Salve.
Da residente in Gran Bretagna dal 2006, leggo sempre articoli e blog di e su altri Italiani che vivono all'estero ma, pur avendo un mio blog da anni, chissà perché, non mi era mai venuto in mente di mettere nero su bianco il mio punto di vista sulla questione.
Ammetto che la mia è un po' una storia atipica, nel senso che non rientro nella categoria del classico ragazzo neo-diplomato o neo-laureato che, non trovando lavoro nella propria città, ha deciso di trasferirsi in un altro Paese, spesso vivendo e lavorando all'estero per la prima volta in vita sua.
No.
Da residente in Gran Bretagna dal 2006, leggo sempre articoli e blog di e su altri Italiani che vivono all'estero ma, pur avendo un mio blog da anni, chissà perché, non mi era mai venuto in mente di mettere nero su bianco il mio punto di vista sulla questione.
Ammetto che la mia è un po' una storia atipica, nel senso che non rientro nella categoria del classico ragazzo neo-diplomato o neo-laureato che, non trovando lavoro nella propria città, ha deciso di trasferirsi in un altro Paese, spesso vivendo e lavorando all'estero per la prima volta in vita sua.
No.
Il sottoscritto, dopo aver trascorso almeno tre settimane l'anno all'estero dall'età di 11 anni e due mesi estivi in un kibbutz israeliano quando ancora andava a scuola (e per questo devo ringraziare mio padre, che mi ha sempre incoraggiato in tal senso), dopo aver imparato all'estero due lingue straniere ed essersi spostato dal Sud al Nord Italia, ha trascorso gli ultimi sei anni prima di emigrare in Gran Bretagna girando la penisola in lungo e in largo, isole comprese, e lavorando per diversi mesi anche in Algeria, Cina e Croazia.
Sostanzialmente, ho inseguito il lavoro ovunque nel mondo, vivendo e lavorando in tre continenti, senza mai pormi dei limiti geografici (tranne che per le zone di guerra: quelle tenetevele. Rischiare di crepare per una day allowance di 500 euro lordi non rientra nelle mie priorità esistenziali).
Da questo punto di vista, il trasferimento in terra della "Perfida Albione" rappresentava solo il quinto Paese in cui vivere e lavorare. Non una gran rivoluzione per me, francamente.
Un altro motivo per cui non rientro nella "categoria dell'emigrato italiano standard" sta nel fatto che sono -- ahimè -- classe 1970, emigrato in UK a 36 anni compiuti, con almeno dieci anni di lavoro alle spalle e, quindi, con una visione del lavoro e dell'Inghilterra alquanto diversa da quella che potrebbe avere il "ragazzo emigrato medio", ammesso che esista.
Ciò premesso, in questo post voglio riportare in sintesi la mia esperienza, perché ritengo che molti possano ritrovarvi elementi e spunti di interesse, oltre a suggerimenti che potrebbero aiutarli ad evitare errori grossolani e perdite di tempo.
Un'avvertenza importante: non è affatto mia intenzione aprire un "blog amico - SOS espatrio". Quindi, se mi chiederete indicazioni su come risolvere i vostri specifici problemi personali di casa, lavoro, burocrazia, ecc., mi dispiace, ma non darò seguito alla vostra richiesta di chiarimenti. Cercate di capire e non v'incazzate troppo, ché vi fa male alle coronarie.
Sostanzialmente, ho inseguito il lavoro ovunque nel mondo, vivendo e lavorando in tre continenti, senza mai pormi dei limiti geografici (tranne che per le zone di guerra: quelle tenetevele. Rischiare di crepare per una day allowance di 500 euro lordi non rientra nelle mie priorità esistenziali).
Da questo punto di vista, il trasferimento in terra della "Perfida Albione" rappresentava solo il quinto Paese in cui vivere e lavorare. Non una gran rivoluzione per me, francamente.
Un altro motivo per cui non rientro nella "categoria dell'emigrato italiano standard" sta nel fatto che sono -- ahimè -- classe 1970, emigrato in UK a 36 anni compiuti, con almeno dieci anni di lavoro alle spalle e, quindi, con una visione del lavoro e dell'Inghilterra alquanto diversa da quella che potrebbe avere il "ragazzo emigrato medio", ammesso che esista.
