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venerdì 9 dicembre 2016

Due parole sul nuovo programma politico del M5S


Salve.

In passato, mi sono già diverse volte occupato del programma politico del MoVimento Cinquestelle: ho analizzato il primo programma, concentrandomi successivamente sul "pezzo forte", il fantomatico Reddito di Cittadinanza e sulle sue ancor più fantomatiche coperture

Va da sé che negli anni il M5S ha più volte cambiato tutto ciò che ho elencato sopra, senza mai alcun preavviso, in perfetto stile paraculo 2.0. Questo rende il lavoro di analisi improbo e, sostanzialmente, inutile. 
Ma i recenti accadimenti politici degli ultimi giorni, che rendono molto concreta la possibilità di un primo governo a guida Cinquestelle, e le ancor più recenti dichiarazioni del presunto candidato premier Luigi Di Maio, e del pasionario del movimento Alessandro Di Battista, oltre a registrare l'ennesima, disinvolta giravolta programmatica, impongono una rilettura dei suoi contenuti, sia vecchi che nuovi. 

Procedendo con ordine e tralasciando le menate tipo "per lo sviluppo, puntiamo sull'enograstronomia, il nostro petrolio", l'ultima versione del programma del MoVimento appare imperniata intorno ai seguenti punti: 

1. L'uscita dall'euro 
Non starò a tediarvi con tutta la menata del "NO all'Europa!" originariamente sul blog di Grillo, con tanto di alleanza con i movimenti anti-europeisti, che poi, nella primavera 2016, è diventato "Noi non abbiamo mai detto NO all'Europa!" e adesso si è di nuovo trasformato in "Il MoVimento non è anti-europeista e vuole l'Italia in Europa!"... 
Sta di fatto che --almeno oggi a quest'ora-- vogliono uscire dall'Euro "per restituire la sovranità monetaria al Paese". La cosa, comunque, sarebbe preceduta da un referendum consultivo, che era previsto nella riforma costituzionale appena bocciata (soprattutto grazie a loro), ma che non c'è in questa, di Costituzione. Invece, in questa Costituzione c'è scritto che sui trattati internazionali non si possono tenere referendum.
Allora, le cose sono due: 
  1. o i grillini cambiano la Costituzione, ma poi devono tenere un referendum confermativo, come ha fatto Renzi; e, se passa, fanno il referendum consultivo sull'uscita dall'euro; se passa pure questo, alla fine l'Italia esce dall'euro.
  2. oppure fanno uscire l'Italia dall'euro tout-court, senza consultare il popolo, tanto sono abituati. Magari, fanno un bel voto on-line sul blog di Grillo, la cui organizzazione e gestione sono affidate agli amministratori di database ed ai web-master della Casaleggio & Associati. Loro sanno bene cosa fare. E tanti saluti alla democrazia.
In ogni caso, non appena il sottoscritto --e con me diversi milioni di Italiani, credo-- dovesse subodorare che 'sta cosa dell'uscita dall'euro si fa per davvero, nessuna banca italiana vedrà più i miei risparmi. Verranno tutti prontamente spostati sul mio conto in sterline in Gran Bretagna. Essere un emigrante qualche vantaggio ce l'ha.
Il conto italiano lo chiudo. O lo lascio lì con su un euro simbolico, per un caffè a Di Battista che, con 9mila euro al mese, dice di guadagnare poco, bontà sua. Magari ci si fa una "spremuta di umanità" al bar.

Comunque sia, una massiccia fuga di capitali, italiani e stranieri, è garantita. 
E le banche, allora, che cosa fanno? Dove trovano i soldi da prestare, se quelli dei risparmiatori sono andati all'estero? Come guadagnano? Cosa succede?
Be', succede il solito. Cosa credete, che gli slogan cambino niente? 
I tassi di interesse vanno su e i criteri di approvazione dei prestiti pure.
Pochi soldi, che si danno solo ai più sicuri tra i sicuri. E a tassi più alti.
Si chiama "stretta creditizia", ed è il capitolo primo della tanto auspicata sudamericanizzazione dell'Italia. Così, i grillini --dopo aver parlato tanto a lungo delle meraviglie delle economie di paesi come Venezuela e Argentina-- potranno almeno sperimentare cosa vuol dire trovarcisi a vivere per davvero. 
Dovessero anche provare ad imporre il blocco dei capitali, come dei comunisti disperati, non cambierebbe molto. In Grecia, dove Tsipras ha fatto proprio questo, la cosa ha funzionato malissimo: sono riusciti a fermare, in parte, solo i capitali dei dipendenti pubblici. 

