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giovedì 2 luglio 2020

Il viaggiatore e la mela



Arcobaleno sopra casa mia
«
Una mattina, un uomo era pronto per intraprendere un viaggio d'affari di qualche giorno, visitando città vicine e lontane.

Prima di partire, vide al mercato una gran bella mela, proprio della varietà che piaceva di più a lui. Non ne aveva ma vista una così, né sul bancone ce n'erano altre uguali.
Questa mela sembrava succosa, invitante, e lui la immaginò dolcissima al morso; per cui decise di comprarla. 

 
Non aveva intenzione di mangiarla subito, però.
"Questa è una mela speciale e va gustata con il dovuto rispetto --disse tra sé-- quindi la mangerò in un momento importante, per assaporarla nel modo che merita, per celebrarne l'unicità."

L'uomo avvolse così la mela in un panno pulito con grande cura, sigillò il panno meglio che poté, lo ripose nella bisaccia e si incamminò per il suo viaggio.
Visitò diverse città dove, proprio come aveva previsto, fece molti affari. Conobbe molte persone, ed alcune di loro gli offrirono ottimo vino e cibo squisito; ma il suo pensiero, la sera, tornava sempre a quella deliziosa mela che aveva messo in bisaccia qualche giorno prima.

Un pomeriggio molto caldo, mentre percorreva un sentiero particolarmente lungo e faticoso, gli venne una gran sete ed una gran fame, ma non gli era rimasto più né cibo né acqua. 
Vide allora un albero poco più avanti e pensò: "Ho fatto molte cose belle e importanti nel mio viaggio. Ecco il momento giusto per mangiare quella mela speciale! Mi sistemerò all'ombra di quell'albero e finalmente mi gusterò la mia dolcissima mela!"

Rapidamente, raggiunse l'albero sul ciglio del sentiero e vi si sedette, appoggiandovi la schiena, anticipando con avida passione il gusto del primo morso.
Ma quando sciolse il nodo del panno in cui aveva avvolto la mela, scoprì --con grande disappunto-- che la mela era ormai non solo avvizzita ma anche andata a male, perché era bacata. Il verme forse era sempre stato nel frutto, ma lui non lo aveva notato.

L'uomo, quindi, in preda alla delusione e ad un senso di amarezza per aver perso quella che per lui era la più bella mela del mondo, se ne restò seduto lì, all'ombra di un grande melo che, proprio sopra di lui, era carico di frutti molto più dolci, grandi e succosi di quello che aveva appena scoperto di aver perso.
»

Questa mia breve storia ha per me un significato preciso, ma non è importante.
Vi invito a cercarne di vostri.
Credo che ciascuno di noi possa trovarne uno.

Un saluto,

(Rio)



giovedì 30 aprile 2020

I mantra del popolo italiano [2]


Variazione PIL pro-capite rispetto al 1998
Salve.

Proseguo la mia breve disamina dei mantra ripetuti incessantemente dalla cultura dominante in Italia con questo secondo post (il primo, con le premesse e i primi tre mantra, lo trovate qui. Il post conclusivo, invece, è qui).

In questo post mi occupo di altri tre ben noti dogmi che ‒ diversamente da altri affermatisi soltanto negli ultimi quindici o vent'anni ‒ tengono banco da più tempo di quanto io non riesca a ricordare. Tre grandi classici, tre evergreen nella lista dei mantra italici.


4. Abbiamo una classe politica indegna, che non ci rappresenta
Dio mio, come vorrei che questo mantra fosse vero.
E sì perché, se fosse vero, basterebbe cambiare il proprio voto, sceglierci dei rappresentanti diversi, e la questione si risolverebbe. E invece, quante volte abbiamo provato a cambiare indicazione elettorale, in Italia? Quante volte chi ha votato Lega Nord, Berlusconi, Italia dei Valori, Scelta Civica, MoVimento Cinque Stelle, Salvini, Potere al Popolo, solo per citare quei pochi nomi di cui io mi ricordo, si è ritrovato come prima, anzi peggio?
Abbiamo cambiato legge elettorale diverse volte, eleggendo maggioranze diverse, ma il risultato finale è sempre stato lo stesso: il clientelismo al potere; la mediocrità al potere; la pavidità al potere. In Italia sono in molti a sapere cosa bisogna fare per uscire dal pantano della recessione, oramai; ma nessuno si azzarda ad agire, perché tutti sanno che chi tocca certe questioni, chi si mette ad affrontarle anche solo con una parvenza di serietà e di onestà intellettuale ha matematicamente perso le prossime elezioni. E quindi ci si agita tanto, ma non si fa sostanzialmente niente.
Poi ci sono anche gli altri, quelli che davvero non hanno capito il problema; quelli che ancora credono alle narrazioni ideologiche (di destra e di sinistra, stataliste ed anarchiche, internazionaliste e sovraniste), a narrazioni giustizialiste ("più manette", "pugno duro", e così via) o a quelle, per così dire, new age (tipo la "decrescita felice", "facciamo auto-produzione", "stampiamo cartamoneta" e via delirando).
Anche questi, più di recente, sono arrivati al potere, spinti da un consenso enorme. Enorme.
Non credo che debba soffermarmi su che razza di casino abbiano o stiano ancora combinando anche loro.
No, signori miei; il problema qui non è la mancanza di rappresentatività. E' il suo esatto opposto. Sul piano della rappresentatività, le Istituzioni italiane ‒ dal Parlamento ai Consigli Comunali, dal Governo del Paese alle Giunte Municipali ‒ funzionano in modo pressoché perfetto, nel senso che sono occupate da rappresentanti che sono lo specchio fedelissimo dell'elettorato che li ha messi lì. Purtroppo. Il problema, lungi dall'essere, che so, una determinata legge elettorale, una specifica classe politica dirigente, è molto peggiore: il problema è il popolo.