Ciò premesso, in questo post voglio riportare in sintesi la mia esperienza, perché ritengo che molti possano ritrovarvi elementi e spunti di interesse, oltre a suggerimenti che potrebbero aiutarli ad evitare errori grossolani e perdite di tempo.
Un'avvertenza importante: non è affatto mia intenzione aprire un "blog amico - SOS espatrio". Quindi, se mi chiederete indicazioni su come risolvere i vostri specifici problemi personali di casa, lavoro, burocrazia, ecc., mi dispiace, ma non darò seguito alla vostra richiesta di chiarimenti. Cercate di capire e non v'incazzate troppo, ché vi fa male alle coronarie.
Dicevo: quando -- stufo di girare come una trottola per il mondo -- sono arrivato in UK in pianta stabile, io avevo un cv che non era di alcun interesse per il mercato del lavoro inglese. Ma non dico così per dire: professionalmente, ero assolutamente inutile. Ero pure troppo vecchio per "vendermi" come inesperto (e chi lo prende un junior a 36 anni? Qui c'è gente che a 36 anni è managing director, cioè direttore o dirigente apicale!).
Allora io mi sono chiesto tre cose:
1. Cosa interessasse al mercato del lavoro inglese, cioè quali competenze "tirano".
2. Tra quelle competenze, quali potessi acquisire io in tempi ragionevolmente brevi, o perché contigue a quello che sapevo già fare o perché, semplicemente, c'ero portato.
3. In che modo io potessi supplire alla mancanza di esperienza che ad un 36enne è sempre richiesta: non si scappa.
Punto Uno.
Capire cosa interessa al mercato del lavoro inglese è piuttosto semplice: basta monitorare quotidianamente gli annunci di lavoro attinenti la nostra area di ricerca sui siti specializzati (tipo, ad esempio, jobsite.co.uk , ma ce n'è una miriade) e si trovano ottime indicazioni in tal senso. Spesso, le offerte di lavoro riportano anche un'indicazione di stipendio (cosa impossibile in Italia), per cui ci si fa rapidamente un'idea non solo delle competenze richieste, di quanto frequentemente vengano richieste, ma persino di quanto valgano. Ad esempio, al centesimo annuncio di lavoro in cui si cerca un analista programmatore che conosca, oltre ad SQL e VBA, anche il linguaggio di programmazione SAS, si capiscono almeno due cose: SAS è richiesto; SAS è raro (presumibilmente, SAS è più difficile di SQL).
Punto Due.
Una volta che uno si è fatto un quadro chiaro di quali competenze specifiche offrano le migliori possibilità di trovar lavoro e le ha messe in ordine gerarchico per "valore", in termini salariali, deve scendere sulla Terra e farle corrispondere con le proprie competenze e abilità. Ho già detto che la mia esperienza curricolare non valeva nulla in Inghilterra, quindi potevo puntare soltanto su ciò che -- grazie ai (pochi) talenti di Madre Natura -- potevo imparare a fare in tempi non biblici.
Io, ad esempio, sono sempre stato portato per la programmazione: programmavo solo in VBA e in SQL, sia chiaro; ma quando ho visto SAS mi si sono drizzate le antenne. Avevo notato che la combinazione SQL + VBA + SAS + laurea in statistica (che avevo) mi dava la possibilità di provare ad accedere a non poche posizioni di lavoro per le quali c'era una certa domanda, nell'area in cui vivevo.
Inoltre, alcune posizioni richiedevano competenze in project management: io avevo gestito una serie di progetti, sino ad allora, ma l'avevo fatto "all'italiana", cioè mi mancava l'utilizzo di una metodologia standard internazionale. La cosa, comunque, appariva alla mia portata; o, quantomeno, non stavo sognando troppo.
Punto Tre.
Restava "IL" problema: ammesso e non concesso che avessi acquisito quelle competenze, come facevo ad essere credibile senza possedere la necessaria esperienza pregressa? Risposta: grazie ai programmi ed esami di certificazione internazionale.
