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domenica 17 giugno 2018

Quattro miti sul raggiungere il successo nella musica a cui gli artisti credono (di Krizel Minnema)


Salve.

Con un MBA in Music Business al Berklee College of Music di Boston, Krizel Minnema è una giovane imprenditrice che si occupa di strategia di marketing digitale. 


E' anche la curatrice di "Music Road", un blog tematico in lingua inglese che si occupa di questioni relative alla costruzione della carriera discografica di artisti esordienti. 

Pubblico di seguito una sintesi tradotta (da me) di un suo interessante articolo comparso di recente su alcuni siti, dal titolo "Quattro miti sul raggiungere il successo nella musica a cui gli artisti credono". 


L'articolo originale in inglese lo si trova, ad esempio, qui.



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Quattro miti sul raggiungere il successo nella musica a cui gli artisti credono
("Four Myths Musicians Believe About Succeding In The Music Business")
di Krizel Minnema


Da anni, glamour e lusso rappresentano il modo prevalente in cui gli artisti percepiscono l'industria della musica. Anche il modo in cui i pochi artisti vengono scoperti viene visto come una sorta di coincidenza possibile.
Questo, per gli aspiranti artisti, si traduce in due cose: primo, il successo viene percepito come vivere una vita da milionari, immersi nella fama. Secondo, per arrivare a questo successo, bisogna continuare a girare, sino a quando non si incontra il discografico giusto che ti metta sotto contratto.

Di conseguenza, ci sono quattro grandi miti sul successo nell'industria discografica a cui i musicisti finiscono per credere e, sfortunatamente, questa fede cieca finisce per metterli sulla via del fallimento.



MITO n.1
Se uno fa concerti a sufficienza, potrebbe finalmente venire scoperto dal discografico giusto.


Certo, è così che artiste come Rihanna e Taylor Swift sono state scoperte. Ma di tutti i musicisti che vengono scoperti, in realtà pochissimi ce la fanno. Ciò nonostante, gli artisti continueranno a fare concerti in quanti più posti possibile. Alcuni di loro arriveranno anche a girare video di cover ed originali postandoli sul loro canale YouTube, sperando di diventale il prossimo evento virale.

Il problema di questo approccio è che si tratta di una logica da "gratta e vinci". Non ha un obiettivo mirato, è inopportuna e non funziona quasi mai. Io chiamo questi musicisti gli "artisti da lotteria".

Fare concerti e condividere la propria musica deve diventare un atto strategico e mirato. Per esempio, i Civil Wars hanno cominciato suonando in piccole aree molto specifiche. La loro strategia consisteva nell'offrire un EP registrato dal vivo in cambio di email e codici postali. In questo modo, hanno conquistato oltre 500mila sottoscrittori! Così, non soltanto erano direttamente collegati con i loro fans, ma sapevano anche dove i loro fans vivessero, in modo tale da costruire i tour specificatamente intorno a loro. Questo è un modo di fare tournée strategico e mirato, invece che causale.

Risultato? Sono diventati un successo suggellato da un Grammy Awards; il tutto senza una grande casa discografica a sostenerli.
In realtà, le case discografiche nemmeno più cercano nuovi talenti. Cercano figure note che abbia già un nutrito seguito.
Prendete, ad esempio, Bhad Bhabie: non ha alcuna esperienza come rapper. Ha però ottenuto in tv qualche comparsata in alcune puntate del Dr Phil Show [talk show di intrattenimento americano, in onda sulla CBS, ndt] e poi è diventata una celebrità del web. Solo dopo, le è stato offerto un contratto discografico dalla Atlantic.


MITO n.2

Il successo si può raggiungere solo con una major label

I Civil Wars, Chance the Rapper, Dodie, KING, Ingrid Michaelson e Kina Grannis, tra molti altri, sono tutti artisti indipendenti che non hanno un contratto con una major label. Ciò nonostante, guadagnano ancora importi a sei o persino a sette cifre dalla loro musica. Al di là dei loro compensi, sono in grado di lavorare a tempo pieno creando musica e sono in grado di pagare tutti i loro conti. Per molte persone, questa cosa si chiama successo.

