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domenica 19 aprile 2020

I mantra del popolo italiano [1]



Salve.

E' noto che in politica, proprio come nel marketing, uno slogan vale più dei risultati di cento studi statistici, perché le masse agiscono seguendo molto di più le proprie emozioni che la logica.
Il popolo italiano, poi, non si distingue certo per lucidità e capacità di analisi: è un popolo superficiale, diviso in "fazioni partigiane", come si dice per non dover usare l'espressione "tifoserie da stadio", più adeguata e al tempo stesso meno rispettosa.

Di conseguenza, negli anni alcuni di questi slogan si sono affermati sino a diventare veri e propri dogmi, dei mantra che vengono dati per scontati e ripetuti da tutti, spesso senza nemmeno che chi li pronunci si chieda più cosa davvero vogliano dire. 
Questi mantra costituiscono oramai dei punti fermi nella cultura e nel modo di vedere le cose delle masse italiane, delle lenti deformanti che condizionano pesantemente la loro capacità di giudizio.

Quello che voglio fare qui è presentare una breve disamina dei principali mantra della cultura popolare italiana, commentandone le contraddizioni e l'assurdità delle conclusioni.
Avrei voluto farne un post unico, ma il fatto è che c'è così tanto da dire che sarebbe venuta fuori una cosa chilometrica. Per cui sono obbligato a dividere il discorso in più post; se non altro per rendere il tutto più scorrevole.
I link al secondo e terzo posto sono a fondo pagina.

1. Abbiamo la Costituzione-più-bella-del-mondo
E non si poteva non cominciare con il classico dei classici, il mantra italiano per eccellenza, il Supremo Dogma su cui è assolutamente proibito dissentire, anche leggermente, senza venire subito tacciati di fascismo. 
Questo mantra è talmente importante che tempo fa gli ho dedicato un post a parte, per cui non è il caso di ripetermi. Qui mi limito soltanto a dire che è proprio la Costituzione-più-bella-del-mondo ad aver permesso ‒ anzi, incoraggiato ‒ il saccheggio di tutte le risorse del Sistema Paese da parte di una sola generazione, a danno di quelle successive; ed è sempre la Costituzione-più-bella-del-mondo ad impedire in Italia ‒ pena, la nullità per incostituzionalità ‒ qualsiasi riforma atta a ricreare quell'equilibrio intergenerazionale scelleratamente cancellato alcuni decenni prima.
Aggiungo anche che le costituzioni democratiche di altri Paesi, per qualcuno meno "belle" della nostra (qualunque cosa "bello" stia ad indicare, qui) hanno invece permesso di salvaguardare gli interessi di tutti i cittadini, e non soltanto di quelli appartenenti ad una sola generazione, ricreando condizioni di equità e di giustizia sociale. Io una riflessione in proposito la farei; ma vedete voi.

2. Abbiamo il sistema previdenziale migliore del mondo
Che dire di quest'altro classico intramontabile? Dipende dalle persone a cui lo chiedete. 
Provate a chiedere cosa ne pensano i precari e le finte Partite IVA che, quando riescono a lavorare, versano in Gestione Separata contributi sistematicamente sottratti dall'INPS per ripianare i conti della Gestione Ordinaria. Molti di questi lavoratori, dopo una vita di precariato, al momento di ritirarsi dal mondo del lavoro si sentiranno dire dall'INPS che, non avendo totalizzato un numero sufficiente di anni di contribuzione, hanno praticamente perso gran parte dei loro contributi e quindi si vedranno assegnare la pensione minima, quella che oggi ammonta a meno di 400 euro al mese. Sia chiaro: i precari oggi sono oltre un lavoratore su sei. Questo vuol dire che tra trent'anni avremo un esercito di persone che hanno lavorato tutta la vita per pagare la pensione agli altri e, in cambio di questo sacrificio, riceveranno solo le briciole. Stupendo, vero? Questa sì che è equità previdenziale!  
 
Ma provate anche a chiederlo a chi ha la fortuna di avere un lavoro dipendente, e quindi versa ogni mese in Gestione Ordinaria e che, giunto alla pensione, si sentirà ripetere ‒ sempre dall'INPS ‒ che, a parità di ammontare totale di contribuzione, di anzianità di servizio e di profilo lavorativo, gli spetta circa il 25% in meno di quel che ha preso un lavoratore della generazione precedente alla sua. Forse anche meno, nessuno lo sa con esattezza (e di sicuro l'INPS si guarda bene dal dircelo). 
In sostanza, c'è una sola certezza: se si sta dalla parte giusta del muro altissimo che separa i privilegiati da tutti gli altri, il sistema pensionistico italiano è una vera manna dal cielo, con gli altri che pagano e tu che incassi.