Molte competenze specifiche hanno anche programmi di certificazione a diversi livelli con relativi esami; spesso duri, ma non sempre.
Questi esami vengono sostenuti quasi sempre in appositi centri gestiti da terze parti, i più noti dei quali sono i Pearson VUE ed gli ETS Prometric (ex Thomson Prometric).
In pratica, uno studia sui manuali ufficiali del programma, se esistono, oppure si documenta sul sito del programma di certificazione in merito alle materie su cui verterà l'esame e cerca dei libri utili. Poi va in uno dei centri e dà l'esame, che è quasi sempre sostenuto al computer mediante quiz a risposta multipla.
Se lo passa, acquisisce la relativa certificazione, che ha valore internazionale.
Io ho acquisito così le certificazioni "SAS Base Programmer", "SAS Advanced Programmer", "Prince2 Foundation", "Prince2 Practitioner", "SixSigma Green Belt", "PMI CAPM", "Oracle SQL Programmer I" ed "Oracle SQL Expert".
Sia chiaro che queste sono le certificazioni utili al mio profilo: se voi invece siete, che so, ragionieri commercialisti, è probabile che vi servirà una certificazione ACCA, CIMA o CFA. Informatevi con i siti di offerte di lavoro: leggendo i loro annunci (molto meno criptici dei nostri), si capiscono molte cose.
Quando nel cv hai un po' di certificazioni, è molto probabile che a qualcuno venga come minimo la curiosità di incontrarti di persona. Perché, sia chiaro: il cv serve soltanto a quello. A farti arrivare a sostenere un colloquio di persona con l'azienda.
Ma andiamo con ordine.
Il mercato del lavoro inglese è estremamente organizzato (e menomale!): niente "passaparola", "dritte riservate", niente cazzate all'italiana: uno manda il cv (dimenticatevi il formato europeo, che è pesantissimo! Siate pure stringati e semplici) rispondendo all'annuncio sul sito tipo JobSite e, se il cv è di un qualche remoto interesse, riceve una telefonata da un selezionatore indipendente.
Se lo passa, acquisisce la relativa certificazione, che ha valore internazionale.
Io ho acquisito così le certificazioni "SAS Base Programmer", "SAS Advanced Programmer", "Prince2 Foundation", "Prince2 Practitioner", "SixSigma Green Belt", "PMI CAPM", "Oracle SQL Programmer I" ed "Oracle SQL Expert".
Sia chiaro che queste sono le certificazioni utili al mio profilo: se voi invece siete, che so, ragionieri commercialisti, è probabile che vi servirà una certificazione ACCA, CIMA o CFA. Informatevi con i siti di offerte di lavoro: leggendo i loro annunci (molto meno criptici dei nostri), si capiscono molte cose.
Quando nel cv hai un po' di certificazioni, è molto probabile che a qualcuno venga come minimo la curiosità di incontrarti di persona. Perché, sia chiaro: il cv serve soltanto a quello. A farti arrivare a sostenere un colloquio di persona con l'azienda.
Ma andiamo con ordine.
Il mercato del lavoro inglese è estremamente organizzato (e menomale!): niente "passaparola", "dritte riservate", niente cazzate all'italiana: uno manda il cv (dimenticatevi il formato europeo, che è pesantissimo! Siate pure stringati e semplici) rispondendo all'annuncio sul sito tipo JobSite e, se il cv è di un qualche remoto interesse, riceve una telefonata da un selezionatore indipendente.
E qua dovete essere bravi voi, perché questo/a signore/a non ha molta pazienza. Deve fare tipo cento telefonate ogni giorno e vi parla in inglese a velocità che va dal normale al supersonico, con un accento che dipende da dove si trova la sede dell'agenzia di selezione del personale per cui lavora lui: si va dall'Inghilterra meridionale, se vi va bene, al Galles, alla Scozia o persino all'Irlanda del Nord (a me è capitato).
Se avete lavorato bene con le certificazioni e se avete scritto bene il cv, rispondendo a diversi annunci, è facile (dimenticatevi l'Italia: è facile) che vi telefonino diversi selezionatori, alle volte proponendovi offerte di lavoro differenti da quelle alle quali avete risposto voi.