2. Rendere di nuovo pubblica la Banca d'Italia
Nella composizione dei partecipanti al capitale di Bankitalia compaiono anche nomi di banche ed assicurazioni "private", in particolare di due: Intesa Sanpaolo S.p.A. e UniCredit S.p.A. Ma hanno quote consistenti anche Generali Italia S.p.A. ed alcune Casse di Risparmio.  
La legge del 2005 (mai attuata), che prevedeva il trasferimento allo Stato della proprietà della Banca d’Italia, è stata cestinata, per consentire al Tesoro di incassare un gettito immediato (di circa 1,2 - 1,5 miliardi) tassando la plusvalenza realizzata dalle banche sulle loro quote nella banca centrale. 
Tralasciamo, per brevità, tutto il discorso sulle Fondazioni bancarie a cui tali soggetti "privati" fanno capo, e che ne fa più un feudo politico appannaggio di questo o quel partito (o corrente di partito) che una società davvero "privata". Tuttavia, anche se --da quando c'è la BCE-- il ruolo delle banche centrali nazionali è sicuramente meno critico di prima, una Banca d'Italia con una composizione del capitale fatta così non è accettabile. Il controllato non può avere delle quote, specie se consistenti, del controllore e poco importa se possa davvero farle valere oppure no: un ente che svolge una funzione di pubblico controllo dev'essere interamente pubblico.
La domanda da porsi, quindi, è: OK, va fatto. Ma perché nazionalizzarla in tempo di crisi, incorrendo nei costi notevoli di questa operazione? Non sarà mica perché Di Maio & soci vogliono portare la Banca d'Italia sotto controllo politico, vero? 
No, perché una delle ragioni d'essere di Bankitalia è proprio la sua completa autonomia dal governo (vera o presunta che sia, ma questo è un altro discorso). Se l'obiettivo è quello, la cosa è davvero fuori discussione. Senza completa autonomia dal potere politico, il ruolo di una banca centrale è praticamente inutile: se si esce dall'euro, infatti, chi vigila sulla valuta nazionale, rifiutandosi di stampare cartamoneta a comando sulla base delle esigenze politiche? Chi vigila in maniera indipendente sul mantenimento del valore della valuta nazionale, evitandone la svalutazione per i capricci della politica?

3. Il Reddito di Cittadinanza
Sul RdC ho parlato già ampiamente più volte, per cui davvero rischio di ripetermi: leggete quegli articoli, se volete capirne di più.
E comunque, basta con 'sta balla, dài! Tanto non ci sono i soldi. O almeno, non ci sono per farlo come vorrebbero loro. Possono giusto dare una ritinteggiata alla Cassa Integrazione e chiamarla Reddito di Cittadinanza o "Fondo Dibba" o come pare a loro. Un rebranding o re-labelling, si dice nel gergo del marketing: prendi una cosa che c'è già e le dai un nome nuovo. Et voilà. 
Dio non voglia che si mettano a fare debiti per distribuire qualche mancetta elettorale, ma sempre di spiccioli si tratterebbe.

Le loro fonti di copertura sono ridicole, le modalità attuative sono al limite del fantascientifico. Leggete i link.
Capisco che, in un Paese in crisi nera, l'argomento "tiri", ma non si può prima prendere per i fondelli la gente come fanno tutti gli altri partiti, speculando sulla disperazione, e poi avere pure la faccia tosta di dirsi "diversi" e "migliori" degli altri.
E poi, che almeno chiamino le cose con il loro nome: sussidio. Questa cosa si chiama sussidio! "Benefit", la chiamano qua in Inghilterra, se vogliono fare gli esterofili.