Al giorno d'oggi, venire scoperti è un po' come vincere alla lotteria. E, ancora peggio, anche se finisci sotto contratto, le case discografiche non sono affatto obbligate a far uscire un tuo disco. In realtà, solo lo 0,2% degli artisti sotto contratto riesce ad evitare di venire scaricati dalla casa discografica. Il che vuol dire che c'è un 99.8% di possibilità di fare fiasco anche se si è firmato un contratto. Inoltre, Moses Avalon ricorda che il 99% degli artisti sotto contratto non pubblica mai un disco.

Uno potrebbe pure pensare: "Ma io sono diverso. Il mio è talento vero e devo solo venire scoperto." Sono certa che questo sia corretto per molti di voi, ma uno semplicemente non può investire su una coincidenza per ottenere un contratto. Se si comporta così, non fa altro che aumentare le sue probabilità di fallire. La realtà è un'altra: i musicisti di successo sono astuti e strategici, riguardo a come promuovere se stessi e far crescere la propria base di fans.


MITO n.3
Per raggiungere il successo, i musicisti devono solo concentrarsi sulla loro musica, anche se muoiono di fame

Questo non è solo un problema per i musicisti, ma per tutti gli artisti. L'atteggiamento problematico che molti artisti hanno è "Se ami fare qualcosa, non la faresti anche gratis?" e deriva dall'idea che essere poveri voglia dire avere più passione e più autenticità. Non potrebbe essere più sbagliato.
Sotto sotto, è una scusa per non pensare in modo strategico e provare a fare le cose meglio. Di conseguenza, si convincono che le vere opportunità verranno loro offerte da qualcuno. "La vera arte viene scoperta", pensano. Un'opportunità, invece, va creata, non viene offerta. L'industria discografica sta cambiando e questo richiede un cambio nella mentalità degli artisti, il che conduce al prossimo mito.


MITO n.4
Se l'industria discografica è morta, ma allora perché tentare?

A partire dal file sharing peer-to-peer (pensate a Napster) nei primi Anni 2000 sino alla crescente industria del music streaming odierna (vedi Spotify) le vendite di CD hanno subito un tracollo verticale. La domanda di musica, tuttavia, non ha subito la stessa sorte.
Anzi, la gente ascolta oggi molta più musica di una volta. In realtà, innumerevoli ricerche universitarie hanno dimostrato come lo streaming ha aumentato l'interesse per la musica consumata.
In altre parole, lo streaming allarga la gamma di possibilità d'ascolto di un fan e in alcuni casi aumenta, successivamente, anche il loro interesse a comprare CD o addirittura vinili.

Persino la musica composta centinaia di anni fa sta vivendo una stagione di ritorno in questa industria discografica in evoluzione; il tutto grazie allo streaming. Nel 2016, un disco con la musica di Mozart (sì, Wolfgang Amadeus Mozart) è stato tra i più venduti dell'anno.
Il modo in cui i fans consumano musica oggi è completamente diverso da come lo facevano nei primi Anni 2000. Oltre al come consumano, anche il quanto sta cambiando. Ciò implica che gli artisti devono diventare creativi, per ciò che riguarda il modo in cui raggiungono la loro base di fans e vendono la loro musica.

Beyoncé ha creato un album visivo. Chance the Rapper regala la sua musica e guadagna solo dai suoi tour. Kina Grannis ha condotto una campagna di fondi su Patreon per fondare la propria etichetta discografica insieme ai propri fans. I Radiohead hanno pubblicato un disco con il modello di business "paga quello che vuoi" ed hanno fatto più soldi in quel modo di qualunque altro album pubblicato nello stesso anno da una major label. Grazie al cambiamento nello scenario digitale, ci sono più opportunità di connettersi con i fan e di avere successo nell'industria discografica.