5. Se tutti pagassero le tasse, pagheremmo tutti di meno
Come no. E la notte della Domenica delle Palme, gli asini volano, anche. Guardando alla storia recente del nostro Paese, quanti esempi abbiamo in cui, a seguito della scoperta di inattese disponibilità finanziarie nelle casse dello Stato, i politici di turno ne hanno subito disposto la collocazione in determinati capitoli di spesa interessati da una ottimale ricaduta elettorale?
Chi come me non è più tanto giovane ricorderà "il tesoretto". Ce n'è stato più di uno, a cominciare da quello di Giuliano Amato, seguito da quello di Padoa-Schioppa (forse il più celebre), sino ai più recenti di Berlusconi, Renzi e persino Conte. Sospinti da una pressione popolare immensa (perché, altro che chiacchiere sulla rappresentatività, gli Italiani sono quelli che sono), i politici li hanno immediatamente collocati a spesa per ragioni elettorali, trasformando subito un piccolo avanzo in nuovo debito.
Sempre, immediatamente, e senza mai proteste da parte della gente ‒ tranne da parte di quelli che non ne beneficiavano, ovviamente.

Alla prova dei fatti, diventa davvero difficile contestare la veridicità della tesi liberale secondo cui "se lo Stato avesse il doppio dei soldi, farebbe semplicemente il doppio dei debiti". Anche perché, sempre alla luce della storia recente, l'intera classe politica italiana ha dimostrato di saper fare una cosa soltanto: spendere soldi non suoi. Nemmeno le province abbiamo saputo abolire per davvero; o magari anche solo eliminare uno solo di quei ministeri abrogati per referendum... Nulla. Le province diventano aree metropolitane, i ministeri diventano dipartimenti della Presidenza del Consiglio, e così via. Si cambia soltanto il nome, la targa sulla porta, la carta intestata. Ma in Italia non si cancella mai niente.

La stessa "crisi della politica" di cui si parla spesso oggi... Signori miei, ma chi è davvero così idiota da pensare seriamente che sia una crisi ideologica? Sono semplicemente finiti i soldi. Il successo dell'antipolitica sta tutto nell'essere riuscita a far passare presso le masse italiane (ignoranti come capre) la narrazione che in realtà "i soldi ci sono" e che per qualche strana ragione la classe politica "tradizionale", chiamiamola così, non voglia spenderli, invece di comprarsi consenso a suon di spesa pubblica come ha sempre fatto dal secondo dopoguerra ad oggi.



6. Solo una gestione pubblica garantisce gli interessi della gente
Certo, lo vediamo tutti i giorni: non soltanto in molti casi la gestione pubblica è inefficiente ed inefficace, ma la macchina della Pubblica Amministrazione si rivela del tutto incapace di definire ex ante in modo adeguato standard di servizio e di prodotto per i fornitori privati, come pure di effettuare controlli adeguati durante ed ex post.
Stiamo parlando di una plètora di funzionari e dirigenti pubblici collocati in uffici dispersi (e non è colpa loro), con una suddivisione delle competenze che risponde più a logiche di spartizione di potere tra le Amministrazioni Pubbliche e di pax politica, che a reali esigenze di gestione (e nemmeno questo è colpa loro), che debbono attuare normative contorte e contraddittorie disponendo di competenze tecnico-gestionali che farebbero fallire un negozietto di merceria, ed invece devono rendicontare su servizi essenziali per milioni di euro l'anno.
E qualcuno, a questi qua, vorrebbe affidare chiavi in mano il futuro di tutti i settori strategici italiani.
"Eh, ma perché loro fanno gli interessi di tutti".

Di tutti, capite? No, perché consumare ingenti risorse pubbliche per lavorare male, alle volte malissimo, in alcuni casi non lavorare nemmeno, ma per tutti, è comunque meglio che lavorare bene, ma senza avere l'assoluta certezza che si operi nell'interesse di tutti.
L'assoluta certezza... E già perché, in effetti, se in Italia avessimo uno dei più alti livelli di corruzione al mondo tra i Paesi del G20 OCSE, allora capirei; ma questi non sono mica problemi nostri, vero? Quindi in Italia si lavora male, malissimo, per niente, ma senz'altro per tutti. Non ci sono dubbi. Guarda il MOSE. Guarda la gestione ANAS della viabilità. Guarda l'Acquedotto Pugliese. O l'ATAC di Roma. O l'ASIA di Napoli. E l'elenco va avanti per ore, se vogliamo.


