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giovedì 7 gennaio 2010

Ateofobia o rispetto? (di Raffaele Carcano)



Ospito nel mio blog una (mia) sintesi della lettera aperta a Papa Ratzinger di Raffaele Carcano, segretario dell'UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti).
La lettera intera e' piuttosto lunga: chi e' interessato puo' trovarla sul sito di Micromega, dove e' stata pubblicata, qui:

Ateofobia o rispetto?

Gentile sig. Ratzinger,
chi le scrive, segretario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, ha ascoltato con interesse le parole da lei pronunciate in occasione del messaggio alla Curia del 21 dicembre scorso. Sono lieto dell’attenzione da lei mostrata nei confronti delle persone «che si ritengono agnostiche o atee»: persone che, la cito testualmente, «devono stare a cuore a noi come credenti». E ci ha fatto sinceramente piacere l’invito al rispetto nei loro confronti formulato dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in occasione dell’ultimo Natale, anche e soprattutto perché accompagnato dall’ammissione che «non sempre le nostre parole lasciano intendere questo rispetto».

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Ateofobia o rispetto: qual è la vostra posizione nei confronti di chi non crede?
Lo ammetto, sono un po’ in difficoltà a capire in che modo le stiamo a cuore: negli ultimi anni lei ha sostenuto, in varie riprese, che senza Dio l’uomo «perde la sua grandezza», «perde la dignità», «è lontano da sé, alienato da se stesso». Il suo destino «non può che essere la desolazione dell’angoscia che conduce alla disperazione»: il non credente, rimasto «senza orientamento», può pertanto «finire solo in strade sbagliate e con ricette distruttive». A suo dire «l’uomo, sia nella sua interiorità che nella sua esteriorità, non può essere pienamente compreso se non lo si riconosce aperto alla trascendenza».

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Non sono posizioni estemporanee, le sue: si ritrovano anche nella sua seconda enciclica, la Spe salvi, dove ha scritto che «un mondo senza Dio è un mondo senza speranza». Mi permetta di dissentire: che «le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia» siano scaturite dall’assenza di Dio è tutto da dimostrare: cosa che lei, nel resto di quel testo, si è comunque guardato bene dal fare. Sono passati già più di tre secoli da quando il protestante Pierre Bayle, nei Pensieri della cometa, sostenne che «l’ateismo non conduce necessariamente alla corruzione dei costumi»: possibile che i cattolici siano rimasti così indietro?

E invece, anche nella sua terza enciclica, la Caritas in veritate, lei ha scritto che «la chiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano». Eppure, a smentirla è una fonte autorevole come l’Indice di Sviluppo Umano redatto dalle Nazioni Unite: i paesi con il maggior numero di atei si collocano ai primi posti, mentre quelli che si trovano in coda alla classifica hanno tutti una popolazione incredula di dimensioni risibili, se non nulla.

Sembra quasi che, per lei, l’ateismo sia una sorta di "bad company" a cui attribuire ogni male: tutto ciò che è sbagliato nel mondo è ateo. Persino ciò che, secondo l’opinione pubblica, rappresenta il Male Assoluto, e cioè il nazismo, è stato secondo lei una dittatura atea. In visita in Israele, ha dichiarato che ad Auschwitz «così tanti ebrei, madri, padri, mariti, mogli, fratelli, sorelle, amici, furono brutalmente uccisi sotto un regime senza Dio». In un’altra occasione ha sostenuto l’antitesi «tra l’umanesimo ateo e l’umanesimo cristiano», «che attraversa tutta quanta la storia», e che avrebbe, sempre secondo lei, trovato il suo massimo compimento nei lager nazisti, che «possono essere considerati simboli estremi del male, dell’inferno che si apre sulla terra quando l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte».

Lei, sig. Ratzinger, il nazismo l’ha conosciuto personalmente; lei sa benissimo che la Chiesa cattolica sottoscrisse con esso, soltanto sei mesi dopo l’ascesa al potere di Hitler, un Concordato autorevolmente siglato dal futuro papa Pio XII; lei sa che il partito cattolico tedesco, il Zentrum, votò la concessione dei pieni poteri ad Adolf Hitler, così come sa che il Vaticano ne avallò il successivo dissolvimento, favorendo la confluenza di molti suoi autorevoli esponenti nel partito nazista (a cominciare da Franz von Papen, vice-cancelliere dello stesso führer); lei sa che tanti regimi filo-nazisti furono attivamente sostenuti dalla Chiesa cattolica, e che uno di essi, quello slovacco, era guidato addirittura da un monsignore. Lei, sig. Ratzinger, in quanto ex-soldato della Wehrmacht ha indossato una cintura che riportava, sulla fibbia metallica, il motto «Gott mitt uns», «Dio è con noi».

[...]

Spero dunque che comprenda, sig. Ratzinger, il motivo per cui le sue parole di apertura ci lasciano un pochino diffidenti: da bravi empiristi, in via preferenziale preferiamo attenerci ai fatti. Ma non siamo certo refrattari a un dialogo, anche nel «cortile dei gentili» da lei recentemente evocato. Purché sia un dialogo, e non un momento di evangelizzazione, come sembra aver capito Vittorio Possenti, commentando le sue parole su Avvenire: secondo Possenti, «come Paolo ad Atene, bisogna nuovamente annunciare il Dio ignoto nel grande areopago planetario». Certo, sappiamo che la Congregazione per la dottrina della fede, solo due anni fa, ha ribadito che Cristo vuole che «tutti diventino un solo gregge e un solo pastore» (lei, suppongo): ma già padre Lombardi aveva saggiamente messo in guardia dal far sentire i non credenti «un oggetto di missione». Occorre inoltre che il dialogo sia veramente tale: una conversazione tra più parti, e non un monologo. Un dialogo tra pari. Del resto, i non credenti sono, nel mondo, stimati in circa un miliardo: più o meno quanto i cattolici.

Ci creda: ci farebbe piacere scambiare qualche chiacchiera con lei. Sappiamo che è possibile. Paolo VI fu capace, nel 1965, di creare un Segretariato per i non credenti (in seguito, chissà perché, smontato da Giovanni Paolo II) che nel corso di due decenni organizzò diversi incontri di altissimo profilo, con la partecipazione di studiosi di valore mondiale. Lei stesso, visitando la Repubblica Ceca, la nazione più secolarizzata d’Europa, aveva già sostenuto la necessità di un «dialogo intellettuale» con gli agnostici. Si può fare. Sarebbe bello trovarsi in un cortile laico, un luogo dove credenti e non credenti possono confrontarsi pacatamente nel pieno rispetto reciproco. Scoprirà persone che, lungi dal trascorrere un’esistenza angosciata e disperata, sono soddisfatte della propria vita. Quelle persone vorrebbero impegnarsi nella costruzione di una società migliore: ben consce che va costruita insieme a chi non la pensa come loro.

Raffaele Carcano
Segretario UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti)

(7 gennaio 2010)