Come musicisti, potete costruire un piano tangibile e strategico per avere successo nell'industria discografica. Tutto comincia dal passare dalla mentalità del "musicista da lotteria" a quella di "musicista delle opportunità".


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Saluti,

(Rio)

domenica 3 giugno 2018

L'Italia della ggiente (post avvelenato)


Salve.

Qualche veloce invett... ehm, considerazione sugli accadimenti politici di questi giorni che, come tutti sanno, hanno portato alla nascita del governo Conte, il primo e temo non l'unico governo populista d'Italia.

Innanzitutto, i miei più sentiti complimenti ai teorici de "il MoVimento Cinque Stelle è la Nuova Sinistra in Italia". Ho già detto in passato e potrei ancora dire molte cose al riguardo, ma il fatto che la "Nuova Sinistra Italiana" oggi sia al governo con la Lega di Salvini penso valga più di qualsiasi applauso da parte mia. Dopo, magari, mi fate sapere come ci si sente.

Poi, vorrei anche congratularmi con la Sinistra italiana, intendo quella vecchia, quella rappresentata in massima parte dal Partito Democratico che, dopo aver aspramente e lungamente criticato Forza Italia (a giusto titolo, eh! Intendiamoci) è riuscita a ripeterne gli stessi errori, dai problemi giudiziari sino ai regalini in cambio di tessere.
Un colpo di genio del marketing politico: prima crei disaffezione nei confronti di comportamenti ritenuti (giustamente) deplorevoli e poi ripeti gli stessi comportamenti, così nell'oceano di indignazione che hai contribuito a generare ci finisci dentro anche tu. Come dire, la tempesta perfetta; solo che non ti è capitata. Sei proprio andato a cercartela di proposito.

E come non fare un salutino anche a tutti quei liberali col foulard che hanno votato contro la riforma costituzionale "per far cadere Renzi e la Sinistra", poi hanno snobbato anche il movimento politico della Bonino e, infine, oggi rompono pure i coglioni sui social a proposito del nuovo governo ggientista, antieuropeista, anti-gender, xenofobo, anti-scientifico e statalista, perché in realtà non possono accettare il fatto doloroso di aver soffiato anche loro sul fuoco del populismo? 
La loro unica strategia di difesa è rappresentata dal fatto che sono solo quattro gatti e che, quindi, il loro impatto è stato come al solito insignificante. Nulla di strano, qui: gente così non può che essere politicamente insignificante tutta la vita. Comincio a credere che, in fondo, sia proprio quello che vogliono: stare sull'Aventino a criticare il prossimo; perché se dovessero governare loro, non saprebbero da dove cominciare. 
Detto da un "collega" liberista: andatevene al bar o in qualche salotto buono, ragazzi. No, veramente, eh. Siete patetici.

C'è però anche un aspetto positivo sul fatto che sia nato il primo governo populista in Italia. Dico sul serio: una nota positiva c'è davvero.

Sinora, la Sinistra Italiana (sempre quella vecchia, dico) si era sentita intoccabile: dopo il crollo dello sgangherato impero politico berlusconiano, credevano di aver relegato il M5S e la Lega in una sorta di riserva indiana e di avere in mano le chiavi del governo per chissà quanti anni a venire.

Si sentivano intoccabili e, si sa, è proprio quando uno si sente intoccabile che fa le cazzate più grosse. E il PD, di cazzate, negli anni ne ha fatte davvero tante: oltre ai problemi giudiziari, anche una serie di danni di immagine incalcolabili, dal mettere una sindacalista con la licenza media a capo proprio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (e che, sindacalisti di lungo corso laureati non ce n'erano?), sino alle vicende delle banche toscane (era proprio indispensabile tenersi la Boschi?).
Il fianco veniva mostrato al nemico con spavalda arroganza, nella granitica convinzione che tanto "loro" non avrebbero mai vinto.

