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domenica 13 gennaio 2013

Principali luoghi comuni su Israele e i Palestinesi


Salve.

Joseph Goebbels, Ministro nazista della Propaganda, era solito dire: "Una menzogna ripetuta all'infinito diventa la verità".
Goebbels era un uomo spregevole, ma sapeva fare il proprio lavoro. Il suo motto ha fatto scuola nel mondo, conquistando ovunque proseliti che lo hanno applicato con zelo in regimi totalitari di tutti i tipi: dalle dittature fasciste sudamericane sino ai Paesi comunisti in Europa, Asia e Caraibi, come pure i regimi tirannici africani.

Con l'adozione da parte di quei regimi totalitari, i metodi di propaganda di Goebbels si sono trasferiti anche a chi, pur vivendo in democrazia, si adopera per una trasformazione della societa' libera in senso autoritario.
Non e' quindi un caso che la disinformazione sistematica e la "macchina del fango" -- per usare un termine caro a Roberto Saviano -- siano metodi largamente utilizzati nella propaganda dei gruppi neofascisti, della Sinistra massimalista e dei numerosi movimenti demagogici sorti dalla crisi dei partiti tradizionali.
E neanche stupisce che, sin dal principio, in Italia la propaganda anti-israeliana -- appannaggio di tutti i gruppi di estrema Sinistra e di estrema Destra, passando per il Movimento Cinque Stelle -- si sia nutrita di falsi miti, di esagerazioni, di evidenti distorsioni della realta', ove non di veri e propri falsi storici.

Tuttavia, la costante riproposizione di questi miti -- aiutata dall'assenza di verifiche e dal sostanziale disinteresse per i fatti da parte dei vecchie e nuovi media -- hanno convinto larga parte dell'opinione pubblica italiana ad adottare a priori il "punto di vista palestinese" del conflitto, aderendovi in modo del tutto acritico.

Questo post ha come fine quello di fornire una tabella dei piu' diffusi luoghi comuni sul conflitto israelo-palestinese e del perche' da tali punti di vista si traggano sempre piu' spesso conclusioni che, ad un esame dei fatti, risultano esagerate, intellettualmente scorrette, se non proprio completamente inventate.

Alcune premesse:
  • chi scrive e' un sostenitore della democrazia, un liberale e liberista laico, non e' cittadino di un Paese mediorientale, non e' Ebreo, ne' Musulmano, ne' Cristiano e -- con rispetto parlando -- considera tutte le religioni soltanto un insieme di leggende primitive.
  • La differenza in lunghezza tra l'affermazione dogmatica e l'analisi e' legata a quella che io personalmente chiamo "Legge di Paolo Attivissimo", che sostiene che ci vuole poco per fare un'affermazione arbitraria, ma molto di piu' per smontarla con dati oggettivi.
  • Infine, si avverte che questo e' un post lungo e che non piacera' a chi non ama i numeri, le statistiche ed i link a fonti in lingua inglese.
Mi scuso per la pressoche' totale assenza di link in lingua italiana, ma le fonti italiane sono le sole nel Mondo Occidentale ad aderire quasi senza eccezioni ad una visione soltanto.
Di buono c'e' che, pur essendo lungo, il post e' strutturato in modo da permettere di andare direttamente all'aspetto che interessa di piu'.