Presto vi accorgerete che spesso vi fanno le stesse domande, per cui è bene che vi prepariate risposte chiare e concise. Se c'è una cosa che fa innamorare un selezionatore di voi è la chiarezza, subito seguita dalla brevità. Specie se l'inglese non è proprio la vostra seconda pelle, questa è una fase che vi conviene prepararvi bene in anticipo.
Le "solite domande" sono:
Le "solite domande" sono:
- When did you work for the last time? (Se vi siete trasferiti dall'estero e avete passato gli ultimi, che so, sei mesi a studiare per prendere le certificazioni, non è affatto un problema dirlo. Se invece siete stati fermi oltre un anno a non fare un cazzo, be'...).
- What's your notice period? (traduzione: che preavviso hai, cioè quando puoi cominciare a lavorare?)
- What was your last salary and which are your salary expectations? (traduzione: non sparate troppe cazzate qui, ragazzi. Prima di rispondere, fatevi un'idea realistica di quanto potete valere con il vostro cv e dite quello. E' facile che nel primo lavoro finirete col guadagnare meno, anche molto meno di quanto sperate; ma il primo lavoro serve a rompere il ghiaccio con l'Inghilterra. E' come la prima scopata: non potete pretendere che sia anche la migliore). Avvertenza: nelle negoziazioni, lo stipendio dev'essere espresso in sterline lorde annue, non in euro mensili netti. Si dice al selezionatore, ad esempio, "I'm currently on 35k (per year)", che significa "attualmente, sono sulle trentacinquemila sterline lorde annue". Tenete presente che, mediamente, tasse e contributi di legge pesano intorno al 30%, quindi (35.000 x 70%) ÷ 12 = circa 2.000 sterline nette al mese (sia chiaro: indicazione largamente spannometrica). Non esistono tredicesime o quattordicesime, ma c'è il bonus, che varia enormemente da azienda ad azienda, da settore a settore e da ruolo a ruolo. "Enormemente" è un avverbio da prendere alla lettera: si va dall'1%-10% lordo annuo (es, qui 350-3.500 sterline lorde) ad anche due volte l'intero stipendio annuo (oh yes!), come nel settore dell'investment banking.
- How far are you willing to commute? (traduzione: quanto tempo sei disposto a viaggiare come pendolare ogni santo giorno per recarti a lavoro? Attenti, ché qui alcuni selezionatori "giocano sporco", abbreviando le distanze da casa vostra al posto di lavoro, posto che sanno che siete stranieri e che non sapete un tubo. Vi conviene avere un'idea ragionevole delle strade, dei treni, del traffico, per sapere già prima di inviare il cv fin dove siete disposti ad andare: usate un conoscente che è lì da tempo o Google Map o quello che vi pare, ma fatevi un'idea delle distanze e dei relativi costi di pendolarismo prima).
- Could you describe me your responsibilities in your previous role(s)? (traduzione: voglio sapere brevemente che cosa sai fare, non la storia della tua vita. Ad esempio -- ed è solo un esempio, quindi non scoraggiatevi: "Nel mio precedente ruolo nel settore XYZ, scrivevo programmi in linguaggio SAS che importavano dati da AS-400, li elaboravano e poi esportavano i risultati in Oracle. I risultati venivano poi importati via ODBC in Excel, dove venivano elaborati da macro VBA, sempre scritte da me, per generare reportistica settimanale automatizzata"). Preparatevi le risposte per ogni vostro precedente ruolo in modo da apparire concrete, pratiche e utili. Se serve, improsciuttatele pure un po', ché tanto lo fanno tutti (gli Inglesi per primi), ma non esagerate! La regola è sembrare professionali e stringati, non cazzari e prolissi.
- How many annual leaves were you entitled to, in your previous role(s)? Le annual leaves sono i giorni di ferie, non le foglie d'autunno. :-) Tenete presente che, mediamente, in Inghilterra avete diritto a qualcosa tra i 21 e i 25 giorni di ferie, ma possono benissimo essere di più. Spesso, aumentano con l'anzianità di servizio.