Ecco. Adesso "loro" hanno vinto. 

Bravi, i miei piccoli strateghi. Almeno così non vi sentirete più invulnerabili e, si spera, cercherete di evitare certe figuracce.
Una lezione che però, almeno a giudicare dalla chiamata alle barricate di queste ore, in cui si grida "resistenza adesso e sempre al neoliberismo", non pare essere stata ancora recepita.
Salvini e Di Maio, il neoliberismo?!
E niente: si vede che a questi qua, arrivati in piazza, scatta la protesta col pilota automatico. Vecchie abitudini dure a morire.

Poi uno si chiede come mai in Italia il populismo abbia più successo che all'estero. Ecco perché.

Con una cultura politica così, i ggientisti conteranno per decenni.

Saluti,

(Rio)

mercoledì 7 marzo 2018

Il Reddito di Cittadinanza e le considerazioni "auto-razziste" di un Meridionale sul Sud :-)


Salve.

Chi scrive – secondo alcuni – è un "auto-razzista". :-)
È un "auto-razzista" in quanto, da Meridionale, ha il coraggio di riconoscere pubblicamente che la maggioranza dei suoi concittadini ha votato per il Movimento Cinque Stelle perché spera di ottenere il Reddito di Cittadinanza.

Per alcuni è un auto-razzista perché, da vero infame, sfacciato e figlio ingrato del Sud, ha il coraggio di sostenere pubblicamente che le ragioni della disperazione, dell'assenza di prospettive per il presente e per il futuro, pur comprensibili e condivisibili, non sono affatto sufficienti a giustificare chi aspira a vivere a spese di chi lavora.

Chi scrive, per alcuni, è un auto-razzista, perché ritiene che queste persone abbiano scelto di campare alle spalle del prossimo solo perché si sono rifiutate di considerare la possibilità di andare via, di emigrare; un'opzione che esiste da sempre ed aperta a tutti gli strati sociali ed a tutte le età.
Una possibilità che milioni di Italiani prima di loro, tra cui anch'io (e migliaia mentre scrivo) hanno invece considerato; e l'abbiamo fatto perché quello che volevamo era una vita dignitosa, e ritenevamo – dateci pure torto – che non ci fosse alcuna dignità nel campare a sbafo del prossimo.

Ma andiamo con ordine.  :-)
Nella seconda metà degli Anni '90, in una delle mie numerose vite precedenti, lavoravo come consulente per la Pubblica Amministrazione: ho girato enti locali e territoriali in Puglia e un po' di Campania, ma ho anche tenuto alcune lezioni di corsi di formazione in alcuni enti in Sicilia e nel Lazio. Non ho visto, quindi, "tutto il Sud", ma un'idea approssimativa me la sono fatta.
Non posso – per ovvi motivi – fare nomi né fornire coordinate troppo precise da cui si potrebbe desumere a chi o a quale realtà mi riferisco esattamente, ma ho avuto comunque modo di formarmi un'opinione basata sui fatti e non sui soliti pregiudizi contro o pro-Sud.

E vi posso dire, come un Nexus VI terrònico, che ho visto cose che voi umani, ma manco sul Sacro Blog ve le potete sognare.

Ho visto persone brillanti, ma non ammanicate con i piani alti, non soltanto non fare carriera, ma venire superate da mediocri ed anche caricate di lavoro, sia il proprio che quello degli altri.
Perché, ad essere sinceri, non è vero che nella Pubblica Amministrazione nessuno fa un cazzo: la verità è che c'è chi non fa un cazzo, chi lavoricchia e chi lavora per sé e per tutti quelli che non fanno un cazzo. E, ovviamente, lavora male. È un problema organizzativo e culturale.

