Salve.
E' comparsa di recente sul blog di Beppe Grillo un'intervista al giornalista e scrittore pugliese Pino Aprile sul suo nuovo libro, appena uscito per PIEMME, dal titolo "Terroni". Nel libro - che io non ho ancora potuto leggere, per cui mi limito a citare i contenuti dell'intervista - si sostiene che, sin dal 1861, il governo piemontese abbia usato «le armi, la politica, l’economia, per creare un dislivello tra due parti del Paese che non esisteva al momento dell’Unità».
L'intervista è disponibile anche su YouTube qui.
Si tratta di tesi già note e ben argomentate da molti studiosi: la Cassa del Regno delle Due Sicilie depredata per coprire il cospicuo indebitamento dei Savoia (il Regno Borbonico era, all'epoca, tra gli stati più solvibili d'Europa), lo spostamento dei macchinari del settore metallurgico e tessile dal Sud al Nord, il "pentimento" di molti intellettuali meridionali fautori dell'unificazione, quando si resero conto che si trattava, invece, di un'invasione coloniale, gli omicidi politici, le alleanze dei Savoia con la criminalità meridionale, e via dicendo.
Tutto questo, sia chiaro, è assolutamente vero; come è vero che gli storici dell'Unità d'Italia hanno scientemente rimosso tali accadimenti dai libri di testo scolastici - relegandoli nei lavori universitari di alcuni studiosi - praticamente sino ad oggi.
Tuttavia, è mia opinione che un libro del genere, per quanto utile a chiarire dei punti fermi, rischi di tradursi in un effetto boomerang per il Sud ben peggiore dei benefici che produce.
A mio parere, l'ultima cosa di cui il Mezzogiorno d'Italia ha bisogno - e lo dico da meridionale, anzi, da terrone d.o.c. - è di cercare giustificazioni storiche, ove non veri e propri pretesti, per la propria condizione di arretratezza rispetto a buona parte del resto dell'Europa Occidentale.
Se dovessimo dirla alla luce della lezione del "Vantaggio Competitivo delle Nazioni" di Michael Porter, i fattori che determinano il progresso economico di un territorio vanno ben oltre la disponibilità di ricchezze.
Come spiegare, altrimenti, la realtà di molti Paesi che possiedono grandi risorse naturali ed ambientali, delle quali detengono ormai da anni il pieno controllo, ma che ancora stentano a decollare sul piano economico (si pensi, ad esempio, al Brasile o all'Argentina)?
E, per contro, come spiegare il progresso di Paesi del tutto privi di qualsiasi risorsa naturale, ma capaci di produrre ricchezza più che sufficiente ad alimentare il benessere delle loro società, come il Giappone, la Corea o i Paesi scandinavi?
Ancora, come spiegare il fenomeno del rapido sviluppo economico in corso in Slovenia, in Polonia, in Ungheria e nelle repubbliche baltiche, mentre l'Italia Meridionale, la Grecia, la Croazia, la Romania e l'Albania restano ferme (qualcuno, non sempre a torto, sostiene che stiano persino tornando indietro)?
Con buona pace degli storici meridionalisti, il problema dell'arretratezza del Sud d'Italia va ben oltre quel che hanno fatto i Savoia dopo l'unificazione.
Per onestà intellettuale, poi, non dobbiamo dimenticare che, accanto alle nefandezze descritte e documentate nel libro di Aprile, il governo dell'Italia unita in 150 anni ci ha anche regalato la Cassa Straordinaria per il Mezzogiorno, i fondi dei terremoti, la L.44/1986 (la cosiddetta Legge "De Vito"), la L.488/1992 ed i fondi gestiti (male) da Sviluppo Italia: un fiume i soldi, un vero torrente in piena, a cui si aggiungono i fondi gestiti dai Programmi Operativi nazionali e regionali (i vari PON e POR) ed i fondi dei diversi Ministeri. Ed ancora, i trasferimenti di parte corrente, che vanno principalmente al Sud per finanziare la pubblica amministrazione e la spesa sanitaria... E scusate se mi fermo, ma non voglio tediare nessuno con un elenco troppo lungo.
