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domenica 4 novembre 2012

Ma daaai, Renzi non è di Destra!

Salve.

E' da un po' che non scrivevo, ma in pochi mesi ho cambiato casa, mi è nato il primo figlio ed ho pure cambiato lavoro due volte. A parte quello, ero libero come un'aquila, per cui non ho scuse.

Comunque, in vista delle primarie del PD, si sente ripetere sempre più spesso il ritornello "non votate Renzi, perché è di Destra".

A chi, come me, di Destra è davvero, l'affermazione fa uno strano effetto.
Del resto, l'Italia è un Paese anomalo anche per questo: perché, più che in ogni altro Paese occidentale, in Italia resiste ancora un'eredità culturale figlia della Sinistra antagonista -- radicale, massimalista o, se volete, chiamatela pure comunista -- per cui "è di Destra" tutto ciò che, ad esempio, non si richiama esplicitamente all'idea di un mercato del lavoro orientato in modo che nulla possa anteporsi alla tutela degli interessi del lavoratore, men che meno il ruolo e il servizio che il lavoratore è chiamato a svolgere.
Ciò anche nel caso in cui tale ruolo o servizio risulti strategico per lo sviluppo del Paese.
Tale eredità esiste anche in altri Paesi occidentali, sia chiaro; ma solo in Italia è presente in modo così diffuso e trasversale alle diverse generazioni.

In base a tale eredità culturale, qualunque conquista sociale conseguita dai lavoratori in passato non è più rinegoziabile oggi. "Indietro non si torna", ripete la CGIL come un mantra.
  • Anche se da anni tutti gli altri Paesi europei indietro ci sono tornati eccome (e stanno tutti meglio di noi, oggi);
  • anche se questo non tornare indietro significa -- di fatto -- bloccare l'accesso al lavoro per le nuove generazioni; 
  • anche se questo non tornare indietro determina il più grande squilibrio generazionale mai registrato nel mercato del lavoro di un Paese occidentale; 
  • anche se questo non tornare indietro comporta una caduta verticale di competitività per l'intero sistema Paese; 
  • anche se questo non tornare indietro significa rallentare di molto la capacità delle imprese di adattarsi alle nuove, sempre mutevoli condizioni dei mercati (specie in tempi di crisi); 
  • anche se questo non tornare indietro allunga i tempi della ripresa economica; 
  • anche se questo non tornare indietro spinge i migliori cervelli ad emigrare (e non solo i migliori, oramai); 
  • anche se questo non tornare indietro dirotta altrove gli investimenti esteri ed i capitali finanziari (e con essi anche le imprese) .

Indietro non si torna, non si ridiscute niente.
Un dogma inalienabile, la violazione del quale è sanzionata con il marchio a fuoco di Caino, il marchio che dice: "Uomo di Destra".
Un atteggiamento intransigente e conservatore. Curioso, per una forza che si definisce "riformista".

Ma non è questo l'oggetto del post. Chi ha letto qualche volta questo blog sa bene che io sono liberista. Quindi io sono di Destra (liberale, sia chiaro!). Quindi io so -- o almeno si spera che io sappia -- che cosa vuol dire oggi essere di Destra.
E allora lasciate che vi dica: se Matteo Renzi è di Destra, io sono il leader nord-coreano Kim Jong-Un.

Proviamo a spiegare perché ma, per essere il più possibile chiari, usiamo il metodo della contrapposizione, rispondendo ad alcune obiezioni comuni su Matteo Renzi.

Obiezione n.1 (la regina delle obiezioni, direi): Matteo Renzi è per la riforma dell'Art.18 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero per la licenziabilità degli assunti a tempo indeterminato, anche per le aziende con più di 15 dipendenti! Non sono forse le stesse cose che dice la Destra liberista?
Risposta: non direi. Renzi è per l'adozione del "modello Ichino" (che prende il nome dal suo estensore, il sen. PD Pietro Ichino), che parla di un contratto di lavoro unico a stabilizzazione progressiva, con contemporanee tutele di legge per chi dovesse perdere il posto. E' il modello della cosiddetta flexsecurity, proposto -- con alcune differenze -- anche da altri, ad esempio il prof. Giavazzi.
Ma tale modello si adotterebbe soltanto per i nuovi contratti di lavoro, non per quelli già in essere. Ciò significa che, allo scadere dei contratti atipici dei lavoratori precari, le aziende e la Pubblica Amministrazione (!) non potrebbero più rinnovarli così come sono, ma dovrebbero necessariamente stipulare con il lavoratore un nuovo tipo di contratto, ovvero quello a stabilizzazione progressiva.
Ciò rappresenterebbe sicuramente un passo avanti verso un mercato del lavoro meno sbilanciato tra le generazioni, un punto programmatico degno di una Sinistra ormai libera da dogmi ma -- se lo chiedete ad un liberista -- questo passo è nient'affatto sufficiente per risolvere i problemi del lavoro in Italia.
Perché il nodo, per un liberista, sta nello sbloccare il mercato del lavoro dai vincoli che ne impediscono il corretto e fluido operare e questi vincoli sono almeno due: uno di carattere contrattuale, affrontato anche da Renzi, e l'altro di oggettiva carenza di posti di lavoro determinata dai contratti già in essere.

In sostanza, se si procede come dice Renzi, si sblocca soltanto una piccola parte del mercato, mentre l'altra, quella meno produttiva, quella più costosa, rigida e sindacalizzata, rimane -- come sempre -- un totem intoccabile, almeno sino al  pensionamento dei lavoratori con vecchio contratto.
Un liberista, allora, pretenderà che vengano rivisti anche i contratti in essere, o almeno una parte significativa di essi.
Ma in Renzi (che, al di là della retorica delle primarie, uomo di Sinistra lo è eccome) in questo caso la tutela dell'esistente prevale ancora sulla necessità di trasformare profondamente il Paese.

