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mercoledì 2 febbraio 2011

Egitto, Tunisia e le illusioni dell'Occidente

Mohamed Mustafa El Baradei
Salve.

Da qualche tempo, la notizia più importante dall'estero riguarda la situazione di tensione nei Paesi arabi del Mediterraneo, in particolare Egitto e Tunisia, dove - a seguito di un vasto movimento popolare che i più si sono affrettati a definire "democratico" - si e' avuta la caduta del governo di Abidine Ben Ali in Tunisia e, con ogni probabilità, sta per concretizzarsi anche quella di Muhammad H. S. Mubarak in Egitto.

Non voglio entrare nel merito della grave crisi economica ed occupazionale che ha colpito entrambi i Paesi, ne' della situazione di profonda ingiustizia sociale che pervade l'intero mondo arabo, sicuramente tra le due principali cause che hanno determinato l'esplosione del malcontento di queste settimane.
Nemmeno tratterò dell'entità di questi fenomeni, la cui portata e rapidità, per la prima volta nella storia aiutate dagli strumenti di social network, hanno letteralmente colto di sorpresa anche i servizi segreti più preparati: ha fatto il giro del mondo la notizia che un portavoce del governo israeliano avrebbe dichiarato che gli eventi egiziani "hanno colto Israele con i pantaloni calati": un'affermazione in cui il riferimento al Mossad appare evidente.

Quella che davvero mi preoccupa e', ancora una volta, la sconcertante ingenuità dell'opinione pubblica occidentale, specie di quella non anglosassone, dinanzi a tali fenomeni che, invece di mantenere vivo un certo scetticismo, saluta in gran parte gli eventi come una sorta di "nuova primavera della democrazia araba".

E' evidente a tutti che la sola ragione per cui due regimi autoritari ed illiberali come quelli di Ben Ali e di Mubarak non erano invisi alle potenze occidentali scaturiva dall'esigenza strategica di arginare il fondamentalismo islamico.
L'Egitto, dopo tre guerre, aveva stipulato già ai tempi di Sadat un accordo di pace e di mutuo riconoscimento dei confini con Israele, e Mubarak - per quanto sicuramente di vedute ristrette in fatto di libertà individuali - aveva collaborato efficacemente nell'azione di contrasto all'importazione di armi a Gaza e di limitazione dei rapporti tra Hamas ed i Fratelli Musulmani egiziani.

Cio' premesso, come non accorgersi che i principali beneficiari di questo caos saranno i Fratelli Musulmani, l'organizzazione fondamentalista molto forte in Egitto e con ramificazioni in tutto il mondo?
Sinora, i membri dell'organizzazione si sono intelligentemente tenuti in disparte, lasciando la scena ed il ruolo di primadonna a uomini come Mohamed Mustafa El Baradei, educato in Occidente e con una lunga carriera come direttore generale della IAEA, l'Agenzia Internazionale delle Nazioni Unite per l'Energia Atomica, ed insignito - congiuntamente con l'Agenzia che dirigeva - del Nobel per la Pace nel 2005.
E' lui, sino ad oggi, a chiedere a gran voce le dimissioni di Mubarak; addirittura a stabilire delle scadenze, delle condizioni.

Agli osservatori meno attenti deve sembrare un sogno: un regime illiberale, autoritario e brutale sostituito dal governo di un uomo di esperienza internazionale, dalle vedute aperte, laico e persino destinatario di un Nobel per la Pace! Persino troppo bello per essere vero.

Ed infatti, probabilmente e' cosi'.
Le dichiarazioni farneticanti dei tanti, troppi imam integralisti e degli "intellettuali" (chiamiamoli cosi') dell'università di Al Azhar, i recenti gravissimi atti di intolleranza nei confronti dei Cristiani Copti, che rappresentano ad oggi circa il 10% della popolazione egiziana, oltre alle menzogne sistematicamente diffuse sulla presunta fornitura di armi israeliane al regime di Mubarak dimostrano che il Paese delle piramidi e' molto più pronto ad una nuova svolta autoritaria, stavolta di segno diverso, che ad una primavera dei diritti civili.

