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lunedì 26 giugno 2017

Rodotà ed il mondo dei diritti gratis


Salve.

Com'era prevedibile, la recente scomparsa del professor Stefano Rodotà e la grande eco mediatica che ne è seguita hanno indotto tanti ad interrogarsi sulla figura e sul lascito dell'insigne giurista, con molteplici prese di posizione, quasi tutte variamente classificabili tra il banale ed il superficiale.
I ricordi di Rodotà che circolano su internet sono ascrivibili, sostanzialmente, a tre aree:


  • "Rodotà, il campione di diritti" (be', non essendosi praticamente mai occupato d'altro in vita sua, vorrei pure vedere);
  • "Rodotà, il presidente che non ci meritavamo" (probabilmente avrebbe fatto meglio di altri; ma era un outsider, un ostracizzato e, come tale, difficilmente candidabile. È così che  ‒da sempre e ovunque‒ va la politica. Facciamocene una ragione, una buona volta, signori del Fatto Quotidiano);
  • "Rodotà, l'intellettuale grillino" (nonostante lui abbia più volte ribadito di non avere nulla a che fare con il Movimento Cinque Stelle, e nei suoi libri le critiche aperte alle cazzate di Grillo e Casaleggio non mancano di certo: basta controllare).

Chi ne ha difeso il pensiero lo ha fatto senza minimamente azzardarsi ad analizzarne le incongruenze, che a mio parere, invece, ci sono e sono anche rilevanti. 
Chi lo ha attaccato, d'altra parte, lo ha fatto per lo più sulla base della sua presunta contiguità politica con il partito della Casaleggio Associati, come se Rodotà e "Rodotah" fossero la stessa persona. E non è mai stato così.

Pertanto, in questo post, io vorrei provare a fare una cosa diversa: tentare una veloce disamina dei meriti e dei limiti di una figura da oltre vent'anni considerata (immeritatamente) marginale nel pensiero politico italiano, senza curarmi di barricate e schieramenti di ogni genere ed affidandomi ‒questo concedetemelo!‒ solo alle mie idee, prospettive e conoscenze, per una valutazione. 

La storia della Sinistra italiana, specie di quella parte della Sinistra più lontana dalle logiche di partito, è costellata di figure ‒anche di un certo spessore culturale ed ideologico, come il prof. Rodotà‒ la cui opera intellettuale è imperniata sull'analisi delle implicazioni e sulla comprensione delle interconnessioni tra attuazione dei diritti civili e democrazia. Se ne trovano tra gli "esiliati" dei grandi partiti di Sinistra, così come anche in altre organizzazioni politiche come, ad esempio, i Radicali.
E fin qui, niente da dire. Anzi, menomale che questi guardiani dei diritti esistono: non si smette mai di averne bisogno. 

Ciò che spesso manca, a mio parere ‒ed in Rodotà la cosa è particolarmente evidente‒ è una visione davvero sistemica della società contemporanea che, una volta posto l'accento sull'ineluttabilità ed importanza dei diritti, porti ad interrogarsi anche sul come rendere davvero realizzabile tale visione. 
Mi spiego: Rodotà dice cose sacrosante come «i diritti civili spettano all’uomo come tale e non al solo cittadino» e «la persona è irriducibile alla logica di mercato». 
Incontestabile. 
Ma ciò che Rodotà ed altri sulla sua stessa lunghezza d'onda sembrano davvero rifiutarsi di vedere è che ad ogni diritto è sempre associato un costo, sia economico che non economico. Ed il rifiuto da parte di Rodotà, su basi evidentemente ideologiche, di accettare questo dato di fatto non lo rende meno vero; nemmeno un po'.
È semplicemente un fatto e, come tale, andrebbe prima accettato e poi tenuto ben presente ogni volta che si fanno analisi. Il rischio, altrimenti, è quello di fare affermazioni tanto belle quanto ingenue, campate in aria e scollegate dalla realtà.

Ad esempio, "il diritto costituzionalmente garantito al lavoro" è già di per sé un concetto abbastanza vago. Ma è davvero troppo facile enunciarlo tout-court, dimenticandosi che la sua realizzazione non può prescindere da esigenze di equità sociale ed intergenerazionale, e da oggettivi vincoli economici e strutturali; in altre parole, dai limiti oggettivi del sistema.

Perché credeva, il professor Rodotà, che la politica di Sinistra non avesse mantenuto le tutele del lavoro per le nuove generazioni? Perché credeva, Rodotà, che i poveri professor Massimo D'Antona e Marco Biagi ‒ammazzati pure a pistolettate dalle BR per questo‒ avesse elaborato pacchetti di misure sul lavoro flessibile? 
Perché forse erano tutti servi sottomessi alle logiche di "complessiva ristrutturazione e riforma economico-sociale, di riadeguamento delle forme del dominio statuale, nel rinnovato ruolo dell'Italia nelle politiche centrali dell'imperialismo", come si legge nei comunicati di rivendicazione delle Brigate Rosse?
Certamente no. 
Ma allora perché, secondo Rodotà, in tutto il Mondo Occidentale la Sinistra, ad un certo punto, ha abbandonato la strada "dei diritti acquisiti sul lavoro"? E questo pure da noi, nonostante i fondamenti di tali diritti fossero chiaramente indicati nella nostra Carta Costituzionale?