Obiezione n.2: Gli interventi che Matteo Renzi propone per le università italiane introdurrebbero criteri di finanziamento delle attività didattiche commisurati ai risultati di eccellenza ottenuti e questo determinerebbe un elemento di squilibrio classista in un'università che dovrebbe essere e restare "di tutti e per tutti", ovverosia pubblica. Non è questo parlare da uomo di Destra? 
Risposta: be', dipende. Se "l'università di Sinistra" deve utilizzare il denaro pubblico senza rendere conto a nessuno di come lo spende e, soprattutto, del beneficio reale conseguito da chi la frequenta, allora sì.
Ma non era così nemmeno in Unione Sovietica, dove esisteva un controllo inflessibile (e non solo politico) sulla qualità della didattica, sia scolastica che universitaria: non erano mica scemi, i comunisti sovietici. Loro alla formazione credevano eccome.

Qui forse è il caso di aprire una piccola parentesi: fatte salve alcune lodevoli eccezioni, l'università pubblica "media" italiana è un luogo che serve più a chi ci lavora che a chi la frequenta.
In quella che ho frequentato io, ad esempio, ricordo dipartimenti in cui cinque professori avevano lo stesso cognome, perché erano imparentati (padre, zio e tre "rampolli", cioè due figli di uno ed un cugino).
Ricordo corsi in cui il professore -- quando anche conosceva la materia (il che non era da considerare affatto scontato) -- si guardava bene dall'insegnartela, per paura di ritrovarti, nel giro di qualche anno, sul mercato della consulenza come concorrente a basso costo. Per cui, si limitava ad insegnarti tutto ciò che non potesse servirti domani per lavorare e, nel frattempo, andava in giro per aziende ed Enti Locali con il suo bel bigliettino da visita con su scritto "Prof. Pinco Pallo, docente di Questo e di Quell'Altro all'Università di Inutilandia".
Dove sarebbe, in tutto questo, l'interesse per la collettività? Dov'è finita l'università "di tutti e per tutti"? In realtà, il valore aggiunto va ad alcuni (i professori ed i loro rampolli), mentre la spazzatura culturale resta "di tutti e per tutti".

Ma veniamo al confronto con la Destra. Renzi e la Destra dicono davvero le stesse cose, sull'università? Di nuovo, no. Renzi vuole tornare subito a spendere per l'università, per rilanciarla, mentre la Destra (rubo la frase a quelli di Fermare il Declino, che di Destra liberista se ne intendono) dice: "Prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona, occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più efficacemente le risorse già disponibili." In sostanza, per la Destra riformare l'università è la priorità. Dopo, quando ci saranno le condizioni per tornare ad investire, allora si tornerà ad assegnare fondi.
Ancora una volta, la Destra si rivela "austera", quasi "stoica", mentre la Sinistra sceglie un approccio che salvaguardi un po' di più l'esistente (cosa poi "salvaguardi" il versare acqua in un colapasta, Renzi ce lo deve ancora spiegare; ma qui ammetto che è il crudele liberista in me che parla).

Obiezione n.3: La giustizia. Renzi è per la semplificazione dei processi e la riduzione dei riti, con relativa abbreviazione dei tempi procedurali e di dibattimento. Non sono forse le stesse cose che chiedeva anche Silvio Berlusconi? Lui ed il suo "processo breve"?
Risposta: ma nient'affatto! E nemmeno le cose che chiede oggi la Destra liberista sono le stesse che chiedeva Berlusconi, per la semplice ragione che -- udite udite! -- Silvio Berlusconi non è un liberista. Potrà aver chiamato il suo partito Popolo delle Libertà, ma le sole libertà che aveva in mente il Cavaliere erano le sue: voleva dei monopoli controllati dal governo (cioè da lui) o da Mediaset (cioè da lui), altro che il libero mercato!

Tornando a Renzi ed alla Destra liberista (quella vera), la Destra non punta solo ad un cambiamento delle regole procedimentali, ma anche alla rimozione dei nodi critici che impediscono un regolare e fluido svolgimento dei processi.
Per questo la Destra insiste sulla separazione delle carriere tra accusa e magistratura giudicante e -- orrore! -- si oppone fermamente agli avanzamenti di carriera per sola anzianità, introducendo criteri obbligatori di avanzamento legato alle prestazioni.
Questo anche per affrontare alla radice il problema critico delle consulenze giuridiche, che consentono ai magistrati di rinviare le udienze sulla base dei loro impegni "extra giudiziali", rallentando così l'iter dei processi civili e creando, alle volte, situazioni di conflitto a dir poco "singolari".

Se questa riforma vi sembra in qualche modo simile a quella proposta dal governo Berlusconi già diversi anni prima, ricredetevi, perché punta invece a separare in maniera netta dal potere politico le nomine in magistratura, favorendone l'indipendenza. Non è esattamente quel che aveva in mente Berlusconi e non ci vuole molto a capire perché.
Oh e poi, a scanso di equivoci, nel programma di Destra c'è anche l'adozione di una legislazione organica sui conflitti d'interesse. Questa sì che è in comune con il programma di Renzi, invece.
A testimoniare che prendere sul serio la politica non è né di Destra né di Sinistra.


Saluti e alla prossima.

(Rio)

PS. Forse è venuto il momento di introdurre un concetto nuovo nell'asfittico panorama culturale della Sinistra italiana: il concetto di PARTITO LABURISTA.