Salve.
Per la consueta rubrica "Ho visto cose che voi umani, nemmeno se andaste a cena da Rutger Hauer", vi voglio raccontare un'ora e mezza di libidine vissuta ieri sera quando, da casa mia, mi sono recato in un vicino pub di South London per assistere ad Italia - Inghilterra, partita di esordio degli Azzurri ai Mondiali del Brasile 2014.
Ora, non so quanta familiarità abbiate con la geografia della capitale britannica, ma guardare una partita in pub del West End, di Greenwich o di qualsiasi altra area turistica londinese è cosa ben diversa dal recarsi in un anonimo pub in una zona di Londra che i turisti, e spesso neppure i londinesi, neanche sanno che esista.
Nel pub "turistico", all'ora delle partite si incontra una moltitudine di stranieri in vacanza, che bestemmia in idiomi che i linguisti credevano estinti da millenni e veste con abiti confezionati ad hoc utilizzando i tessuti delle bandiere. Una specie di stadio in miniatura.
Sia chiaro: è bellissimo. Lo raccomando a chiunque in dosi massicce.
Solo che la partita dell'Italia era alle 23:00 (ora legale inglese) e che tornare dopo mezzanotte e mezza dalla Londra "civilizzata" al mio piccolo angolo misterioso sarebbe stato lungo e soprattutto palloso.
Per cui alla fine ho optato per una soluzione più comoda: il grande pub di periferia. Un luogo arcano e misterioso agli occhi del mondo, ma che tutti i "locali" conoscono bene, perché i mega-schermi sono davvero mega, il volume della tv è tipo concerto dei Soundgarden, la birra costa poco, c'è spazio, insomma ci siamo capiti.
Entro nel grande pub tipo dieci minuti prima della partita e tutti, uomini e donne, sono già ubriachissimi come ciuchi.
Hanno già bevuto talmente tanto che quando ordino un sidro alla spina, la barista mi fa "Scusa, darling, ma non abbiamo più bicchieri perché ormai non ce li portano più indietro [eh?]. Va bene un sidro in bottiglia?"
Proprio in quel momento, parte God Save The Queen e tutti e tutte cantano come possono. Uno continua a cantare anche quando l'inno è finito e si becca uno "Shut it, mate!" da un cristone gigantesco con la pelle scura e tutta tatuata: una specie di guerriero Maori dall'aria "tosta" con cui io veramente non vorrei mai avere una divergenza di opinioni.
Parte Fratelli d'Italia e scorrono le facce dei nostri -- che 'manco quest'anno hanno imparato le parole dell'inno, mortacci loro -- ed è tutto un "Booo, fuck you, you bunch of wankers!" ("andate affanculo, manica di segaioli").
Un po' mi indigno, ma poi penso che, in fondo, io non sono nessuno per distruggere i sogni di chi crede che lascerà lo stadio di Manaus con le chiappe ancora vergini.
L'umanità in sede merita una descrizione: gente di tutte le classi sociali e di tutte le età, dai bambini agli anziani, uomini e donne. Il pub inglese è un luogo davvero inclusivo, aperto a tutti.
Ragazze vestite come nelle peggiori occasioni: ce n'era una, seduta poco più in là, che sino a quasi metà del secondo tempo io ho creduto fosse venuta in vestaglia. Poi m'è passata davanti ed ho notato che era tipo un soprabito leggero, una cosa così... Non ho capito bene.
La maggior parte di loro urlava: urlavano per parlare (il volume della telecronaca BBC era assordante), urlavano alla tv, urlavano alle bariste.
Uno di loro, sbronzo come una spugna sbronza, si lamenta con la barista più anziana perché non ci sarebbe abbastanza vino rosé nel suo bicchiere e lei, di tutta risposta, finge di spremere la bottiglia di vetro vuota nel bicchiere del tizio. Lui ride e se ne va allegro: a volte basta poco.
Le etnie nel pub sono le più disparate, come si conviene ad una vera società multietnica. Bianchi, neri, indiani, pakistani (cioè io)... Ad un certo punto, entra anche un cinese ubriaco che si piazza, come se niente fosse, proprio davanti allo schermo e le bariste gli dicono di levarsi dalla mamma del cazzo, prima che qualcuno cominci ad agitarsi troppo.
Ma questa varietà umana un comune denominatore ce l'ha eccome: l'alcol.
Sono tutti talmente ubriachi che quando Sterling ha fatto partire un destro che ha creato l'illusione ottica del gol, giuro che mezzo pub ci ha messo cinque minuti per capire che non avevano veramente segnato.
Una tipa
carina ma tamarrissima, con un tatuaggio enorme ed una voce ruvida come
la Berté col mal di gola, mi chiede se posso spostarmi, così lei può
chiacchierare con la sua amica, la Ragina delle Rozze.
Acconsento. Noblesse oblige.
Proprio lei, dopo un po', si gira e fa, urlando a tutto il pub: "Olè olè olè olè...! En-gland... En-gland...!" E tutti dietro a lei, a fare il coro da stadio.
Neanche fosse Genny 'a carogna, proprio.
Un
altro tizio con un alito al metilene -- che se gli fumi vicino tipo scoppia
tutto il pub -- mi chiede se ho da accendere, ma la ragazza al bancone lo
sente e gli fa "Get out, mate. This is a no-smoking area! Can't get fucking fined because of you...!" (Non possiamo prendere una cazzo di multa per colpa tua") E poi mi guarda sorniona e aggiunge "...Again."
Comunque, gli Inglesi (quelli in campo, voglio dire) si muovono molto e impegnano subito Sirigu -- che non sarà pure al meglio della forma, come dice Prandelli -- ma cazzo se è in giornata buona.