4. Audit e Ristrutturazione del debito
E niente, non se ne può più. Anche su questo argomento ho scritto già molto ma, in breve, la cosa si sostanzia in una decisione politica di quali debiti siano "legittimi" e quali invece no. Immaginate di lasciare ad un debitore la facoltà di decidere quanta parte di un debito sia dovuta al creditore e quanta non sia invece da pagare.
La finalità ultima, va da sé, è la cosiddetta ristrutturazione del debito pubblico. Di che si tratta?
In pratica, lo Stato Italiano dichiara bancarotta e quindi si dice nell'impossibilità di ripagare il debito pubblico accumulato, se non in piccola parte. Di conseguenza, chiede la cancellazione di parte del debito ai suoi creditori interni ed esteri: come dire, che se prima ti dovevo "100", facciamo che da oggi ti devo solo, che so, "40". 
Se fosse così facile, secondo voi, com'è che non lo fanno tutti? 
Prima ti indebiti e poi ristrutturi, no? Fantastico. 
Be', no. E le ragioni sono, sostanzialmente, due:
  1. Effetto di breve periodo: appena si capisce che potresti ristrutturare, nessuno vuole più i tuoi titoli. E grazie al cazzo, scusate il francesismo: se voi aveste, che so, delle azioni che potrebbero presto valere zero, cosa fareste? Cerchereste di venderle e di sicuro non ne vorreste comprare delle altre. La conseguenza di questo è che i rendimenti del titolo salgono, perché nessuno vuole un titolo a rischio, se rende anche poco. I rendimenti, visti dall'altra parte, sono gli interessi che lo Stato italiano paga su quei titoli, che aumenterebbero come una valanga. Un colpo di genio.
  2. Ma c'è un effetto di medio-lungo periodo che è anche peggiore: chi ristruttura diventa un "cattivo pagatore". E dopo chi li vuole, i titoli del debito di uno che non paga? O di uno che all'inizio paga e poi, di punto in bianco, elegge un comico qualsiasi e decide che ti deve meno della metà di prima? Se sei un cattivo pagatore, i mercati ti dicono: vuoi altri soldi a prestito? Allora paga più interessi, per compensarmi del rischio che tu stesso hai creato, con il tuo dissennato comportamento. Da quel momento e chissà per quanto, per il Paese che ha ristrutturato il debito sarà più difficile approvvigionarsi sul mercato di capitali e, di sicuro, i vecchi tassi, bassi e ragionevoli, se li può scordare per decenni. Chiedete agli Argentini ed agli Islandesi com'è andata a finire davvero, al di là della propaganda sulla fantomatica "rivoluzione silenziosa" che ha infestato e tenuto banco sul web per mesi. Se volete, trovate tre miei approfondimenti (qui, qui e qui).

5. Riduzione della tassazione delle micro-imprese, l'ossatura del tessuto produttivo italiano
In teoria, verrebbe da dire che sarebbe ora. Ma bisogna pure dire come compensiamo lo squilibrio che si viene a creare nei conti pubblici. Perché va bene togliere l'IRAP alle micro-imprese, ma la mastodontica spesa pubblica italiana, un moloch mostruoso come pochi al mondo, allora come la paghi? Con i biglietti per assistere alle giornaliere gaffes in italiano di Paola Taverna? 
I Cinquestelle questo non lo dicono, perché una vecchissima legge non scritta della politica italiana recita: "Mai, ma proprio MAI dire dove tagli la spesa, perché i destinatari di quella spesa s'incazzano, votano da un'altra parte e ti fanno pure la guerra".
Dio, o chi per lui, non voglia che questi qua si sono messi in testa di uscire dall'euro per poter stampare cartamoneta nostrana, la Lira Peppiana la chiamiamo, e con quella pagare la spesa pubblica! 
Che poi, per inciso, l'idea che una banconota valga di per sé, per la carta filigrana da cui è fatta, ma da dove viene? Dai meandri di internet o dall'opinione autorevolissima di qualche studente universitario bocciato all'esame di economia politica?
Una banconota rappresenta un pezzo del prodotto interno lordo, della ricchezza del Paese emittente. Per questo non se ne può stampare quanta cazzo se ne vuole: perché la ricchezza che c'è dietro e che "garantisce" il valore della banconota sempre quella è. 
Altrimenti, basterebbe fotocopiarla, no?

Se la BCE stampa una moneta da 10 euro, vuol dire che "dietro" c'è un pezzo di ricchezza dei Paesi dell'Unione che viene stimato in circa 10 euro. Il valore reale è vicino a quello nominale. Se la BCE ne stampasse il doppio, ogni banconota varrebbe, di fatto, la metà. E' vero che ci sono provvedimenti come il quantitative easing, ma si stratta di misure temporanee, garantite da riserve di valuta, la cui implementazione --proprio per evitare tensioni-- viene ponderata attentamente ed implementata con molta, molta cautela. E solo per il tempo strettamente necessario, resistendo alle pressioni politiche.

Ma diciamo che il governo Di Maio invece ci fa tornare alla Lira Peppiana, divisa in cento Dibba, e che impone alla Banca d'Italia, finalmente ripubblicizzata, di stamparne un bel po' per compensare i tagli delle entrate fiscali.
Nel giro di pochi mesi dallo scollamento tra valore nominale e valore reale della nuova divisa italiana, il valore della Lira Peppiana crollerebbe e si genererebbe una spirale inflattiva violenta. La gente inizierebbe a pretendere di esser pagata con valute stabili, cioè che oggi valgono all'incirca quanto valevano sei mesi fa e quanto varranno tra sei mesi; ad esempio... l'euro.
E' il mercato nero delle valute; come nei Paesi comunisti prima della caduta del muro di Berlino, quando i Paesi del blocco socialista pretendevano di decidere loro il tasso di cambio delle loro valute sgangherate, rispetto al dollaro o al macro tedesco. Il mercato, che poi è espressione del famoso "Paese reale", se ne frega di certe decisioni a tavolino.