AFFERMAZIONE ANALISI
1. Israele e' solo una "finzione geopolitica", il risultato di una decisione unilaterale della dimissionaria potenza coloniale britannica e del movimento sionista, a spese del Popolo Palestinese, che viveva in quelle terre da secoli.
Israele semplicemente non ha alcun diritto di esistere come nazione ed il suo popolo, del tutto eterogeneo per lingua, etnia, provenienza e cultura, e' in realta' una mera invenzione.
Israele e' una finzione costruita a tavolino, senza minimamente interpellare le popolazioni locali.
Lo Stato di Israele e' sorto nel 1948 con un territorio interamente ricompreso all'interno dell'ex Protettorato Britannico del Medio Oriente, che era, a sua volta, il governo inglese di una ex provincia ottomana, persa dai Turchi nel 1917. Non esisteva ne' era mai esistita nella storia (ne' esistera' prima dei giorni nostri) una "Nazione Palestinese".
I Palestinesi non avevano (ne' avevano mai avuto) una loro patria comune e non esistevano nemmeno come popolo: erano Giordani, Siriani ed Egiziani governati sotto un protettorato straniero (ottomano o britannico).
Lo "Stato Arabo Palestinese" ed il "Popolo Arabo Palestinese" sono, nella loro accezione nazionalistica moderna utilizzata anche dalla propaganda anti-israeliana, un concetto piu' recente dello stesso Stato di Israele ed una creazione non meno "calata dall'alto" di quest'ultimo.

Tuttavia, se si considerano le indubbie differenze di lingua, etnia, Paese e cultura degli Ebrei, e' legittimo pensare ad Israele come una "finzione geopolitica", nello stesso modo in cui lo sarebbero anche gli Stati Uniti d'America, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda, l'Argentina o il Brasile. Con la differenza, rispetto agli esempi appena citati, che non solo esiste un antico, saldo e innegabile legame storico-religioso-culturale tra la terra di Palestina e la cultura ebraica, ma che molti Ebrei sono sempre vissuti in quell'area, o comunque da ben prima che il moderno Stato di Israele sorgesse.

Ma quanti sono? Tutte le fonti di dati demografici sulla Palestina sono carenti ma, in base alle prime stime statistiche a disposizione (v. Alexander Schölch), nel 1850 nella citta' di Gerusalemme gli Ebrei erano il 26% della popolazione (il 42% erano Musulmani ed il resto Cristiani di varie confessioni).
Secondo le statistiche ottomane studiate da Justin McCarthy e gli studi di Roberto Bachi, nel 1900 la popolazione della Palestina era costituita per il 7-8% da Ebrei, il 12% da Cristiani e il restante 80% circa da Musulmani.
Per fare un confronto, si consideri che la popolazione nera in USA nel 1900 era pari al 10% circa del totale.
La qualita' dei dati statistici a disposizione e' oggettivamente limitata, ma tutte le stime concordano nell'assegnare la maggioranza alla popolazione Arabo-Musulmana ed un ruolo di minoranze piu' o meno vaste (a seconda delle diverse zone) ad Ebrei e Cristiani. Nessuna conclude che la presenza ebraica in Palestina (e men che meno a Gerusalemme) fosse trascurabile, insignificante o inesistente.

Quanto ad Israele costruito a tavolino, se con questo si intende che la nascita di Israele e' il risultato della Risoluzione ONU n.181, questo e' indubbiamente vero. Come e' vero che sono nati in modo analogo molti altri Stati, non solo di quell'area, ad esempio l'Egitto (dichiarazione unilaterale britannica del 1922) o la [Trans]Giordania (trattato di Londra del 22/3/1946).
Francia e Gran Bretagna, che avevano ricevuto mandato dalla Societa' delle Nazioni per le ex provincie dell'Impero Ottomano, allo scadere del mandato, hanno suddiviso il Medio Oriente in diversi Stati. Tra questi, c'erano uno "Stato ebraico" (con confini piu' piccoli di quelli attuali) e uno "Stato per la popolazione araba" (si noti che il testo della Risoluzione non parla mai di "Popolo Palestinese" perche', semplicemente, questo concetto non esisteva, ne' esistera' sino agli Anni '70. Si noti anche che nessuno dei Paesi Arabi dell'epoca ha mai rilevato, ne' tanto meno evidenziato questa "mancanza").
E' curioso, anzi, rilevare come sino al 1969 il termine "Palestinesi" venisse usato con riferimento ai "sabra", ovvero agli Ebrei nati in Palestina, per distinguerli da quelli immigrati e non, come invece accade oggi, agli Arabi.
Ad ogni modo, gli Ebrei hanno accettato subito la Risoluzione ONU n.181, mentre gli Arabi l'hanno rifiutata e mosso guerra al neonato Stato ebraico per distruggerlo, non cogliendo l'occasione -- ove mai un Popolo Palestinese fosse mai esistito -- di ottenere piena legittimazione gia' molti anni prima.