3. Abbiamo il sistema sanitario migliore del mondo
Un tema delicato, specie di questi tempi.
Chiariamo innanzitutto una cosa: nel contestare la veridicità di questo stereotipo non intendo assolutamente sminuire il ruolo eroico (diversamente non saprei proprio definirlo) di gran parte del personale medico e paramedico del SSN, il Servizio Sanitario Nazionale italiano.
Gente sottopagata, che fa turni massacranti in condizioni spesso improbe, rischiando la vita in ambienti altamente contaminati ‒ oggi dal virus SARS-CoV-2, ma in altri periodi da agenti patogeni diversi ‒ quasi sempre senza adeguati dispositivi di protezione individuale. Diversi di loro si sono ammalati e non hanno neppure potuto fare il tampone; alcuni, purtroppo, sono morti ed a loro io devo solo tutto il mio rispetto e tutta la mia gratitudine, per quel niente che valgono.

Ed è proprio per il rispetto che nutro verso queste persone che non accetto che vengano cinicamente utilizzate come foglie di fico per coprire le gravi carenze del SSN.

Il SSN italiano è stato istituito alla fine degli Anni '70, sostituendo il sistema mutualistico preesistente, per ragioni per lo più di efficienza, ossia di contenimento della spesa sanitaria. E' stata una scelta intelligente (una delle poche di quello sciagurato decennio, secondo me) che ha davvero raggiunto lo scopo. Circa trent'anni dopo, l'istituzione della stazione appaltante centralizzata (Consip) ha contribuito a ridurre ulteriormente quei costi, uniformando verso il basso da Nord a Sud il prezzario di molti dei prodotti e servizi acquistati dal SSN.

Ciò premesso, il nostro SSN sarà senz'altro tra i più efficienti (efficienza = meno costi per i servizi erogati) ma non venitemi a dire che sia tra i più efficaci (efficacia = cura meglio degli altri). Soprattutto, non venirmelo a dire proprio adesso, quando l'Italia, alla data in cui scrivo, ha circa la metà dei morti di Covid-19 di tutto il mondo ed è un Paese in cui, oltre a liste d'attesa bibliche, talvolta si offrono solo terapie altrove ritenute obsolete da tempo.
I problemi di efficacia del SSN possono essere ricondotti essenzialmente a due tipologie:
   1. il SSN è sottocapitalizzato; 
   2. il SSN dipende troppo da logiche gestionali di tipo pubblico. 
Ci vorrebbe una serie di post solo per scalfire la superficie della questione, ma qui devo essere sintetico; per cui, consentitemi qualche semplificazione. 

Innanzitutto, la sottocapitalizzazione. Un servizio sanitario pubblico che non ha i soldi per erogare i servizi per cui è stato concepito non ha alcun senso. Non ce l'ha in una logica statalista, ovviamente, ma  nemmeno ce l'ha in una logica liberale o liberista. Quello che è stato fatto in Italia, in breve, è stato prima autorizzare ad operare non i migliori competitors sanitari privati, ma i più "vicini" al potere, per poi ridurre le risorse del servizio sanitario pubblico, in modo da indebolire la concorrenza ai centri privati e così, di fatto, favorire questi ultimi.
Sostanzialmente, prima ti agevolo l'apertura con contratti d'area, autorizzazioni speciali, magari contributi a fondo perduto ed altri strumenti che ti semplifichino la vita e l'investimento, e dopo ti inclino il piano in modo da far "rotolare" verso di te quanti più pazienti è possibile.

Per quelli di sinistra che, beati loro, hanno letto il Manifesto e credono di aver capito tutto, questo è "il neoliberismo". Per chi, invece, liberista lo è davvero, ciò che è stato fatto in Italia è l'esatto opposto del liberismo: è imbrigliare il mercato con mille vincoli e stratagemmi per condizionarlo a vantaggio di qualcuno, invece di liberare il mercato da ogni barriera e renderlo fluido, davvero concorrenziale.

In una vera logica liberista, uno Stato, se davvero vuole mantenere in piedi un servizio sanitario pubblico per ragioni di contenimento dei costi, lo utilizza per mantenere alti gli standard di quel servizio: mantenerli alti; non abbassarli. Perché se il SSN offre buoni servizi a costi ragionevoli, i pazienti non avranno motivo di preferirgli il privato. Il privato dovrà quindi offrire di meglio e, di conseguenza, anche il pubblico dovrà ancora migliorare la propria, di offerta. Il mercato guidato dalle scelte dei pazienti genererà la migliore situazione realisticamente possibile, con servizi migliori a costi più bassi. Qualcuno, se ci riesce, lo spieghi a quelli del Manifesto, che chiamano allegramente "neoliberista" qualsiasi soluzione non ricalchi alla lettera lo statalismo.