Senza contare quello che accadrebbe con i fornitori esteri: e chi, nel mondo, vuol essere pagato con le fotocopie dei soldi? Tutti pretenderebbero euro o valute con un valore reale vicino a quello nominale. Soldi veri, insomma.
Ma a questi qua, la catastrofica svalutazione giornaliera delle valute dei Paesi dell'Africa nera non ha insegnato niente? 

Saluti,

(Rio)

lunedì 5 dicembre 2016

Ha vinto il NO. E adesso?


Salve.

Il popolo italiano, con coerenza, senza mai deludere né smentirsi, continua a fare una cazzata dopo l'altra e butta all'aria forse l'ultima possibilità di evitarci la catastrofe di un governo dei Cinquestelle.

Ma non è questo il punto.
Perché la riforma costituzionale appena bocciata --per quanto tutt'altro che esente da difetti-- rappresentava il solo tentativo vero in quasi 70 anni di superare il bicameralismo perfetto; e, abbinata all'Italicum, una legge elettorale davvero maggioritaria che forse adesso verrà abrogata (o forse no), rischiava seriamente di trasformare l'Italia in un Paese normale, in cui ci sono elezioni, uno vince e governa per cinque anni senza doversi sobbarcare i ricatti da parte di partitini e correntine che gli servono per ottenere la maggioranza e, allo scadere del mandato, se ha governato male, c'è un meccanismo elettorale per cui bastano pochi voti per ribaltare completamente un assetto politico, mandando a casa il vecchio governo e mettendo al suo posto un partito dell'opposizione, secondo le regole dell'alternanza. 

Ma non solo! Ci saremmo evitati il solito ping-pong tra le due Camere, evitando di annacquare e di peggiorare (sì, peggiorare) l'impatto delle leggi e delle riforme, oltre che abbreviandone l'iter di approvazione. Se non credete a quel che dico, procuratevi qualche prima o seconda bozza delle leggi in discussione, prima degli emendamenti e guardate come, stesura dopo stesura, la montagna immancabilmente partorisca il topolino. Ecco: noi potevamo evitarci tutto questo o, quantomeno, ridurlo in maniera consistente.
E invece NO. Siamo diventati tutti, improvvisamente, strenui difensori della Carta dei Padri Costituenti. Nientedimeno.
"Perché la Costituzione antifascista è fatta proprio per evitare che si concentri troppo potere in poche mani!"...
E già. Per cui, se al Paese servono riforme importanti ma non si riesce a decidere niente di essenziale, perché abbiamo l'iter parlamentare ridotto ad un'assemblea di condominio, be', pazienza.

Poi, sì, c'è tutta la faccenda degli under 35 che (giustamente) delusi dalle politiche di Renzi, lo hanno voluto punire votando NO. Le loro ragioni erano sacrosante, per quanto del tutto scollegate dall'oggetto referendario; ma si sa, la rabbia è rabbia. Anche Renzi paga la mancanza di coraggio, si potrebbe dire: pure lui, come i suoi predecessori, per non perdere i voti dei vecchi, i veri padroni d'Italia, ha fatto davvero troppo poco per i giovani e loro lo hanno bastonato.
Sì, tutto vero.
Ma con questa riforma approvata, forse Renzi avrebbe potuto fare di più.
E non solo lui; chiunque si fosse ritrovato a governare il Paese, avrebbe avuto --finalmente!-- gli strumenti per poter fare di più.
Davvero gli under 35 sono così disperati da illudersi che una cricca di miracolati senza arte né parte e raccattati dalla strada --gente telepilotata da una piccola società di web marketing che sinora ha più volte dato prova di non avere le benché minime basi giuridiche, economiche e lasciamo stare le idee politiche "da ambulanza"-- potrà fare di meglio, nell'alveo di una Costituzione progettata proprio per evitare grandi cambiamenti?

Va bene, mi sono sfogato. Ma la domanda vera è: E ADESSO CHE SI FA? 
Renzi, chiaramente, si è fatto da parte, dopo un discorso di dimissioni --bisogna dargliene atto-- degno di un politico di razza: una roba che in Italia non s'era davvero mai vista.

