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sabato 2 luglio 2011

Il futuro dell'industria discografica (ammesso che ne abbia uno)


L'evoluzione del mercato dei supporti musicali negli ultimi 40 anni.
Fonte: Elaborazioni Digital Music News su dati RIIA
Salve.
Era da tanto che volevo scrivere un post dedicato alla mia passione più antica, la musica, perché ci sono alcune cose che mi premeva di discutere sul (cupo) futuro dell'industria discografica.

Ora sarebbe facile obiettare: "Un momento! E' l'industria discografica così come la conosciamo noi che sta morendo, non la musica. Quella c'è e ci sarà per sempre!"
E in un certo senso è così, ma non è questo il punto. In gioco c'è molto, ma molto di più di un semplice cambio di modello di business nel mercato discografico.
Ma andiamo con ordine.

Ho letto da poco l'ultimo libro di Moses Avalon, dal titolo "Cento risposte a cinquanta domande sul music business". Per inciso, Moses Avalon, ex ingegnere del suono e produttore americano, è probabilmente il più celebre consulente di artisti della musica ed autore di libri sull'industria discografica.
Uno dei suoi libri, dal titolo "Confessioni di un produttore discografico", ha svelato molti retroscena e meccanismi contrattuali e finanziari con i quali le case discografiche normalmente ricavano profitti dagli artisti, spesso ben al di là di quelli che sono i limiti della correttezza.
I metodi descritti da Avalon non erano eccezioni, bensì prassi e modus operandi consolidati in decenni di lauti affari, a cui nessun artista - anche i più blasonati degli Anni '50, '60 e '70 - è mai sfuggito.
L'aver per primo sollevato il velo su questi "segreti" ha causato qualche problema legale a lui ed ai suoi confidenti (vi dico solo che Moses Avalon non è il suo vero nome e che solo di recente ha mostrato la propria faccia in pubblico), ma gli ha anche attirato le simpatie di molti artisti, tra cui alcune star, e di molti altri lavoratori del settore, felici che ci fosse finalmente qualcuno pronto ad assumersi la responsabilità di parlare chiaramente.

Ora, l'ultima delle cinquanta domande a cui Avalon risponde nel suo libro è: l'industria discografica sopravviverà altri vent'anni?
A parere di chi scrive questo blog, la risposta fornita da Moses Avalon è coerente ed articolata, oltre che scevra da molte delle solite banalità che si leggono sull'argomento.
Pertanto vale davvero la pena di riferirla.

Innanzitutto, bisogna capirsi su ciò che si sta davvero chiedendo: se la domanda è se il music business sopravviverà così com'è oggi, la risposta è ovviamente no. Del resto, nessun settore produttivo che resti uguale a se stesso abbastanza a lungo può sopravvivere: deve necessariamente evolversi.
Ma è chiaro che la domanda è piuttosto: il music business del futuro, ammesso che ci sia, sarà «limousine e feste grandiose» come ai vecchi tempi o si ridurrà ad un manipolo di grigi ragionieri che cercano di spremere ogni centesimo da quel che rimane degli artisti e dalla loro musica?

Per rispondere, secondo Avalon, dobbiamo ragionare come un investitore in beni di consumo che opera sui mercati di borsa. 
Ci sono tre fattori chiave:
  1. l'interesse della gente per la musica, cioè la centralità della musica nella vita delle persone, nei prossimi vent'anni;
  2. la domanda commerciale di musica, ovvero quella che viene da altre industrie che utilizzano il prodotto musicale finito: il cinema, i videogiochi, le suonerie dei telefonini, le applicazioni Apple e Android che usano musica, gli spot pubblicitari, i grandi magazzini che hanno la filodiffusione, fate voi;
  3. i costi di produzione e di commercializzazione della musica, cioè quanto costa ad una casa discografica non solo produrre una canzone, ma anche far sì che la canzone si distingua dal mare magnum di note e diventi anche gradita al pubblico, intrigante, o "di moda". Quindi, c'è dentro pure la promozione, la costruzione dell'immagine dell'artista, tutto.
A seconda che ciascuno di questi tre fattori vada su o giù, si ottiene uno scenario diverso.