Infine, l'aspetto più sottovalutato di sempre, ossia il peso eccessivo di logiche gestionali di tipo pubblico. Quello sanitario è un settore assolutamente strategico, centrale nella vita di un Paese. Essendo così importante, deve essere sempre in grado di rispondere in tempi ragionevolmente rapidi ad ogni nuova necessità sanitaria che dovesse presentarsi, prevedibile o imprevista che sia. Deve potersi adattare alle novità provenienti dalla ricerca scientifica internazionale, ai nuovi standard, a protocolli ed altri aspetti che, com'è naturale che sia, mutano di continuo.
Pertanto, un servizio sanitario dovrebbe essere liberato da tutti quei vincoli che impediscano una risposta veloce e puntuale alle esigenze sanitarie del Paese; esigenze che possono cambiare in qualsiasi momento.

In quest'ottica, da cosa deriverebbe esattamente, ad esempio, l'esigenza di mantenere nelle ASL i vecchi contratti di lavoro di diritto pubblico anche per il  personale medico e paramedico? Perché quei contratti non sono stati tutti rivisti e trasformati in contratti di diritto privato o, ancora meglio, in consulenze? In tal modo, si sarebbe potuto imporre agli operatori sanitari di aggiornare il proprio curriculum o di lasciare il posto di lavoro a colleghi meglio qualificati, invece di pagare con il denaro pubblico terapie obsolete sconfessate persino nelle stesse linee guida del Ministero della Salute solo perché "oramai il personale è stato assunto con concorso pubblico per titoli ed esami (!) e non può più essere rimpiazzato".
Curioso come in Italia, persino in un settore così strategico, i diritti sindacali dei lavoratori del comparto contino sempre molto di più dei diritti di chi usufruisce di quello stesso servizio: prima i lavoratori; poi, se avanza tempo, i malati.

E ancora, le nomine tutte politiche dei direttori generali e di quelli sanitari delle Aziende Sanitarie Locali a quale logica "aziendale" esattamente risponderebbero? No, chiedo perché è cosa nota che i politici sono senz'altro le figure più competenti nel selezionare profili di tipo manageriale e tecnico. Chi meglio di loro, vero?

Il punto è che l'Italia deve darsi una buona volta una risposta alla domanda chiave, che è: "A cosa serve davvero il servizio sanitario? A sistemare la gente o a curarla?" Perché, a seconda della risposta, il sistema va organizzato in maniera completamente diversa.

Una risposta chiara se l'è data, ad esempio, la Germania, che continua a mantenere in piedi la sua sanità di tipo mutualistico, più cara e quindi più inefficiente di un sistema sanitario interamente pubblico, ma decisamente più adattabile, versatile e, soprattutto, efficace. In tal modo, i Länder tedeschi lasciano il problema della flessibilità gestionale e delle competenze necessarie ai privati, occupandosi di fare le sole cose che uno Stato deve saper fare bene: definire standard, reperire e distribuire risorse e, soprattutto, controllare (eventualmente, sanzionando i trasgressori con teutonica severità).

Tralascio il discorso tutto italiano sulla ricerca inesistente, sulla totale mancanza di meritocrazia anche in ambito universitario, sul nepotismo e sul sistema delle raccomandazioni che fanno finire incompetenti a dirigere reparti ospedalieri mentre tanti medici capaci vanno a fare carriera in altri Paesi, come anche il fatto che dipendiamo da tecnologie e conoscenze quasi interamente importate dall'estero, se no questo post non finisce mai.

Certo, anche i servizi sanitari nazionali di altri Paesi hanno i loro problemi. Prendete, ad esempio, quello del Paese in cui vivo io, la Gran Bretagna: a causa dei tagli ‒ molto, molto più estesi di quelli italiani ‒ l'NHS è ormai quasi ridotto ad un servizio per la gestione di emergenze sanitarie. Difficilmente potrebbe fare di più.
Ma spende e rendiconta i propri soldi in maniera assai più chiara che in Italia; è affetto da molta meno burocrazia e vincoli di ogni genere, rispetto al sistema italiano (e sono entrambi interamente pubblici, eh!) ed è più meritocratico, oltre ad attirare ricercatori da tutto il mondo nei propri centri di eccellenza.

Quindi, a vostro avviso, è più difficile migliorare l'NHS britannico dandogli semplicemente più fondi oppure migliorare il SSN italiano cambiando tutto il sistema di interessi intrecciati, le rigidità, la burocrazia, i diritti sindacali di comparto e via dicendo?

Fatevela una domanda, ogni tanto, voi che puntate sempre il dito contro gli altri, illudendovi che questo, magicamente, migliori voi stessi.

Tra l'altro, anche in Gran Bretagna c'è il tormentone sull'NHS che è "l'invidia del mondo". Paese che vai, sovranisti che trovi...

Saluti.

(Rio)

PS. La seconda parte la trovate qui.  La terza, invece, qui.