei, ha snobbato campionatori e computer, imbracciato vecchi strumenti musicali "da boomer", vale a dire la chitarra, il basso e la batteria, ed ha cominciato a proporre canzoni molto leggere e dal sapore rétro, in cui pop e rock si mescolano senza soluzione di continuità, strafregandosene allegramente di qualunque etichetta il pubblico abbia sùbito appiccicato loro addosso.

Ma la cosa davvero strana è che questi quattro ragazzi hanno avuto subito un successo nazionale notevole (e fin qui...), per poi sfondare clamorosamente anche a livello internazionale, scalando mercati sino ad allora vergini per gli artisti italiani, riempiendo stadi all'estero e raccogliendo consensi tra i grandi della musica anglosassone come mai, ripeto, MAI era successo ad alcun artista italiano prima.
Ovviamente, sto parlando dei Måneskin.

Inutile sottolineare che in Italia si è scatenata una bagarre social incredibile, in cui – tanto per cambiare – le opinioni si sono subito polarizzate, raggiungendo estremi, francamente, ridicoli, in cui ultras-pro ed ultras-contro si sono fronteggiati a suon di dichiarazioni che rasentano puttanate dal sapore epico e che, quindi, vi risparmio per non farvi sputare un polmone. Del resto, si sa: come sappiamo renderci ridicoli noi, è roba da olimpiadi.

Ma, come qualcuno di voi saprà o sospetterà, io sono un (ex) musicista, per cui era inevitabile che un fenomeno di questa portata catturasse comunque la mia attenzione. 

Quindi, per una questione di trasparenza e di correttezza, per prima cosa vi do una mia opinione sulla band: non sono un fan dei Måneskin, che trovo debbano crescere sul piano compositivo, anche se riconosco loro una grande presenza scenica.
E pure sulla questione "della tecnica", a proposito della quale svariati utenti social musicisti si sono lasciati andare a giudizi impietosi, specie sul chitarrista Thomas Raggi, vi dico che sì, i Måneskin non sono certo dei virtuosi, ma ho visto diversi video girati con i telefonini ai loro concerti (quelli che una volta si chiamavano "video bootleg") e devo dire che le loro parti le suonano bene.

In fondo, ad una band è richiesta tanta tecnica quanta serve per suonare bene, sia individualmente sia a livello d'insieme, il materiale che propone, dal vivo come in studio. Non occorre che il chitarrista sia bravo come Steve Vai o che alla batteria ci sia un nuovo Stewart Copeland.
E, a mio parere, la prova live dei Måneskin è convincente, adeguata.
Francamente, chi se ne frega se Thomas Raggi non è Ritchie Kotzen.

Rimane che anch'io, come molti, non so davvero spiegare il perché di questo successo planetario, posto che non vedo in questi quattro ragazzi niente di così stratosferico, di così unico, che possa giustificare un fenomeno che, comunque la si pensi, è indiscutibilmente il più grande trionfo di mercato mai conseguito da parte di una band italiana.

Forse, il successo dei Måneskin è dovuto ad un insieme di fattori: sono belli, androgini, si danno un'aria dannata (che nel rock'n'roll funziona sempre e da sempre), suonano canzoni leggere e... Sono italiani. Sì, cazzo: sono italiani. Hanno il fascino frivolo e al tempo stesso intrigante di quattro monelli di strada con cui molti loro coetanei vorrebbero farsela.
Le canzoni – almeno sinora – non sono un granché, ma nemmeno da buttare via: per adesso, a me piacciono solo "Zitti e Buoni" e "Gossip", se si escludono le covers tipo "Begging", che sono comunque convincenti. Il resto, in effetti, pare anche a me un po' bimbominkia. Ma io sono un boomer, come dice mio figlio, quindi che ne so.

Non credo, invece, alla favoletta ingenua del super-team di marketing che con una valanga di soldi ha fatto il miracolo, trasformando quattro ragazzi qualsiasi in una super-mega-band mondiale costruita a tavolino.
Non ci credo per due motivi:

  1. primo perché io, nel marketing, ci lavoro da decenni. Se manca "la sostanza", non c'è strategia di marketing che possa reggere così a lungo né funzionare così bene. Non esiste la bacchetta magica, altrimenti chiunque ce l'avesse, questa bacchetta magica, sarebbe fantastimiliardario. Assicuro. E invece, la realtà è che il motto più celebre del marketing – quello che i CEO di tutte le multinazionali conoscono bene – recita: "Metà dei miei soldi spesi nel marketing è sprecata. Purtroppo non so quale metà." E questo nelle multinazionali. Figuratevi per i Måneskin! 