Ma con la stessa sincerità vi dico – credeteci, non credeteci, fate voi – che non capitava mica di rado che io ed altri entrassimo in un ufficio pubblico e, dopo aver osservato, letto, intervistato dirigenti e dipendenti, parlato, fatto riunioni, eccetera, passati alcuni giorni, non fossimo ancora riusciti a capire questi signori cosa cazzo ci facessero davvero là dentro.
Attenzione: sto dicendo cosa facessero davvero. Non le loro mansioni sulla carta.

Per giorni, non vedevamo nessuno che lavorava, o che quantomeno sembrasse lavorare: la gente vagava per gli uffici, chiacchierava, teneva sul tavolo la stessa pratica con il faldone sempre, immancabilmente chiuso, faceva telefonate tutte rigorosamente personali e soprattutto, se interpellata sul proprio lavoro, forniva solo risposte assolutamente evasive, generiche ed inconcludenti.
Ad esempio (scusate la censura stile CIA ma, ripeto, devo evitare troppi dettagli che rendano riconoscibili luoghi e/o persone), io chiedevo: "Scusi, lei di cosa si occupa?"
E quello: "Maaa, guardi, quando arrivano segnalazioni da parte di X, noi ci attiviamo per effettuare Y".
Io: "Quando è stata l'ultima volta che X ha segnalato qualcosa?" (Io sapevo già che era da molto)
Lui: "Eh, saranno almeno sei o sette anni fa, anche perché da allora non ci sono più fondi".
Io: "?"

Ma non è tutto. Se un collega di un altro ente pubblico si presentava in ufficio chiedendo del dottor Tizio, gli si diceva che il dottor Tizio non c'era e gli si suggeriva di richiamare, invece di presentarsi di persona.
Voi direte: "E allora, cosa c'è di strano?" Di strano c'è che a dirglielo era proprio... il dottor Tizio.
Quante volte avrò visto questa scena da film di Totò, ho perso il conto.

Ora mi direte: "Sì, va be', ma tutto questo col Reddito di Cittadinanza che c'entra?"
Belli miei, non prendiamoci in giro. Per molti al Sud, la cultura del lavoro è questa: se hai un posto fisso pubblico e sei vicino a chi conta, allora te la passi bene; se no, ti tocca lavorare davvero, pensa tu. A questo aspirano molti – non tutti, ma molti – Meridionali: ad un posto come quello di questi signori qua.
Un posto in cui devi "attivarti" quando te lo richiede X, il quale X non si fa vivo da anni, ma meglio così, ché ti stressi di meno.

Perché credete che il MoVimento Cinque Stelle, che dice di sapere come reperire le coperture finanziarie per il Reddito di Cittadinanza senza fare debiti (vicenda assolutamente folle, di cui mi sono occupato anch'io, qui e qui), con quei soldi non ha proposto di lanciare un piano di sostegno alle start-up che generasse posti di lavoro nel settore privato (e nell'indotto), invece di pagare semplicemente dei sussidi?
In altre parole, se i fondi ci sono, perché non usarli per creare posti di lavoro veri, invece di dare soldi a chi non fa un cazzo? 
E la ragione è semplice: perché alla Casaleggio Associati sanno benissimo che ciò che i loro elettori vogliono non è un lavoro: è un posto. "Se questi volessero un lavoro – come diceva già anni fa la buonanima di Indro Montanelli – emigrerebbero."

E qui intendiamoci sui termini: il posto non è un lavoro. Il posto è una forma di occupazione che ti garantisce un buon reddito per tutta la vita, senza però causarti troppi problemi. 
Tuttavia, non potendo ingabbiare il Paese in un'altra ondata di concorsoni interminabili che molti dei loro elettori neppure supererebbero (e poi, quella dei concorsi che non portano a niente è la strategia del PD! E non vorrete mica che copino la strategia del PD!), si sono inventati una strada più breve e, soprattutto, più semplice, alla portata di tutti: una bella domandina, e per tre anni il tuo problema di reddito è risolto.
Anzi, se sei sposato, come nucleo familiare, puoi portare a casa più soldi di quegli sfigati che fanno i turni come commessi all'ipermercato, poveri scemi!