E se invece il pubblico impiego servisse a stabilire cos'è meglio per tutti ed a controllare che venga effettivamente realizzato, affidandone la gestione ai privati? Dove sarebbe il tradimento delle finalità pubbliche? Il pubblico definisce gli obiettivi, negozia un prezzo col privato, controlla quel che fa il privato e, se è il caso, lo sanziona, anche.
E' sempre tutto in mano pubblica; solo che non abbiamo un funzionario laureato in lettere che deve fare un lavoro per il quale non è stato selezionato.
E a me viene un dubbio: ma non è che il vero problema sta nel fatto che, in questo modo, si creerebbero molti meno posti di lavoro nel settore pubblico e molti di più, invece, nel privato e quindi fuori da un diretto controllo politico?
Ma tanto, si sa, io sono un malpensante.

Alla prossima.

(Rio)


mercoledì 29 aprile 2020

Coronavirus, liberisti e sporco profitto


Salve.

«Nella crisi del coronavirus, i liberisti si preoccupano delle ricadute sull'economia perché a loro interessa il profitto. A noi invece interessa la salute!» 


Questa, in sintesi, l'opinione di buona parte dei giornalisti italiani e della quasi totalità degli utenti italiani dei social networks
Sottolineo: italiani. All'estero, grazie a Dio, è diverso.

Dinanzi a cotanta dimostrazione di competenza su come funzioni davvero una società complessa, cosa possiamo dire?

Io, non appena avrò recuperato le braccia che mi sono cadute e sprofondate al punto di arrivare in Cina (e quindi mi toccherà anche sottoporle a tampone), potrò solo rispondere che, se nemmeno in questa crisi avete capito quanto sia importante avere i soldi per affrontare i problemi al meglio -- per fare i tamponi, se non a tappeto, almeno su campioni rappresentativi della popolazione; per comprare dispositivi di protezione individuale a sufficienza per tutti; per fare ricerca su un vaccino; per comprare i farmaci antivirali; per fare ricerca su una cura; per aumentare i posti di terapia intensiva ed acquistare i relativi macchinari (fosse pure con Decathlon e stampanti 3D); per fare controlli adeguati che assicurino che le norme di distanziamento sociale vengano sempre rispettate; per il telelavoro; per la scuola a distanza, eccetera eccetera -- se non vi appare lapalissiano, persino banale che i soldi siano il facilitatore di ogni strumento che l'uomo può mettere in campo per curare quante più persone possibile (e meglio), oltre a permettere a tutti di riprendere una vita normale quanto prima...


...Allora rilassatevi pure a casa per quanto volete.

Se tutto andrà bene, e ve lo auguro, non vi ammalerete e semplicemente ricomincerete in una società in bancarotta: niente più pensioni, stipendi pubblici molto più bassi e tagli draconiani al welfare, alla sanità ed alla scuola al cui confronto quelli del passato vi sembreranno roba da Paese dei Bengodi. Ma per voi poco importa: potrete sempre prendervela con il neoliberismo selvaggio.


Se invece, purtroppo, dovesse andarvi male, vi ammalerete in un Paese senza più entrate, con una sanità pubblica fatta di medici di buona volontà che ormai non possono fare altro se non darvi un'occhiata e rispedirvi a casa: niente farmaci, niente terapie, niente posti letto. Un po' come il tanto vituperato NHS britannico, solo senza i dispositivi di protezione individuale; così chi vi visita può trasmettere meglio il contagio da un paziente all'altro.

Saluti,

(Rio)

domenica 19 aprile 2020

I mantra del popolo italiano [1]



Salve.

E' noto che in politica, proprio come nel marketing, uno slogan vale più dei risultati di cento studi statistici, perché le masse agiscono seguendo molto di più le proprie emozioni che la logica.
Il popolo italiano, poi, non si distingue certo per lucidità e capacità di analisi: è un popolo superficiale, diviso in "fazioni partigiane", come si dice per non dover usare l'espressione "tifoserie da stadio", più adeguata e al tempo stesso meno rispettosa.

Di conseguenza, negli anni alcuni di questi slogan si sono affermati sino a diventare veri e propri dogmi, dei mantra che vengono dati per scontati e ripetuti da tutti, spesso senza nemmeno che chi li pronunci si chieda più cosa davvero vogliano dire. 
Questi mantra costituiscono oramai dei punti fermi nella cultura e nel modo di vedere le cose delle masse italiane, delle lenti deformanti che condizionano pesantemente la loro capacità di giudizio.