Il primo scenario prevede l'aumento della domanda commerciale e la diminuzione dei costi.
Per questo scenario, cosa accade al primo dei tre fattori (la centralità della musica) è abbastanza irrilevante. Se le cose andranno così, ci sarà un'industria discografica, ma non sarà affatto "sexy" come quella di un tempo. Non ci saranno più grandi case discografiche (le cosiddette "major labels"), perché i profitti non sarebbero tali da giustificare gli elevati costi fissi di esercizio di queste grandi strutture. Al loro posto, ci saranno solo piccole case discografiche, con pochi dipendenti, profitti modesti ed anticipi sempre più bassi per gli artisti, che dovranno farsi molto marketing per conto proprio (e qui a me verrebbe da chiedere a Moses perché mai un artista dovrebbe ancora firmare un contratto discografico e dividere i ricavi, se poi deve farsi anche la promozione da solo).
In un certo senso, è il modello di business più livellato, più equo in termini di profitti. Tutti guadagneranno qualcosa, ma nessuno molto.
 
Lo scenario due prevede: aumentata centralità della musica, aumentata domanda commerciale ed aumentati costi.
Questo è lo scenario che sognano i dirigenti discografici nelle loro notti più selvagge: è il ritorno dell'epoca d'oro. Rock star viste di nuovo come idoli e maîtres à penser, poca concorrenza da chi non ha i grandi mezzi finanziari necessari per farsi valere, profitti elevati e rigidamente sotto il controllo di grandi major labels, celebrità che durano una vita, come Bob Dylan, e che generano flussi di cassa positivi per molto tempo, invece che per circa sei mesi.
Uno scenario improbabile, questo, visto che oggi per 9 dollari americani puoi comprare un'applicazione per il tuo iPad che registra e suona probabilmente meglio di qualsiasi studio di registrazione i Rolling Stones abbiano utilizzato negli Anni '70.

Lo scenario tre prevede: diminuzione della centralità della musica, aumento nella domanda commerciale e riduzione dei costi.
In questo scenario, la musica diverrà come il sale: una cosa di cui tutti hanno bisogno (perché tutto è insipido, senza), ma che non sono disposti a pagare più di un'inezia. Un semplice bene quotidiano di consumo, una "commodity" il cui costo è così ben incorporato in altri prodotti da essere percepito da molti come gratuito. Come il sale sulle sfoglie di patatine in sacchetto.
Troveremo musica nei nostri videogiochi, ce la regaleranno con i nostri telefonini, l'ascolteremo in banca e nel supermercato, nelle scene più emozionanti dei film che guarderemo, ma non la pagheremo mai, se non pochi spiccioli.

Lo scenario quattro è quello più "apocalittico": riduzione della centralità della musica, riduzione della domanda commerciale, aumento dei costi.
E' la vera fine, perché non rimane più nulla: nessuno produce più nuova musica, perché costa più di prima promuoverla e nessuno poi vuole pagarla, né la gente né le imprese.
Il tutto si ridurrà ad una gestione economica dei cataloghi musicali già esistenti. Niente case discografiche, ma società legali, con avvocati che amministrano la musica degli artisti del passato, sino a quando non diventa tutta di pubblico dominio. Una sorta di antiquari del diritto d'autore, per così dire.

Lo scenario cinque, infine, prevede: riduzione della centralità della musica, uguale o aumentata domanda commerciale e riduzione dei costi.
Tutto resta sostanzialmente decadente com'è oggi. Significa che tutto il glamour dell'industria discografica è perso per sempre, ed i musicisti, i produttori, gli ingegneri del suono saranno visti un po' come lavoratori a contratto, che realizzano il prodotto-musica e non si sbilanciano mai più di tanto: creativi conservatori, insomma.
Un'industria di "turnisti", più che di artisti. Otterranno il rispetto, ma avranno perso lo stile.
Vivranno in modo più regolare, ma non vivranno... meglio. :-)

Secondo Moses Avalon, tra vent'anni lo scenario più probabile è il numero tre: la musica come il sale. Un prodotto che dà gusto alle cose, ma nessuno lo paga più di qualche centesimo.
Io sono incerto tra il tre e l'uno.

Voi che scenario vedete come il più probabile, invece?

Saluti,

(Rio)

PS. Per chi vuole saperne di più:
http://www.mosesavalon.com/
Moses Avalon - 100 Answers to 50 Questions on the Music Business - Hal Leonard, 2011
Moses Avalon - Confessions of a Record Producer - Backbeat Books, 2006