Ora, alcuni di questi selezionatori che vi chiameranno sono tipi "improbabili" che cercano di farsi autorizzare da voi a rifilare il vostro cv ad aziende per posizioni con cui voi non c'entrate un tubo e, di conseguenza, vi fanno solo perdere tempo. Ad esempio, una volta a me è capitato un tizio che voleva proporre il mio cv ad una banca tedesca per un ruolo a Francoforte per cui erano necessarie "buone capacità di presentazione e persuasione dei clienti, in lingua tedesca". Solo che io non so una parola di tedesco.
Eravamo nel bel mezzo della crisi economica del 2008-2009 e io stavo per perdere il posto, perché la banca per cui lavoravo stava per fallire: così gli dissi di sì. Non vi dico come andò il colloquio telefonico con la banca tedesca... :-)
Comunque, la prima cosa da fare quando un selezionatore vi chiede se può proporvi o meno per un ruolo, è farvi mandare per email da lui la descrizione della posizione di lavoro (in inglese, la "job specs").
Ve la leggete e, se vi interessa e non è una cosa fuori dal mondo, tipo che il tizio vuole proporvi come governatore della Bank of England, allora potete autorizzarlo a proporvi all'azienda cliente (si dice "you can put my cv forward to your client").
Attenti qui, perché siete vincolati legalmente: per ogni posizione, non potete autorizzare più di un selezionatore. Se li volete fare davvero incazzare, così che non vi chiamino più nemmeno se sull'offerta di lavoro c'è scritto il vostro nome e cognome, autorizzate più di un selezionatore per la stessa stessa posizione aperta.
Attenti qui, perché siete vincolati legalmente: per ogni posizione, non potete autorizzare più di un selezionatore. Se li volete fare davvero incazzare, così che non vi chiamino più nemmeno se sull'offerta di lavoro c'è scritto il vostro nome e cognome, autorizzate più di un selezionatore per la stessa stessa posizione aperta.
Anche a questo serve la job specs: fate domande, chiedete il nome dell'azienda, tutto. Se vi rendete conto che questo selezionatore vuol proporvi per la stessa posizione per cui avete già autorizzato un altro, diteglielo e basta. Capita di continuo e ai loro occhi ci guadagnerete in serietà; e non serve sottolineare che la cosa vi conviene.
Diciamo che al selezionatore piacete e che l'avete autorizzato a proporre il vostro cv al suo cliente per una determinata posizione aperta. A quel punto, la palla passa al cliente, cioè all'azienda che ha ricevuto il cv.
E qui possono succedere essenzialmente tre cose:
1. Il cliente può dirsi non interessato al vostro cv, e non è detto che il selezionatore vi chiamerà per dirvelo: tuttavia, i bravi selezionatori imparano a non "rompere le scatole" ai loro clienti più di quanto non sia strettamente necessario. Se vi telefonano, è perché intravvedono nel vostro cv diversi motivi di interesse per alcuni loro clienti. Non vi chiederanno di proporvi ad un loro cliente, se non sono convinti che la cosa possa seriamente interessare il cliente. Però, come già detto, ci sono anche i selezionatori meno bravi...
2. Il cliente può aver bisogno di ulteriori chiarimenti. In quel caso, il selezionatore vi richiamerà e vi porrà ulteriori domande; se non lo convincerete, potrebbe pure decidere di lasciar perdere, per non indisporre il cliente. Avrete già intuito che il selezionatore guadagna a provvigione sullo stipendio del futuro neoassunto e che lavora in un mercato altamente competitivo (nelle aziende è un continuo squillare di telefoni con selezionatori che propongono il cv di tizio o caio). Di conseguenza, e almeno in questa fase, il selezionatore non lavora per voi, ma per il suo cliente. Il selezionatore ha un elenco di potenziali candidati (tra cui voi), ma farà arrivare a sedersi davanti al suo cliente solo quello/i per cui vale davvero la pena di "disturbare" il cliente.
3. Il cliente -- vivaddio! -- vuol vedervi per un colloquio. Allora il selezionatore vi chiama e vi chiede le vostre disponibilità di giorno e ora, cercando di farle combaciare con quelle del cliente. Si fissa il colloquio.