Quello che voglio fare qui è presentare una breve disamina dei principali mantra della cultura popolare italiana, commentandone le contraddizioni e l'assurdità delle conclusioni.
Avrei voluto farne un post unico, ma il fatto è che c'è così tanto da dire che sarebbe venuta fuori una cosa chilometrica. Per cui sono obbligato a dividere il discorso in più post; se non altro per rendere il tutto più scorrevole.
I link al secondo e terzo posto sono a fondo pagina.

1. Abbiamo la Costituzione-più-bella-del-mondo
E non si poteva non cominciare con il classico dei classici, il mantra italiano per eccellenza, il Supremo Dogma su cui è assolutamente proibito dissentire, anche leggermente, senza venire subito tacciati di fascismo. 
Questo mantra è talmente importante che tempo fa gli ho dedicato un post a parte, per cui non è il caso di ripetermi. Qui mi limito soltanto a dire che è proprio la Costituzione-più-bella-del-mondo ad aver permesso ‒ anzi, incoraggiato ‒ il saccheggio di tutte le risorse del Sistema Paese da parte di una sola generazione, a danno di quelle successive; ed è sempre la Costituzione-più-bella-del-mondo ad impedire in Italia ‒ pena, la nullità per incostituzionalità ‒ qualsiasi riforma atta a ricreare quell'equilibrio intergenerazionale scelleratamente cancellato alcuni decenni prima.
Aggiungo anche che le costituzioni democratiche di altri Paesi, per qualcuno meno "belle" della nostra (qualunque cosa "bello" stia ad indicare, qui) hanno invece permesso di salvaguardare gli interessi di tutti i cittadini, e non soltanto di quelli appartenenti ad una sola generazione, ricreando condizioni di equità e di giustizia sociale. Io una riflessione in proposito la farei; ma vedete voi.

2. Abbiamo il sistema previdenziale migliore del mondo
Che dire di quest'altro classico intramontabile? Dipende dalle persone a cui lo chiedete. 
Provate a chiedere cosa ne pensano i precari e le finte Partite IVA che, quando riescono a lavorare, versano in Gestione Separata contributi sistematicamente sottratti dall'INPS per ripianare i conti della Gestione Ordinaria. Molti di questi lavoratori, dopo una vita di precariato, al momento di ritirarsi dal mondo del lavoro si sentiranno dire dall'INPS che, non avendo totalizzato un numero sufficiente di anni di contribuzione, hanno praticamente perso gran parte dei loro contributi e quindi si vedranno assegnare la pensione minima, quella che oggi ammonta a meno di 400 euro al mese. Sia chiaro: i precari oggi sono oltre un lavoratore su sei. Questo vuol dire che tra trent'anni avremo un esercito di persone che hanno lavorato tutta la vita per pagare la pensione agli altri e, in cambio di questo sacrificio, riceveranno solo le briciole. Stupendo, vero? Questa sì che è equità previdenziale!  
 
Ma provate anche a chiederlo a chi ha la fortuna di avere un lavoro dipendente, e quindi versa ogni mese in Gestione Ordinaria e che, giunto alla pensione, si sentirà ripetere ‒ sempre dall'INPS ‒ che, a parità di ammontare totale di contribuzione, di anzianità di servizio e di profilo lavorativo, gli spetta circa il 25% in meno di quel che ha preso un lavoratore della generazione precedente alla sua. Forse anche meno, nessuno lo sa con esattezza (e di sicuro l'INPS si guarda bene dal dircelo). 
In sostanza, c'è una sola certezza: se si sta dalla parte giusta del muro altissimo che separa i privilegiati da tutti gli altri, il sistema pensionistico italiano è una vera manna dal cielo, con gli altri che pagano e tu che incassi.

3. Abbiamo il sistema sanitario migliore del mondo
Un tema delicato, specie di questi tempi.
Chiariamo innanzitutto una cosa: nel contestare la veridicità di questo stereotipo non intendo assolutamente sminuire il ruolo eroico (diversamente non saprei proprio definirlo) di gran parte del personale medico e paramedico del SSN, il Servizio Sanitario Nazionale italiano.
Gente sottopagata, che fa turni massacranti in condizioni spesso improbe, rischiando la vita in ambienti altamente contaminati ‒ oggi dal virus SARS-CoV-2, ma in altri periodi da agenti patogeni diversi ‒ quasi sempre senza adeguati dispositivi di protezione individuale. Diversi di loro si sono ammalati e non hanno neppure potuto fare il tampone; alcuni, purtroppo, sono morti ed a loro io devo solo tutto il mio rispetto e tutta la mia gratitudine, per quel niente che valgono.

Ed è proprio per il rispetto che nutro verso queste persone che non accetto che vengano cinicamente utilizzate come foglie di fico per coprire le gravi carenze del SSN.

Il SSN italiano è stato istituito alla fine degli Anni '70, sostituendo il sistema mutualistico preesistente, per ragioni per lo più di efficienza, ossia di contenimento della spesa sanitaria. E' stata una scelta intelligente (una delle poche di quello sciagurato decennio, secondo me) che ha davvero raggiunto lo scopo. Circa trent'anni dopo, l'istituzione della stazione appaltante centralizzata (Consip) ha contribuito a ridurre ulteriormente quei costi, uniformando verso il basso da Nord a Sud il prezzario di molti dei prodotti e servizi acquistati dal SSN.

