Salve.
L'11 Settembre 2001 è, come si suol dire, una di quelle date in cui tutti ricordano cosa stessero facendo, al momento dei fatti.
Io ho vissuto quegli eventi in una fase particolare della mia vita, e vorrei riportare qui due mie esperienze.
Il primo è un ricordo che condivido con molti altri amici e colleghi di corso di allora.
Martedì undici Settembre 2001, il giorno dell'attentato, eravamo al nostro secondo giorno all'ISPI di Milano, per il modulo di "Istituzioni internazionali" del Master in Management Pubblico che stavamo frequentando da nove mesi.
La mattinata era andata bene, ma nel corso della lezione pomeridiana, alcuni colleghi del docente continuavano ad entrare in aula ed a sussurrargli qualcosa.
Lui, in modo professionale, continuò la lezione sino a che poté e dopo disse, con aria visibilmente preoccupata: "E adesso andiamo a vedere cosa diavolo sta succedendo a New York."
Nel primo pomeriggio, lasciammo la sede dell'ISPI e alcuni di noi – tra cui anch'io – si fermarono davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici, a guardare nei televisori accesi, come imbambolati, le scene ripetute mille volte di quei due aerei che si schiantavano contro le Twin Towers. Prima l'uno, poi l'altro. Prima l'uno, poi l'altro.
Con noi, molti passanti e turisti.
Avevo 31 anni, allora, ed una visione molto diversa del mondo. Sino a quel momento, per me, il pericolo per noi veniva dai rigurgiti delle ideologie totalitarie del Novecento, non certo dall'Islam politico!
La vetrina con i televisori era in Galleria Vittorio Emanuele. Quel giorno entrai in galleria con un'idea del mondo e ne uscii con un'altra. Ma soprattutto capii che questa data, l'11 Settembre, per me non sarebbe mai più stata una data come tutte le altre. Mai più.
Il secondo è un ricordo più personale.
Era l'11 Settembre 2002, il primo anniversario della strage, e io mi trovavo in Algeria per lavoro.
Quel pomeriggio uscii prima dalla sede di Dely Ibrahim, un piccolo centro a 15 km da Algeri. Era mercoledì, il weekend era alle porte (il weekend in Algeria è giovedì e venerdì; quindi il mercoledì pomeriggio è un po' come il nostro venerdì pomeriggio) ed era una bella giornata, nemmeno troppo calda.
Per cui, tornato ad Algeri, decisi di scendere da Les Tagarins, il rione in cui era situato l'hotel, sino a Bab el-Oued, quartiere molto più vitale e popolare, a sentire "che si dice in piazza".
Immediatamente, mi ritrovai nei pressi di una folla festante: c'era una sfilata di piccoli motocarri agricoli addobbati a festa, con sopra musicisti che suonavano strumenti tradizionali; dietro di loro, tutte le auto suonavano il clacson, come di solito accade ai matrimoni, nel mondo arabo.
Ed io, infatti, da terrone che non sono altro, proprio a quello pensai: dev'essersi sposato il figlio di qualche boss della mala locale, un personaggio famoso o una cosa così.
Solo, perché tutta quella gente che festeggiava sui marciapiedi? E i venditori di dolcetti per strada? Ce n'erano sempre a Bab el-Oued, ma non mi sembrava di ricordarne così tanti.
Cosa stava succedendo, davvero?
Be', succedeva che – per la prima volta, a quanto pare – il Mondo Islamico stava festeggiando l'anniversario di una "vittoria" sull'Occidente Giudaico-Cristiano, o che cazzo è che saremmo noi per loro.
Per la prima volta, qualcuno, lo Sceicco Osama Bin Laden, ormai elevato al rango di leggenda vivente, era riuscito a farci piangere i nostri, di morti, dopo che molte altre volte "noi" gli avevamo fatto piangere i "loro".
Credo sia inutile descrivere il mio sgomento a quella notizia: ad Algeri si festeggiava per strada la ricorrenza di una carneficina, di un massacro di innocenti.
Per qualche giorno, semplicemente, mi rifiutai di accettarla per vera.
Ma era vera.
Da quel giorno, io smisi di guardare alle masse – tutte; arabe e non arabe, sia chiaro! – con l'atteggiamento ottimista di chi pensa che le istanze del popolo, alla fine, se non giuste, siano almeno sempre ragionevoli. Sino a quel momento, questa era stata la mia versione personale del detto "Vox populi, vox Dei".
Da allora, per me le masse sono solo un gigantesco maglio, una forza d'urto immensa, tanto potente quanto emotiva, irrazionale; uno strumento di distruzione, e mai – dico MAI – di creazione, che chiunque abbia gli strumenti dialettici giusti può controllare e manipolare, asservendolo al raggiungimento dei propri fini personali e privati.
Questa esperienza venne rafforzata dalle reazioni in Occidente: da un lato, la rabbia e sete di vendetta di alcuni e dall'altro la soddisfazione puerile dei totalitaristi, fascisti e comunisti, gli eterni perdenti della Grande Guerra Ideologica del Novecento, che si "consolavano" con le vittorie di un regime teocratico islamico del tutto antitetico ad entrambi i loro modelli culturali ma che – in mancanza di meglio – venivano percepite e festeggiate come vittorie proprie.
Nella vita, a volte, si cresce in modo lento, graduale. Altre volte, invece, si ha la sfortuna di vivere delle esperienze che ci costringono a cambiare il nostro modo di vedere le cose di colpo.
Ecco: per me, l'11 Settembre è stata una di queste esperienze.