Una bella norma clientelare – perché solo di questo si tratta, sia chiaro: una forma di clientela – pretesa e fatta passare perché "In Europa ce l'hanno tutti" (peccato solo che gli altri Paesi in Europa non hanno un rapporto debito/PIL spaventoso come il nostro, più circa cinque milioni di lavoratori a bassa produttività ed a carico dell'erario, più un esercito di pensionati con onerosissime pensioni retributive e pochissimi giovani a versare contributi; ma questi sono dettagli...); un colpo di marketing che sinora è servito perfettamente allo scopo.

Ovviamente non ci sono davvero i soldi per realizzarlo, o almeno non come dicono di volerlo realizzare loro: quello che faranno sarà o fare altri debiti (!) oppure distribuire un po' di soldi a qualcuno, magari accorpando insieme gli strumenti già esistenti, come ad esempio la Cassa Integrazione, i sussidi erogati a livello territoriale, eccetera, rimpacchettandoli e chiamandoli "Reddito di Cittadinanza".

Una banale operazione di quelle che nel marketing – unico ambito di cui il M5s capisca davvero qualcosa – si chiama "re-labelling", ossia mettere una nuova etichetta a qualcosa che c'è già.
Non potendo cambiare la realtà, lavorano sulla percezione della realtà.

Tutto qui; ma quanto basta affinché qualche attivista pentastellato che non capisce niente di Pubblica Amministrazione si senta autorizzato ad urlare su Facebook: "Avete visto, piddioti?! Lo hanno fatto davvero!"

Che poi, se servisse anche soltanto a mettere ordine nel regime di aiuti e sussidi, non sarebbe nemmeno una cosa del tutto inutile.
Ma ciò non toglie che resti soltanto l'ultima trovata con cui l'ennesima, spregiudicata formazione politica ha comprato il voto di molti miei conterranei. E non c'è da meravigliarsi, perché quel voto, in effetti, era in vendita.

Saluti,

(Rio)

lunedì 5 marzo 2018

L'inevitabile epilogo dei senza palle


Salve.

 Nel momento in cui scrivo, sono ancora in corso le operazioni di spoglio relative alla tornata delle Elezioni Politiche del 4 Marzo 2018, ma il risultato complessivo appare comunque chiaro ―anzi, per la verità, è apparso oltremodo evidente sin dai sondaggi pre-voto che si sono succeduti da almeno un paio di mesi a questa parte.

Il MoVimento Cinquestelle ha stravinto le elezioni politiche, anche se la coalizione più votata è stata quella di Centrodestra, con al proprio interno la Lega di Matteo Salvini a fare da mattatrice sulle ossa del non-così-redivivo Silvio Berlusconi.

In questo momento, nessuno sa cosa farà il Presidente Mattarella. Forse affiderà a Salvini l'incarico di formare un nuovo governo, ipotesi tutt'altro che campata in aria, oggi; come è pure possibile che Mattarella affidi invece l'incarico a Luigi Di Maio, il leader (qualunque cosa questo voglia dire, trattandosi pur sempre del M5s) del primo partito italiano.

Ad ogni modo, il PD crolla ―o meglio, tracolla― al proprio minimo storico (anche qui le percentuali non sono ancora finali, ma è una Caporetto garantita) e questo voto cambia drasticamente lo scenario politico nazionale italiano in un modo che non si vedeva dai tempi della "discesa in campo" di Berlusconi nel 1994, imprimendogli una forte sterzata a Destra.
Solo, stavolta non Centrodestra; proprio Destra.
Il Centrosinistra e la Sinistra oggi rappresentano sì e no un Italiano su cinque; voto più, voto meno.

Ma l'argomento del post di oggi non è questo. 
Il punto qui è che niente dello scenario sopra descritto è arrivato come un fulmine a ciel sereno: a parte Renzi, se lo aspettavano tutti da mesi.