Be', su questo Rodotà glissa. 
Ed è un atteggiamento comune a molti altri intellettuali della sua parte politica: il sistematico rifiuto di guardare alle cause di base che hanno prodotto l'allontanamento della Sinistra dalle vecchie logiche. 
Perché tali cause, purtroppo per loro, non sono ideologiche, bensì economiche; e, come tali, non sono comprensibili a chi vede il mondo attraverso una lente ideologica, né riducibili ad una interpretazione di quel tipo. 

Come si fa a far capire a chi guarda alla realtà attraverso i propri elevati ideali che un principio, per quanto giusto e condivisibile, è nei fatti irrealizzabile perché non ci sono più le risorse economiche né le condizioni e che, se si decidesse ugualmente di metterlo in pratica nella sua forma più pura, le conseguenze di medio-lungo periodo sarebbero disastrose per tutti (anzi, già se ne vedono i segnali oggi)?

Non è possibile.
E, difatti, Rodotà se ne esce con affermazioni come: «alcuni diritti fondamentali, come istruzione e salute, non possono essere vincolati alle risorse economiche.»
Ma che belle parole. Tante grazie, professor Rodotà, non ci avevamo proprio pensato.
Allora, facciamo che da domani paghiamo investimenti infrastrutturali nella sanità e nell'edilizia scolastica, forniture ospedaliere e personale scolastico, medico e paramedico con un po' di cartamoneta straccia ‒ma sovrana e stampata per l'occasione, sia chiaro‒ e una pacca sulla spalla. Saranno felicissimi, vedrà.

È Rodotà che afferma che «senza il diritto al lavoro, la persona perde la propria dignità», dimenticandosi che in Italia proprio il diritto al lavoro, implementato a tappeto a vantaggio di una generazione, ha prodotto il Paese che conosciamo oggi, con lo squilibrio intergenerazionale più grave dell'Occidente, in cui la sostanziale inamovibilità dell'occupazione di alcuni viene assicurata dalla totale precarietà di tutti gli altri, e la pensione di alcuni viene garantita dai contributi silenti versati da tutti gli altri.
Promettere "tutti i diritti a tutti" è una roba per vendere libri e prendere applausi ai convegni, ma da una figura dello spessore di Rodotà abbiamo il diritto, e direi anche il dovere, di aspettarci di meglio.

E invece niente.
Ci tocca leggere persino un intellettuale di primo livello come lui affermare che «un principio inaccettabile per la Sinistra è la riduzione della persona a homo oeconomicus, che si accompagna all’idea di mercato naturalizzato: è il mercato che vota, decide, governa le nostre vite.»
Sì, buonasera.
Quella dell'homo oeconomicus è una fissa antica che stenta a cedere il passo, specie a Sinistra e specie ‒perdonatemi‒ tra i giuristi che si mettono a discettare di economia. Non me ne vogliano a male gli studiosi del diritto. 
In realtà, nelle principali visioni economiche moderne, anche in quelle più liberiste, non esiste alcun homo oeconomicus, né tantomeno nessuno si sognerebbe di eleggere il mercato, un mero strumento per assicurare ricchezza ed efficienza, a Vate Supremo che decide in nome e per conto del Genere Umano.
E ci mancherebbe, anche.
Il mercato rappresenta soltanto un insieme di vincoli: alcuni più forti, altri più deboli.
Sia chiaro, vincoli che uno può anche scegliere di ignorare, come probabilmente avrebbe voluto fare il professor Rodotà, ma non se non si è pronti ad accettarne le conseguenze o, peggio, scaricandone le responsabilità ed il conto da pagare sugli altri, come invece accade oggi in Italia.

Del resto, abbiamo tutti una lezione della Storia da imparare: quasi mezzo mondo, nel XX Secolo, ha provato a costruire società che riteneva "più giuste", ignorando le leggi del mercato. Le conseguenze sono state molte ma, prima tra tutte, si è avuta una delle più clamorose implosioni socio-politico-economiche mai viste nelle vicende dell'umanità. Mai, davvero MAI, un modello socio-economico è fallito in modo così rapido, evidente e spettacolare.

Ma se Rodotà e qualcun altro vogliono continuare a dimorare nel mondo fatato dei diritti gratis, si accomodino pure. La Storia ha sberle pronte anche per loro.
Solo, mi dispiace che un professore educato, intelligente e preparato in materia costituzionale come lui si ritrovi ‒almeno in economia‒ ad aver detto le stesse cose di un Diego Fusaro qualsiasi. Non è giusto; né per lui, né per noi.

Saluti,

(Rio)