Ciò premesso, il nostro SSN sarà senz'altro tra i più efficienti (efficienza = meno costi per i servizi erogati) ma non venitemi a dire che sia tra i più efficaci (efficacia = cura meglio degli altri). Soprattutto, non venirmelo a dire proprio adesso, quando l'Italia, alla data in cui scrivo, ha circa la metà dei morti di Covid-19 di tutto il mondo ed è un Paese in cui, oltre a liste d'attesa bibliche, talvolta si offrono solo terapie altrove ritenute obsolete da tempo.
I problemi di efficacia del SSN possono essere ricondotti essenzialmente a due tipologie:
   1. il SSN è sottocapitalizzato; 
   2. il SSN dipende troppo da logiche gestionali di tipo pubblico. 
Ci vorrebbe una serie di post solo per scalfire la superficie della questione, ma qui devo essere sintetico; per cui, consentitemi qualche semplificazione. 

Innanzitutto, la sottocapitalizzazione. Un servizio sanitario pubblico che non ha i soldi per erogare i servizi per cui è stato concepito non ha alcun senso. Non ce l'ha in una logica statalista, ovviamente, ma  nemmeno ce l'ha in una logica liberale o liberista. Quello che è stato fatto in Italia, in breve, è stato prima autorizzare ad operare non i migliori competitors sanitari privati, ma i più "vicini" al potere, per poi ridurre le risorse del servizio sanitario pubblico, in modo da indebolire la concorrenza ai centri privati e così, di fatto, favorire questi ultimi.
Sostanzialmente, prima ti agevolo l'apertura con contratti d'area, autorizzazioni speciali, magari contributi a fondo perduto ed altri strumenti che ti semplifichino la vita e l'investimento, e dopo ti inclino il piano in modo da far "rotolare" verso di te quanti più pazienti è possibile.

Per quelli di sinistra che, beati loro, hanno letto il Manifesto e credono di aver capito tutto, questo è "il neoliberismo". Per chi, invece, liberista lo è davvero, ciò che è stato fatto in Italia è l'esatto opposto del liberismo: è imbrigliare il mercato con mille vincoli e stratagemmi per condizionarlo a vantaggio di qualcuno, invece di liberare il mercato da ogni barriera e renderlo fluido, davvero concorrenziale.

In una vera logica liberista, uno Stato, se davvero vuole mantenere in piedi un servizio sanitario pubblico per ragioni di contenimento dei costi, lo utilizza per mantenere alti gli standard di quel servizio: mantenerli alti; non abbassarli. Perché se il SSN offre buoni servizi a costi ragionevoli, i pazienti non avranno motivo di preferirgli il privato. Il privato dovrà quindi offrire di meglio e, di conseguenza, anche il pubblico dovrà ancora migliorare la propria, di offerta. Il mercato guidato dalle scelte dei pazienti genererà la migliore situazione realisticamente possibile, con servizi migliori a costi più bassi. Qualcuno, se ci riesce, lo spieghi a quelli del Manifesto, che chiamano allegramente "neoliberista" qualsiasi soluzione non ricalchi alla lettera lo statalismo.

Infine, l'aspetto più sottovalutato di sempre, ossia il peso eccessivo di logiche gestionali di tipo pubblico. Quello sanitario è un settore assolutamente strategico, centrale nella vita di un Paese. Essendo così importante, deve essere sempre in grado di rispondere in tempi ragionevolmente rapidi ad ogni nuova necessità sanitaria che dovesse presentarsi, prevedibile o imprevista che sia. Deve potersi adattare alle novità provenienti dalla ricerca scientifica internazionale, ai nuovi standard, a protocolli ed altri aspetti che, com'è naturale che sia, mutano di continuo.
Pertanto, un servizio sanitario dovrebbe essere liberato da tutti quei vincoli che impediscano una risposta veloce e puntuale alle esigenze sanitarie del Paese; esigenze che possono cambiare in qualsiasi momento.

In quest'ottica, da cosa deriverebbe esattamente, ad esempio, l'esigenza di mantenere nelle ASL i vecchi contratti di lavoro di diritto pubblico anche per il  personale medico e paramedico? Perché quei contratti non sono stati tutti rivisti e trasformati in contratti di diritto privato o, ancora meglio, in consulenze? In tal modo, si sarebbe potuto imporre agli operatori sanitari di aggiornare il proprio curriculum o di lasciare il posto di lavoro a colleghi meglio qualificati, invece di pagare con il denaro pubblico terapie obsolete sconfessate persino nelle stesse linee guida del Ministero della Salute solo perché "oramai il personale è stato assunto con concorso pubblico per titoli ed esami (!) e non può più essere rimpiazzato".
Curioso come in Italia, persino in un settore così strategico, i diritti sindacali dei lavoratori del comparto contino sempre molto di più dei diritti di chi usufruisce di quello stesso servizio: prima i lavoratori; poi, se avanza tempo, i malati.