Quindi, la domanda ovvia di chi, come me, ancora "ci crede" è sempre la stessa: ma perché nella politica italiana nessuno sembra accorgersi che oggi, a voler evitare di rischiare, si finisce di sicuro con il perdere tutto? 
Perché in Italia, in tutti gli schieramenti, sopravvive soltanto una classe politica pavida, senza palle, che preferisce inseguire i populisti sul terreno scivoloso della demagogia, dove i Cinquestelle o la Lega sono Maestri indiscussi, piuttosto che mettersi una buona volta a fare proposte politiche serie, rischiando magari di perdere i consensi di chi non ha i neuroni accessi, ma apparendo finalmente credibili agli occhi di chi un cervello funzionante, invece, ce l'ha?

La classe politica italiana (tutta!) evidenzia una scarsissima fiducia nell'elettorato di questo Paese, specie al Sud, ed è convinta che il solo modo per conquistare il voto di un popolo sofferente sia di prenderlo in giro con promesse più vane di quelle degli avversari. In pratica, di spararle più grosse del vicino. Tutto qui. È ovvio che, se il gioco è soltanto questo, i professionisti della demagogia vinceranno sempre; e sempre più a man bassa.

Tra l'altro, per ora, il voto populista di Destra confluisce quasi interamente verso i Cinquestelle e la Lega; ma domani ―rivelatasi l'inconsistenza della loro proposta politica― potrebbe essere persino la volta di Casapound e affini, aprendo la via a scenari davvero inquietanti.

In altre parole, si è preteso di accarezzare gli elettori anti-sistema per il verso del pelo, sfidando due formazioni politiche: un movimento che è nato inizialmente per sfasciare le Istituzioni italiane ed un altro che ha avviato la propria attività politica con una cosa che si chiama Vaffanculo Day.
No, complimenti davvero per la strategia.

È pure vero che qui si innestano anche altre considerazioni: l'elettore medio italiano è stato educato a votare sempre e soltanto sulla base della propria convenienza personale; da sempre. Era così ai tempi della DC, del PSI e, in una qualche misura, anche del PCI... Difficile cambiare questo stato di cose.

Così come è pure evidente che il successo travolgente di due formazioni che per anni non hanno fanno niente sia dentro che fuori dal Parlamento, a parte protestare e dire di NO su tutto (anche per cose su cui, appena il giorno prima, erano d'accordo), non si può spiegare unicamente con una buona campagna elettorale, ma chiama inevitabilmente in causa i demeriti e le colpe degli altri partiti, quelli che avrebbero voluto e dovuto arginarli, e che invece hanno saputo soltanto continuare il solito tran-tran, le solite piccole regalie, le solite clientele, le solite promesse, la solita politica marginale dello "sposto centomila euro da questo a quel capitolo di spesa" che non cambia niente per nessuno e, porca miseria, le solite candidature di inquisiti e impresentabili.

Ma, a voler comunque cercare di essere ottimisti, forse adesso le persone serie e di buona volontà ―se mai ve ne siano ancora in politica― hanno finalmente ricevuto la riprova ultima del fatto che la strategia del "contrastiamoli sul loro terreno" ha un unico e scontato esito: si perde, e di brutto.

Anche nella politica, arriva un momento in cui la mancanza di palle, la codardia, non possono più essere chiamate "sano realismo", "real-politik" e idiozie simili. Arriva un momento in cui bisogna capire perché davvero si continua a perdere e, a quel punto, si deve saper cambiare strategia; o, se non si hanno le qualità, bisogna sapersi fare da parte. Questo vale per i Renzi, vale per i Berlusconi, vale per i D'Alema, per i Bersani, gli Emiliano, i Brunetta, eccetera eccetera: o sai cambiare completamente strategia perché hai qualcosa di davvero nuovo in mente, o ti togli dai piedi.

Saluti,

(Rio)