L'11 Settembre 2001 è, come si suol dire, una di quelle date in cui tutti ricordano cosa stessero facendo, al momento dei fatti.
Io ho vissuto quegli eventi in una fase particolare della mia vita, e vorrei riportare qui due mie esperienze.
Il primo è un ricordo che condivido con molti altri amici e colleghi di corso di allora.
Martedì undici Settembre 2001, il giorno dell'attentato, eravamo al nostro secondo giorno all'ISPI di Milano, per il modulo di "Istituzioni internazionali" del Master in Management Pubblico che stavamo frequentando da nove mesi.
La mattinata era andata bene, ma nel corso della lezione pomeridiana, alcuni colleghi del docente continuavano ad entrare in aula ed a sussurrargli qualcosa.
Lui, in modo professionale, continuò la lezione sino a che poté e dopo disse, con aria visibilmente preoccupata: "E adesso andiamo a vedere cosa diavolo sta succedendo a New York."
Nel primo pomeriggio, lasciammo la sede dell'ISPI e alcuni di noi – tra cui anch'io – si fermarono davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici, a guardare nei televisori accesi, come imbambolati, le scene ripetute mille volte di quei due aerei che si schiantavano contro le Twin Towers. Prima l'uno, poi l'altro. Prima l'uno, poi l'altro.
Con noi, molti passanti e turisti.
Avevo 31 anni, allora, ed una visione molto diversa del mondo. Sino a quel momento, per me, il pericolo per noi veniva dai rigurgiti delle ideologie totalitarie del Novecento, non certo dall'Islam politico!
La vetrina con i televisori era in Galleria Vittorio Emanuele. Quel giorno entrai in galleria con un'idea del mondo e ne uscii con un'altra. Ma soprattutto capii che questa data, l'11 Settembre, per me non sarebbe mai più stata una data come tutte le altre. Mai più.
Il secondo è un ricordo più personale.
Era l'11 Settembre 2002, il primo anniversario della strage, e io mi trovavo in Algeria per lavoro.
Quel pomeriggio uscii prima dalla sede di Dely Ibrahim, un piccolo centro a 15 km da Algeri. Era mercoledì, il weekend era alle porte (il weekend in Algeria è giovedì e venerdì; quindi il mercoledì pomeriggio è un po' come il nostro venerdì pomeriggio) ed era una bella giornata, nemmeno troppo calda.
Per cui, tornato ad Algeri, decisi di scendere da Les Tagarins, il rione in cui era situato l'hotel, sino a Bab el-Oued, quartiere molto più vitale e popolare, a sentire "che si dice in piazza".
Immediatamente, mi ritrovai nei pressi di una folla festante: c'era una sfilata di piccoli motocarri agricoli addobbati a festa, con sopra musicisti che suonavano strumenti tradizionali; dietro di loro, tutte le auto suonavano il clacson, come di solito accade ai matrimoni, nel mondo arabo.
Ed io, infatti, da terrone che non sono altro, proprio a quello pensai: dev'essersi sposato il figlio di qualche boss della mala locale, un personaggio famoso o una cosa così.
Solo, perché tutta quella gente che festeggiava sui marciapiedi? E i venditori di dolcetti per strada? Ce n'erano sempre a Bab el-Oued, ma non mi sembrava di ricordarne così tanti.
Cosa stava succedendo, davvero?
Be', succedeva che – per la prima volta, a quanto pare – il Mondo Islamico stava festeggiando l'anniversario di una "vittoria" sull'Occidente Giudaico-Cristiano, o che cazzo è che saremmo noi per loro.
Per la prima volta, qualcuno, lo Sceicco Osama Bin Laden, ormai elevato al rango di leggenda vivente, era riuscito a farci piangere i nostri, di morti, dopo che molte altre volte "noi" gli avevamo fatto piangere i "loro".
Credo sia inutile descrivere il mio sgomento a quella notizia: ad Algeri si festeggiava per strada la ricorrenza di una carneficina, di un massacro di innocenti.
Per qualche giorno, semplicemente, mi rifiutai di accettarla per vera.
Ma era vera.
Da quel giorno, io smisi di guardare alle masse – tutte; arabe e non arabe, sia chiaro! – con l'atteggiamento ottimista di chi pensa che le istanze del popolo, alla fine, se non giuste, siano almeno sempre ragionevoli. Sino a quel momento, questa era stata la mia versione personale del detto "Vox populi, vox Dei".
Da allora, per me le masse sono solo un gigantesco maglio, una forza d'urto immensa, tanto potente quanto emotiva, irrazionale; uno strumento di distruzione, e mai – dico MAI – di creazione, che chiunque abbia gli strumenti dialettici giusti può controllare e manipolare, asservendolo al raggiungimento dei propri fini personali e privati.
Questa esperienza venne rafforzata dalle reazioni in Occidente: da un lato, la rabbia e sete di vendetta di alcuni e dall'altro la soddisfazione puerile dei totalitaristi, fascisti e comunisti, gli eterni perdenti della Grande Guerra Ideologica del Novecento, che si "consolavano" con le vittorie di un regime teocratico islamico del tutto antitetico ad entrambi i loro modelli culturali ma che – in mancanza di meglio – venivano percepite e festeggiate come vittorie proprie.
Nella vita, a volte, si cresce in modo lento, graduale. Altre volte, invece, si ha la sfortuna di vivere delle esperienze che ci costringono a cambiare il nostro modo di vedere le cose di colpo.
Ecco: per me, l'11 Settembre è stata una di queste esperienze.
Saluti,
(Rio)