Per cui, al momento, esistono varie ipotesi sul tappeto, ma sia chiaro che gli scenari possibili sono molti di più. Questi sono solo, a mio parere, i due esiti più probabili:

1. Governo Tecnico / di Scopo. Sì. Un altro. Ma per fare cosa? Probabilmente, per abrogare l'Italicum. Del resto, eleggere la Camera con l'Italicum, che è una legge maggioritaria, e il Senato con il Mattarellum (visto che il Porcellum è stato dichiarato incostituzionale) vorrebbe dire probabilmente un Parlamento ingovernabile. Oppure il governo tecnico servirebbe per approvare una nuova legge elettorale per entrambe le Camere. Ma chi sosterrebbe 'sto governo tecnico? Una parte del PD e il Centrodestra (o quel che ne rimane). I Cinquestelle, non credo. Perché sporcarsi le mani e rivelarsi degli inetti incapaci prima di quando non sia strettamente necessario? Probabilmente, se si cambiasse la legge elettorale in senso proporzionale per entrambe le Camere, si creerebbe un consenso più ampio intorno a questo ipotetico governo tecnico. E si sa: tutti i miracolati che sperano di assicurarsi un posto di parlamentare il più a lungo possibile, magari con una nuova legge elettorale più "inclusiva" (perché "proporzionale" si legge "inclusiva", sappiatelo), avrebbero tutto l'interesse a prolungare questa agonia istituzionale.

2. Si vota subito. A me non dispiacerebbe, ma non credo che il Centrodestra ed il PD vogliano farlo: sono tutti affetti da problemi interni più o meno recenti e vorranno prima riorganizzarsi. Dovesse succedere, possono accadere due cose: la più probabile è che il M5S diventi primo partito in Italia. Ma se non raggiungono la maggioranza assoluta, hanno un problema serio: gli tocca fare alleanze con qualcuno. Non esattamente la specialità della casa. Su questo problema potrebbero impaludarsi in modo anche definitivo.
Lo scenario meno probabile sarebbe che, per una cazzo di volta in vita mia, il popolo italiano mi sorprendesse in meglio e votasse per Renzi: tipo, quasi tutto il fronte del SÌ vota per Renzi, mentre il fronte del NO vota secondo le proprie scuderie di appartenenza e, di conseguenza, si frammenta.
Più un sogno che una probabilità concreta, certo.
Se gli Italiani sono davvero minchioni come credo io, e oramai dispongo di una casistica sufficientemente ampia per confermarlo, voteranno in massa Cinquestelle, illudendosi --forse per disperazione-- che lanciare slogan populisti e proclami general-generici sia la stessa cosa che governare davvero un Paese.

Una cosa è certa: a settembre 2017 (non so in che data, esattamente) saranno quattro anni e mezzo dall'inizio della legislatura. Che vuol dire? Vuol dire che "scattano" i vitalizi, ecco che vuol dire. E questa legislatura è piena zeppa di eletti per la prima volta; specie tra le file dei Cinquestelle.
E che, non vogliamo regalarlo pure a loro, un roseo futuro a spese nostre?
Tra l'altro, dalla prossima legislatura entrerà in vigore la nuova normativa in materia che interrompe la cuccagna. Per cui questo è l'ultimo treno, se si desidera entrare nel novero dei fortunatissimi ricchi a spese nostre.
Quante probabilità ci sono che si tiri a campare sino a settembre?
Secondo me, non poche. Ma vedremo.

Tornando sulla riforma, non so voi ma io, in queste settimane, ho seguito con grande interesse le opinioni dei costituzionalisti e, in particolare, quelle di uno dei capofila del fronte del NO, il professor Gustavo Zagrebelsky.
Sono rimasto, francamente, atterrito dalla sua visione antiquata e consociativa della politica, secondo cui "alle elezioni non dev'esserci uno che vince". Tipo: si vota, in Parlamento ci arriva chi ci arriva, e poi ci si mette d'accordo. E' il trionfo della partitocrazia, dei patti ed accordi più o meno segreti, della Prima Repubblica, dei "pentapartiti" e "quadripartiti" (per chi, beato lui, non ha l'età, era questo il modo con cui allora si definivano le mutevoli coalizioni partitiche che sorreggevano un governo), dei "governi balneari" (governi che servivano per traghettare il Paese oltre l'estate, in cui c'era un'attività politica ridotta. Giuro!).

Però a Zagrebelsky una cosa devo riconoscerla, e lui questa cosa l'ha ribadita più volte. Si può sintetizzare con: se manca il popolo, manca la classe politica. E se manca la classe politica, non c'è assetto istituzionale che tenga.

Ecco. Io temo ormai da anni che il nostro problema, in realtà, sia proprio questo: manca il popolo.
Buona fortuna.

(Rio)