Se il progresso economico e sociale si misurasse in base ai trasferimenti di denaro, l'Italia - tutta l'Italia - sarebbe la punta di diamante d'Europa, e non quella nazione in declino ed a rischio bancarotta che gli europei annoverano come una delle due "I" della sigla PIIGS, (i maiali, ovvero i Paesi "più inaffidabili" d'Europa: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna).
Pertanto, lasciamo i Savoia nei libri di storia: le ragioni sono ben altre; e si annidano nella capacità che un territorio dimostra di saper valorizzare quel che di buono possiede e di mitigare gli svantaggi dai quali è caratterizzato.
Michael Porter parla di "cultura organizzativa", di "capacità di definire una strategia complessiva".
Noi ci limiteremo a parlare di mentalità.
E' questo il solo, vero ed unico fattore territoriale chiave per un vantaggio competitivo di lungo termine.
Ed è esattamente questo che a noi manca.
Laddove in un territorio esiste una cultura diffusa del rispetto di regole comuni, laddove c'è la voglia di migliorare e di utilizzare a proprio vantaggio quel che il territorio offre, lì - prima o poi - il progresso ed il benessere arrivano.
Prendiamo, ad esempio, il settore turistico: la mia regione, la Puglia, possiede quasi 900 Km di costa, ovvero il 12% dei Km di costa italiani. Vogliamo parlare di come li utilizza o preferiamo continuare ancora a lamentarci del fatto che 150 anni fa i piemontesi hanno depredato le casse del Regno Borbonico?
Mentre i meridionalisti si battono il petto piangendo ancora la scomparsa del settore metallurgico ottocentesco del napoletano, io preferisco domandarmi come mai l'industria del turismo estivo sia sorta in Romagna, dove il mare è notoriamente "così così", e non invece da noi in Puglia o in Calabria.
E venitemi a dire che non avevamo le risorse, adesso!
Più che interrogarmi sulla scomparsa della fiorente flotta navale commerciale del Regno delle Due Sicilie, io preferisco chiedermi come cavolo è che l'imprenditoria si sia sviluppata nel Triveneto, fino ai primi Anni '70 una regione agricola ed arretrata, ma in cui hanno sfruttato - giustamente! - la contiguità con i ricchi mercati del Centro Europa e non, invece, in aree del Sud che, come ben esposto da Pino Aprile, depredati o no, una certa vocazione industriale avanzata ce l'avevano già!
E gli esempi potrebbero continuare a lungo, dimostrando ampiamente che solo la capacità e la voglia di pensare in un certo modo può produrre progresso durevole.
La mentalità, il "fattore intangibile" dello sviluppo economico, può risultare negli straordinari paradossi di Paesi leader mondiali nella lavorazione di materie prime che non possiedono, nel ribaltamento quasi paradossale di situazioni di svantaggio iniziale, con Paesi che guidano il mercato dell'alta tecnologia, quando solo vent'anni prima erano fondamentalmente agricoli, o Paesi primi al mondo nella produzione di derrate da agricoltura intensiva, sviluppatasi proprio perché... non avevano la terra!
A queste cose dovremmo pensare tutti, invece che seguitare a giocare al sentirci "vittime di un complotto dei piemontesi".
Altro che «l'incremento delle misure a valere sull'Asse III del POR»!
Ciò che i politici, gli intellettuali, i maîtres à penser meridionali e le rappresentanze sociali dovrebbero contribuire a sviluppare nel Sud d'Italia più di ogni altra cosa è la mentalità.
Naturalmente, se il vero obiettivo fosse lo sviluppo del Sud.
Ma questa è tutta un'altra storia.
Saluti,
(Rio)
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domenica 25 aprile 2010
Nota "leghista" di un meridionale sul Sud. :)"
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