Cio' che a molti sfugge e' che esiste - sopratutto per colpa nostra - un connubio molto forte tra laicità, democrazia ed Occidente: in altri termini, sempre di più nel mondo arabo sono convinti che abbracciare la democrazia e la società liberale significhi "occidentalizzarsi" e "tradire" la vocazione musulmana, sottomettendosi ad una cultura "aliena" e limitando il potere dell'Islam, che sarebbe invece massimizzato dalla creazione del califfato islamico.

Inoltre, come giustamente scrive sul "Time" di Londra il commodoro Steven Jermy (ex direttore strategico dell'Ambasciata britannica a Kabul), «La situazione odierna e' l'ultimo frutto della lunga strategia dell'Occidente in Medio Oriente e Nord Africa, che ha pensato ad assicurare la stabilita' molto più che a favorire la democrazia, [...] per cui oggi noi siamo visti più come parte del problema che della soluzione».

In sostanza, troppo a lungo abbiamo appoggiato proprio i regimi che ora la gente cerca di abbattere. Cosa pretendiamo, che adesso ci facciano i ponti d'oro? E' ovvio che andranno nella direzione diametralmente opposta a quella in cui siamo noi; ovvero, dritti tra le braccia dei fondamentalisti.

L'obiettivo degli integralisti islamici e' quello di far si' che un interlocutore "credibile" agli occhi dell'Occidente si faccia carico di traghettare il cambio di regime e di portare il Paese alle elezioni. Poi, sarà la gente, proprio come avvenuto a Gaza, a decretare nelle urne la vittoria delle formazioni politiche fondamentaliste.

A quel punto, rischieremo di ritrovarci con due nuove repubbliche islamiche - come l'Iran, soltanto sunnite invece che sciite - e la situazione nel Mediterraneo, per non parlare di quella di Israele (la prima linea dell'Occidente in Medio Oriente) si farà davvero difficile.
Pensate: a nord, il Libano con un governo di Hezbollah; poi la Siria di Bashar al-Assad e, un po' più in la', l'Iran di Ahmadinejad; ad est, la Giordania, la cui tenuta del regime - se gli eventi in Egitto e Tunisia dovessero prendere una brutta piega - e' tutt'altro che assicurata; a sud, Gaza con Hamas; a sud ovest, la nuova repubblica islamica sunnita dell'Egitto; e non si dimentichi che in Turchia c'è sempre una mente aperta ed illuminata come Erdogan.

Cio' senza contare il rafforzarsi della presenza nel Mediterraneo di Paesi fondamentalisti, avversi alla democrazia, alle libertà individuali, all'uguaglianza tra uomo e donna ed ai diritti civili delle minoranze. Ce li volete, voi, due nuovi Iran, due nuovi Ahmadinejad dall'altra parte del Canale d'Otranto?

Che succederà, a quel punto, se la pressione sui Paesi occidentali intorno al Mediterraneo dovessi farsi più forte? Azzardiamo qualche previsione: l'Europa, impantanata com'è nelle sue complesse procedure decisionali, che determinano la sostanziale impossibilita' di assumere posizioni chiare, probabilmente continuerà a far finta di niente, come sta già facendo da anni.
Gli Stati Uniti d'America, se avranno imparato la lezione di questi giorni, dovranno rivedere radicalmente la propria strategia e resistere alla tentazione di impiegare la CIA per appoggiare l'instaurazione di regimi amici o, peggio, l'uso della forza militare per abbattere le repubbliche islamiche, come già da anni si vocifera per l'Iran.
Chi invece non può davvero permettersi di stare a guardare e' Israele. Israele e' "abituato" ad essere attaccato su tutti i fronti, sa reagire e rispondere alle aggressioni; ma il peggioramento del clima internazionale e l'acuirsi delle tensioni con i Paesi confinanti e con quelli vicini potrebbero alimentare un sentimento di paura nella popolazione e, di conseguenza, spingere la politica verso percorsi più autoritari.

Si vedrà. Quel che già oggi appare sicuro e' che:
  • non si prepara una bella Europa per il futuro; per non parlare del Medio Oriente;
  • qualsiasi ipotesi credibile di stabilità e pace per i Paesi arabi del Medio Oriente, se mai se ne presenterà una, potrà venire solo da scelte della gente, e non da pressioni dall'esterno che oggi, oltre che essere percepite dai popoli di questi Paesi come indebite ed inopportune, ci rendono sempre più invisi e rischiano di diventare, perciò, estremamente controproducenti.

Saluti,

(Rio)