E ancora, le nomine tutte politiche dei direttori generali e di quelli sanitari delle Aziende Sanitarie Locali a quale logica "aziendale" esattamente risponderebbero? No, chiedo perché è cosa nota che i politici sono senz'altro le figure più competenti nel selezionare profili di tipo manageriale e tecnico. Chi meglio di loro, vero?

Il punto è che l'Italia deve darsi una buona volta una risposta alla domanda chiave, che è: "A cosa serve davvero il servizio sanitario? A sistemare la gente o a curarla?" Perché, a seconda della risposta, il sistema va organizzato in maniera completamente diversa.

Una risposta chiara se l'è data, ad esempio, la Germania, che continua a mantenere in piedi la sua sanità di tipo mutualistico, più cara e quindi più inefficiente di un sistema sanitario interamente pubblico, ma decisamente più adattabile, versatile e, soprattutto, efficace. In tal modo, i Länder tedeschi lasciano il problema della flessibilità gestionale e delle competenze necessarie ai privati, occupandosi di fare le sole cose che uno Stato deve saper fare bene: definire standard, reperire e distribuire risorse e, soprattutto, controllare (eventualmente, sanzionando i trasgressori con teutonica severità).

Tralascio il discorso tutto italiano sulla ricerca inesistente, sulla totale mancanza di meritocrazia anche in ambito universitario, sul nepotismo e sul sistema delle raccomandazioni che fanno finire incompetenti a dirigere reparti ospedalieri mentre tanti medici capaci vanno a fare carriera in altri Paesi, come anche il fatto che dipendiamo da tecnologie e conoscenze quasi interamente importate dall'estero, se no questo post non finisce mai.

Certo, anche i servizi sanitari nazionali di altri Paesi hanno i loro problemi. Prendete, ad esempio, quello del Paese in cui vivo io, la Gran Bretagna: a causa dei tagli ‒ molto, molto più estesi di quelli italiani ‒ l'NHS è ormai quasi ridotto ad un servizio per la gestione di emergenze sanitarie. Difficilmente potrebbe fare di più.
Ma spende e rendiconta i propri soldi in maniera assai più chiara che in Italia; è affetto da molta meno burocrazia e vincoli di ogni genere, rispetto al sistema italiano (e sono entrambi interamente pubblici, eh!) ed è più meritocratico, oltre ad attirare ricercatori da tutto il mondo nei propri centri di eccellenza.

Quindi, a vostro avviso, è più difficile migliorare l'NHS britannico dandogli semplicemente più fondi oppure migliorare il SSN italiano cambiando tutto il sistema di interessi intrecciati, le rigidità, la burocrazia, i diritti sindacali di comparto e via dicendo?

Fatevela una domanda, ogni tanto, voi che puntate sempre il dito contro gli altri, illudendovi che questo, magicamente, migliori voi stessi.

Tra l'altro, anche in Gran Bretagna c'è il tormentone sull'NHS che è "l'invidia del mondo". Paese che vai, sovranisti che trovi...

Saluti.

(Rio)

PS. La seconda parte la trovate qui.  La terza, invece, qui.



sabato 18 aprile 2020

La malattia di Nobel: scienziati e baggianate


Montagnier nel 2014 al Convegno UNESCO sull'omeopatia
Salve.

Non vi serve certo questo blog per ricordarvi che viviamo in tempi strani, caratterizzati da una pandemia di SARS-Cov-2, accompagnata da una diffusione altrettanto vasta e contagiosa  di bufale pseudoscientifiche di ogni tipo. 

Chiunque frequenti i social network è abituato da tempo all'enorme quantità di baggianate che vi girano, per cui non mi soffermerò sulle bufale in generale. 
Ciò di cui mi preme parlare oggi sono bufale di un tipo molto, molto particolare. E ciò non perché esse siano più sofisticate o credibili di qualsiasi altra panzana che circoli in rete da qualche anno a questa parte, bensì perché queste bufale sono state accreditate e, in alcuni casi, persino formulate da studiosi che nella loro vita hanno ricevuto importanti riconoscimenti internazionali nel campo della scienza. 

Sto parlando delle bufale o, per la precisione, delle tesi pseudoscientifiche supportate da alcuni importanti Premi Nobel in discipline scientifiche che, con il loro endorsment personale, hanno favorito la diffusione di una cultura complottista, irrazionale e, a volte, pericolosa per la salute pubblica. 

Il fenomeno, per fortuna non frequente, si è però di tanto in tanto ripresentato nel corso della secolare storia della Fondazione Nobel; al punto che è stato coniato un termine per questi studiosi che, in una fase della loro carriera, hanno ‒ come dire ‒ mostrato segni di cedimento intellettuale: si parla di "Nobel disease", la malattia di Nobel
Quando uno scienziato prestigioso, magari anche un vincitore di Nobel, comincia a sostenere tesi antiscientifiche come un grillino qualsiasi, senza mai produrre uno straccio di prova degna di questo nome, di lui si dice: "Poverino, ha la malattia di Nobel." 