  2. secondo: ma ce li avete presenti i budget delle case discografiche italiane, oggi? Anzi, credete che esista ancora una cosa chiamata "industria discografica", specie (ma non solo) in Italia? Lavorano con le briciole delle briciole, e hanno stipendi più bassi di altri settori, per cui i migliori cervelli vanno altrove. E questo accade perché, ragazzi miei, oggi la musica non si vende più come un tempo. E a guadagnare non sono più le case discografiche, ma soprattutto le piattaforme di streaming.

Resta il fatto che, se si escludono i Måneskin, siamo seri: nel mainstream italiano oggi chi c'è?
Io salvo solo Salmo (scusate il mezzo gioco di parole) e ThaSup, al secolo Tha Supreme. E Salmo non è nemmeno giovanissimo.
In Italia, le alternative ai Måneskin davvero mainistream si chiamano Madame, Marracash, Achille Lauro e Sfera Ebbasta.

Dico, ma vogliamo scherzare?! Sfera Ebbasta?!
Ma datemi diecimila Thomas Raggi, piuttosto...!
(Povero Thomas Raggi; ma che ha fatto di male? Fa il suo dovere, e lo fa pure bene. Mica ogni chitarrista può diventare Albert Lee!)

Un'altra cosa che davvero non capisco è come mai, in Italia, sia impossibile semplicemente godere del successo altrui; esserne orgogliosi, magari.
Perché il vero problema social dei Måneskin è questo: sono ragazzi italiani proprio come quelli che li criticano.
Anche i loro haters, i loro giudici implacabili sono o sono stati musicisti e hanno fallito. Hanno avuto le loro band, non hanno ottenuto il successo che ritenevano di meritare e adesso se la prendono con chi, diversamente da loro, ce l'ha fatta.
E anche se quelli che ce l'hanno fatta magari lavorano bene, sia sul palco che in studio, su di loro si riversa comunque un fiume di frustrazione e di infantilismo che non si può non considerare avvilente.

Attenzione: tutto questo non ha nulla a che fare con i gusti musicali di ciascuno di noi. Anche chi scrive, ripeto, rimane abbastanza indifferente (almeno per ora) alla musica dei Måneskin.

Però c'è differenza tra dire "non mi piacciono" e "sono la cosa peggiore che c'è in giro".
Perché io sarò pure un boomer, ma vi assicuro che in giro c'è di molto, ma molto peggio.


Saluti,


(Rio)

PS1. Un piccolo aggiornamento: è uscito un articolo di Selvaggia Lucarelli che definisce i Måneskin qualcosa come "Cresciuti come oche destinate al foie gras" (chiedo scusa se i termini non sono esattamente quelli usati dalla Lucarelli, ma il senso è quello).
Il riferimento è al fatto che ormai i Måneskin non sarebbero più liberi di mangiare quello che vogliono, ma che vengano ingozzati in modo artificiale, con la cannula infilata in gola per ingrassare più velocemente e finire venduti a caro prezzo sul mercato.
Mi stupisce che la Lucarelli, di soli quattro anni più giovane di me, abbia preso coscienza solo adesso che questo è il trattamento riservato a tutte le superstar nel mondo della musica di massa.
Lo è sempre stato, per la verità, anche ai tempi di Elvis. La differenza è che, nei decenni, il sistema si è fatto più sofisticato. Per cui, almeno dai tempi di Madonna a questa parte (quindi non proprio l'altro ieri), il triste destino dei Måneskin è lo stesso che hanno subito Lady Gaga, Cristina Aguilera, Robbie Williams, le Spice Girls, ed una marea di altre celebrità.
Spiacevole, non c'è dubbio; ma anche segno di vero successo mondiale.


PS2. Infine: posto che il nome Måneskin è danese per "chiaro di luna", all'estero lo pronunciano tutti correttamente "Mòneskin", con la "O".
E' mai possibile che in Italia si continui ancora a dire Màneskin con la "A", dando ulteriore prova del nostro innato provincialismo?