Già al 20-mo del primo tempo, Welbeck e Sturridge mi hanno rotto il cazzo con le loro incursioni, che Darmian e soprattutto porca-Paletta non sembrano capaci di fermare.
Una menzione a parte merita il portiere inglese, Joe Hart. Hart è tutto fuorché un buon portiere, ma lo vedete in tutti gli spot pubblicitari, qui.
Perché? Perché è belloccio e piace alle ragazzine inglesi. E perché è elegante, in campo come fuori, e indossa bene.
Anche contro l'Italia, Hart era assolutamente in tinta: capelli biondi, pelle bionda, maglia bionda e pantaloncini biondi.
Un fighetto. Mica cazzi.
E' uno dei portieri più insignificanti nella già insignificante storia dei portieri inglesi. Non vale letteralmente una sega (chiedetelo a Jagielka che, alla fine del primo tempo, dalla linea di porta ha messo fuori il pallonetto di Balotelli, salvando Hart da una figura di merda planetaria) e in Italia non giocherebbe nemmeno nel campionato dilettanti.
Ma ha stile, il ragazzo: Dolce e Gabbana farebbero a cazzotti per poter vestire lui, invece che il barbier-fòbico Pirlo.
Quindi, l'Inghilterra macinava gioco e così gli Inglesi (quelli nel pub, stavolta) intonavano i vari "come on, England!" come gli "ora pro nobis" in un monastero cistercense.
In più di un'occasione, le incursioni inglesi mi hanno fatto pensare "Cazzo, menomale che sono delle mezze seghe. Tu un'opportunità del genere la dai, che so, a Robben dell'Olanda e quello ti segna due volte, non una".
Fatto sta che, ad un certo punto -- sarà che la palla è rotonda, sarà che il calcio è imprevedibile, sarà che non lo so perché -- ma è Marchisio-gol: uno sfilatino teso e preciso nell'angolino destro di Hart, che si lamenta perché gli si è stropicciata la maglia e lo sponsor s'indigna.
E va be'.
Purtroppo, non ho avuto il coraggio di scattare foto alle facce degli Inglesi. Ma l'istantanea presa da internet che vedete qui sopra credo renda l'atmosfera piuttosto bene.
Ora, voi direte: "E tu che hai fatto? Hai esultato?"
Be', signori, ero letteralmente l'unico Italiano lì dentro; e il Maori, insieme ad altri cinque o sei armadi a tre ante dell'Ikea sembravano troppo contrariati per la rete di Marchisio perché io mi mettessi pure ad urlare loro in faccia "Goool!".
Che vi devo dire... Quando l'Italia segna in un oscuro pub di Londra Sud, è l'arte di apparire pensosi mentre dentro si gode come criceti.
Gli Inglesi ti vedono assorto e pensano "Anche lui è triste, come noi".
Sì. 'Sto par di palle.
Chiaramente, nemmeno il tempo di arrivare all'orgasmo, che Rooney si ricorda che sono tipo otto anni che non combina un cazzo in nazionale: così, s'inventa un assist notevole per Sturridge che -- salutato Chiellini (prima di tutto l'educazione) -- vola come una gazzella e trafigge l'incolpevole Sirigu.
Non vi dico: urla, strepiti, gente a torso nudo che esce dal pub correndo avvolta nella bandiera inglese -- 'manco avessero vinto la Coppa Rimet, 'sti sfigati -- gente sbronza che slinguazza a manetta e, ovviamente, tanti, simpatici ed allegri fuck you per ciascuno di noi "Ities".
Io, al gol di Sturridge, resto di pietra e intorno è tutto uno «'scuse me, mate» di gente che vuole festeggiare, e va avanti e indietro con una birra in mano e già diverse nello stomaco.
Anche il Maori si avvicina al bancone e mi fissa, ma non mi chiede di spostarmi; non dice niente. Io mi sposto in automatico, lasciando transitare la sua enorme massa. Perché io l'ho visto, Once Were Warriors.
Comunque, il pallonetto di Balotelli e il palo dell'ottimo Candreva riportano tutti sulla Terra, vivaddìo.
E va be'.
Secondo tempo, la musica cambia. Non che l'Inghilterra non sappia rendersi pericolosa, ma comincia a serpeggiare nel pub la sgradevole sensazione che, per trascorrere il week end, il mitologico uccello padulo abbia scelto proprio Londra.
E ci vuole Candreva, che Dio lo benedica, che brucia Baines sulla destra (proprio gli dà fuoco, e Baines, ridotto ormai ad una torcia umana, corre via urlando e si perde nella foresta tropicale) e poi mette in mezzo un cross -- NO, una raccomandata assicurata a nome di Balotelli -- che firma la palla e la mette alle spalle di Hart. Il quale avrà pensato: "Ma quindi è così che è fatto un pallone da calcio...?"
L'Inghilterra ci prova e ci riprova a pareggiare, ma non ci sono né cazzi né mazzi. Ricominciano gli urli e i "fucking", stavolta all'indirizzo di Rooney, che evidentemente pensava con l'assist a Sturridge di aver già dato per altri otto anni. "Rooney, you fuckin' get in the game, you jerk!" è un verso poetico che ricordo.
La traversa di Pirlo sul finire, come l'alba, porta via con sé i sogni inglesi di non essere più quella squadra del cazzo che invece altro non sono.
Bene. Ci vorrà il calcio, ci vorranno i mondiali, ma per una volta posso chiudere una nota parlando bene del mio Paese.
Qualche demente magari dubiterà, ma quando posso farlo, ne sono molto contento anch'io.
Saluti,
(Rio)