Vi elenco di seguito alcuni noti casi della malattia di Nobel.
  • Pierre Curie (Premio Nobel per la Fisica nel 1903 e marito della celebre Marie, insignita del premio lo stesso anno): era un fervente sostenitore dello spiritismo e cadde più volte vittima dei raggiri della nota ciarlatana e medium dell'epoca, Eusepia Palladino. Anche sua moglie Marie ne era suggestionata, sia pure in misura minore.
  • John William Strutt (Premio Nobel per la Fisica nel 1904) credeva fermamente in ogni sorta di fenomeno paranormale e nei fantasmi.
  • Philipp von Lenard (Premio Nobel per la Fisica nel 1905). Nazista convinto e fervente sostenitore della Teoria della Razza, von Lenard si era fatto feroce promotore della cosiddetta "fisica ariana" e rigettava la "frode giudaica" della Teoria della Relatività, ipotizzata dall'ebreo Albert Einstein. Credo sappiamo tutti come sia andata a finire.
  • Joseph Thomson (Premio Nobel per la Fisica nel 1906) era un convinto sostenitore della rabdomanzia e di altri fenomeni paranormali.
  • Alexis Carrel (Premio Nobel per la Medicina nel 1912) era un convinto assertore dall'eugenetica e delle teorie razziali naziste.
  • Il celebre prof. Erwin Schrödinger (Premio Nobel per la Fisica nel 1933), era sostenitore del cosiddetto "misticismo quantistico", una pseudo-scienza in base a cui non misurabili campi di energia consentirebbero di trasformare semplici pensieri in oggetti concreti che esistono nel mondo reale.
  • Ernst Boris Chain (Premio Nobel per la Medicina nel 1945) era un forte negazionista della teoria dell'evoluzione darwiniana.
  • Il celebre prof. Wolfgang Pauli (Premio Nobel per la Fisica nel 1945) credeva in molti fenomeni paranormali.
  • Linus Pauling (Premio Nobel per la Chimica nel 1954). Sostenitore della "terapia megavitaminica", Pauling era convinto che dosi ultra-massicce di vitamina C potessero curare diverse malattie gravi, compreso il cancro. Furono condotti molti studi, ma non fu mai stata trovata alcuna correlazione statisticamente significativa tra l'apporto extra di vitamina C e non soltanto la guarigione, ma anche soltanto la maggiore resistenza a nessuna malattia grave: di conseguenza, la "terapia megavitaminica" venne abbandonata, nonostante Pauling vi credette iniettandosi vitamina C ogni giorno sino alla morte, avvenuta nel 1994 proprio a causa di un tumore alla prostata.
  • William Shockley (Premio Nobel per la Fisica nel 1956). Razzista irriducibile e sostenitore dell'eugenetica, Shockley mise in guardia sulla "evoluzione regressiva", convinto che i neri si riproducessero più velocemente dei bianchi. Sua la celebre tesi in base a cui "la principale causa del deficit sul piano intellettuale e sociale dei negri americani ha carattere ereditario ed è, pertanto, senza rimedio".
  • James Watson (Premio Nobel per la Medicina nel 1962). Sosteneva convintamente l'esistenza di legami biochimici tra la libido sessuale, il colore della pelle, il peso corporeo e le ambizioni personali. Riteneva anche che gli Africani fossero meno intelligenti della media, mentre gli Ebrei ashkenaziti più intelligenti della media ma che, nonostante questo, per via dei loro comportamenti, "una parte dell'antisemitismo fosse giustificata".
  • Brian Josephson (Premio Nobel per la Fisica nel 1973). Supportava la veridicità delle tesi sulla memoria dell'acqua, sulla telepatia, sulla telecinesi e altri fenomeni paranormali. Era inoltre, incredibile a dirsi per un fisico, un convinto assertore di idee creazioniste sul disegno intelligente.
  • Nikolaas Tinbergen (Premio Nobel per la Medicina nel 1973). Sin dagli Anni '80, è stato un convinto sostenitore dell’origine psicogena dell’autismo, ossia che l'autismo fosse causato da traumi psicologici subiti dal bambino nei primissimi mesi di vita. Ad oggi, nessuno studio è mai riuscito a confermare la benché minima correlazione statisticamente significativa tra questi due fatti.
  • Kary Mullis (Premio Nobel per la Chimica nel 1993). Nega l'erosione dello strato di ozono e la correlazione tra virus dell'HIV e AIDS, e sostiene la veridicità dell'astrologia. Sostiene anche di aver incontrato un procione alieno che emetteva una luce verde. 
  • Richard Smalley (Premio Nobel per la Chimica nel 1996). E' un convinto creazionista, sostenitore del disegno intelligente e della falsità della teoria dell'evoluzione darwiniana.
  • Il celebre prof. Luc Montagnier (Premio Nobel per la Medicina nel 2008). Ha idee anti-vacciniste ed ha pubblicato due studi (mai confermati da peer review) nei quali si sostiene che il DNA produca segnali elettromagnetici misurabili tramite forti diluizioni in acqua, in modo simile a quanto sostenuto dall'omeopatia. Montagnier sostiene anche l'AIDS potrebbe essere curato con una dieta apposita e degli integratori. Più di recente, ha anche dichiarato che il virus SARS-Cov-2 che ha causato la pandemia di Covid-19 sia nato a seguito di un esperimento segreto in un laboratorio cinese, in cui si cercava di mettere a punto una terapia per l'AIDS. Questo nonostante l'intera comunità scientifica mondiale, inclusi diversi Premi Nobel per la Medicina, abbiano più volte ribadito che tutti i fatti sinora a disposizione confermino l'origine assolutamente naturale del virus e sconfessino qualsiasi ipotesi di ingegnerizzazione in laboratorio.
  • Vi sono, infine, forme lievi della malattia di Nobel che riguardano alcuni scienziati, tra cui mi limito a citare Ivar Giæver (Premio Nobel per la Fisica nel 1973) ed il nostro Carlo Rubbia (Premio Nobel per la Fisica nel 1984) che sono fortemente scettici sul fatto che il cambiamento climatico abbia cause antropiche, nonostante esista ormai una sovrabbondanza di evidenza scientifica che collega le attività umane all'aumento globale delle temperature.
 Saluti,