Quando andate al colloquio presso l'azienda cliente, fatte salve alcune deplorevoli eccezioni, non vi sottoporranno domande idiote e test da imbecilli, come fanno sempre in Italia.
Non vi chiederanno cazzate immani come "Perché vuol lavorare con noi?" o puttanate dal sapore epico come "Ha mandato cv anche ad altre aziende?".
Il colloquio verterà per lo più sul curriculum, per valutare le competenze e, cosa ancora più importante, per capire che tipi siete. Non sottovalutate quest'ultimo aspetto. Più spesso che no, un'azienda deve decidere tra diversi candidati che hanno, o dicono di avere, più o meno le stesse competenze. Veramente, su quel piano, uno vale l'altro. E allora si decide prendendo, tra questi, quello/a che appare più affabile, quello/a che sembra essere la persona con cui è più gradevole lavorare.
Preparatevi qualche aneddoto sui vostri trascorsi di lavoro (inventatevelo, se necessario), perché è possibile che alla fine dell'intervista vi chiedano cose del tipo: "Ci racconta di un suo insuccesso professionale?" Non dovete farli ridere, non siete a Zelig, ma vogliono sapere come reagite alle frustrazioni ed è comprensibile: se sanno che nel loro ambiente di lavoro ogni tanto arrivano legnate in testa dai clienti, non è mica un dettaglio sapere come reagirete, quando inevitabilmente capiterà anche a voi.
Noterete che al colloquio spesso cominciano a parlare loro, per spiegarvi il lavoro. Approfittatene per ascoltare bene e fate loro delle domande: non lasciate mai che pensino che per voi un lavoro vale l'altro, basta che se magna; specialmente se è vero. :-)
Ovviamente, se vi chiederanno le vostre aspettative di stipendio, date loro un'indicazione perfettamente in linea con quella che avevate già dato al selezionatore in precedenza. Se invece stavolta volete fare incazzare tutti e due, cioè sia il selezionatore che il cliente, sparate pure il doppio. Avrete fatto perdere tempo non ad una, ma a due persone. Dopo, potete metterci una croce sopra, proprio.
A questo punto, aspettate una telefonata dal selezionatore. Il cliente, infatti, non vi dirà com'è andata: lo dirà prima al selezionatore. E' probabile che sia il selezionatore a chiamarvi per primo, per sapere "com'è andata" e che impressioni avete ricevuto. Siate sinceri.
Dopodiché, vi dirà che vi farà sapere appena avrà ricevuto notizie dal cliente. E' certo, infatti, che il cliente voglia fare un colloquio a tutti gli altri candidati, prima di scegliere.
Se il selezionatore vi chiama e vi dice che il cliente è contento di voi, vuole anche dire che da quel momento il selezionatore lavora per voi. Infatti, i selezionatori del personale inglesi guadagnano prendendo una percentuale sul vostro stipendio iniziale (non la tolgono a voi, tranquilli! Gliela paga l'azienda cliente a parte). Quindi, più è alto lo stipendio d'ingaggio e più guadagnano.
Provate pure -- con tatto -- a chiedere loro se, a loro parere, non sia possibile ottenere qualcosina in più dal cliente, magari perché abitate lontano dall'azienda e gli spostamenti costano molto. Magari, lasciate trapelare che avete sostenuto colloqui per altre aziende più vicine (la mia scusa preferita).
Se lo escludono categoricamente, vuol dire che la vostra posizione, purtroppo, non è nella pole position di gradimento del cliente. Ma il più delle volte vi assicuro che saranno ben lieti di fare un piccolo tentativo. Conviene anche a loro: non si sa mai.
Esistono eccezioni, ma di solito un unico colloquio è sufficiente per essere assunti o scartati. Personalmente, trovo la cosa molto sensata e indicativa: un'azienda che richiede due o tre colloqui per risolversi su un'assunzione a me appare poco capace di prendere decisioni rapide e probabilmente affetta da una struttura troppo gerarchica.
Mi scuso se mi sono dilungato parecchio.
Nel prossimo post, la burocrazia inglese: e, lo assicuro, sarà un post più breve. :-)
Saluti,
(Rio)