(Rio)

venerdì 27 marzo 2020

E chi se ne frega del debito pubblico?!


«Ma chi se ne frega di ridurre il debito pubblico?! Sono soltanto squallide dottrine economiche neo-libbberiste!» 

E già.
Poi arriva un'emergenza e tutti a chiedere soldi: gli statali, i professionisti, gli artigiani, i commercianti che hanno i negozi chiusi... Pure le imprese, se no non possono più pagare dipendenti e fornitori e salta tutto.
Poi ci sono anche i disoccupati, quelli che i soldi li chiedevano già prima; figurati adesso.
Tutti quanti. Ogni singola categoria.

C'è un'intera nazione che non lavora più, ma che deve comunque mangiare e/o far mangiare. 
E ci vogliono soldi. 
Tanti, ma tanti soldi. 

E noi, adesso, quei soldi non ce li abbiamo.
Quindi, li chiediamo all'Europa, dove ci sono Paesi più seri del nostro, Paesi in cui i conti si son sempre tenuti in ordine. Ma questi Paesi rispondono picche, pongono condizioni, limitazioni, perché sono anche loro nei casini col SARS-Cov2.
Del resto, è normale: non hanno mica fatto tutti quei decenni di salti mortali per tenere in ordine il bilancio per poi finire a prestare a noi i soldi che ora servono anche a loro!

In fondo, sono i loro soldi e adesso ne hanno tragicamente bisogno anche loro; per i loro malati, il loro sistema sanitario, i loro lavoratori pubblici e privati, le loro imprese ferme, i loro cazzo di disoccupati.

Ai nostri dovevamo pensarci noi, invece di votare chi – piuttosto che normalizzare l'Italia – si inventava improbabili gonblotti nazionali ed internazionali e prometteva prebende clientelari di vario genere; chi, da Destra e da Sinistra, soffiava sul fuoco dell'infantile populismo dell'Italiano Medio dicendoci che noi eravamo speciali, che eravamo diversi e che non dovevamo fare come tutti gli altri.
Che l'Italia aveva il proprio modello economico (ma davvero?), improntato alla solidarietà e ad un capitalismo di matrice sociale.

Ma vaffanculo va', popolo italiano.
Hai foraggiato e sostenuto un modello socio-economico basato sul controllo assoluto della politica in ogni ambito e lo hai fatto perché speravi di trarne dei vantaggi personali, dei privilegi.
«Forse così anch'io avrò il mio posto fisso, il mio reddito di cittadinanza, la mia doppia pensione, il mio incarico con lauto gettone di presenza nel consiglio di amministrazione dell'ente pubblico tal dei tali, la mia consulenza, il mio appalto di fornitura di beni e servizi scadenti da vendere alla pubblica amministrazione a prezzi da boutique...»
Hai votato per decenni chi distribuiva ingiustamente il denaro pubblico in cambio di clientele.
E ora che siamo in emergenza da pandemia e non c'è un centesimo per fronteggiarla, mi dici, di grazia, cosa cazzo vuoi?

Divertiti pure a sostenere gli imbecilli che, ancora una volta (!), cercheranno di scaricare le tue colpe sulla Germania, sull'Unione Europea, su Trump, sulla Cina, persino su Putin.
Su tutti, fuorché su di te.
Divertiti a strepitare, a godere delle disgrazie altrui, a discettare di distinguo insignificanti, mentre gli altri Paesi – quelli con i conti sempre in ordine – avranno un po' di denaro da distribuire al proprio popolo, in una situazione di vera emergenza.

Forse questo maledetto SARS-Cov2 un po' di ragione ce l'ha a volerti decimare. Non credi anche tu?

Saluti auto-isolati,

(Rio)