Infine, quanto all'interpellare le "popolazioni locali", vanno puntualizzate due cose: per quanto possa apparire prosaico, quasi sempre nella storia sono le guerre che definiscono, modificano e consolidano i confini degli Stati, non i trattati.
E quello di "consultare le popolazioni locali" e' un evento storicamente ancora piu' raro: decisamente piu' un'eccezione che la regola. La geografia politica del mondo non e' certamente disegnata dalla volonta' delle popolazioni locali; o almeno cosi' e' stato sino ad oggi.
2. La Guerra Arabo-Israeliana del 1948-1949 e' nota agli arabi come "Al Naqbah", la catastrofe, perche' Israele perpetro' una scientifica e sistematica pulizia etnica della Palestina, uccidendo centinaia di migliaia di Arabi o scacciandoli via e creando cosi' oltre 700.000 rifugiati Palestinesi.
A parte che, per correttezza, sarebbe interessante ragionare pure su cosa gli Arabi avrebbero fatto agli Ebrei se avessero vinto loro (considerata anche la natura delle alleanze di alcuni importanti leader religiosi musulmani prima e durante la Seconda Guerra Mondiale), le vittime civili e militari da ambo le parti sono dello stesso ordine di grandezza e comunque sotto le 10mila, con piccole oscillazioni a seconda delle fonti.
Tra l'altro, del fatto che le intenzioni degli Arabi non fossero certo migliori si trova chiara conferma nelle dichiarazioni del Segretario Generale della Lega Araba Azzam Pasha che alle Nazioni Unite, qualche giorno prima che partisse l'attacco arabo contro il neo-sorto Stato degli Ebrei, disse: "Questa sarà una guerra di sterminio ed un massacro epico, di cui un giorno si parlera' come di quelli commessi dai Mongoli o dalle Crociate".

Quanto ai profughi, e' indubbio che -- in conseguenza della pesante disfatta militare araba -- Israele espulse centinaia di migliaia di Arabi Palestinesi. Come pure, dalle statistiche demografiche disponibili, e' evidente che la cifra di "700mila profughi", copincollata con disinvoltura su molti siti, semplicemente non puo' essere vera: infatti, nel 1941, in Palestina vivevano circa un milione e centomila Arabi, il cui numero e' rimasto praticamente immutato dieci anni dopo. La popolazione araba nella medesima area presenta invece un incremento nell'ordine delle 300-350mila unita' nel decennio immediatamente precedente ed in quello successivo al conflitto.
Quindi, e' ragionevole (e plausibile) supporre che l'espulsione abbia controbilanciato la naturale crescita demografica; ed infatti altre statistiche attestano il numero reale di profughi palestinesi a circa la meta' cioe', appunto, 350mila.
La vera ragione dietro le cifre "gonfiate" non sta tanto nella propaganda, stavolta, quanto nella consapevolezza che lo status di rifugiato assicurava importanti benefici mai goduti prima, accordati dalla neo-costituita UNRWA (l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione). In conseguenza di tali benefici, il numero di Arabi registrati come rifugiati palestinesi all'UNRWA nel 1950, a guerra appena finita, sfiorava gia' il milione. Un fatto demograficamente impossibile, anche ipotizzando -- per assurdo -- che fosse corretta la cifra dei 700mila rifugiati del 1949.

Tuttavia, anche se realisticamente ridotto a 350mila persone, si tratta senza dubbio di un numero molto elevato; ma spesso tale cifra non viene affiancata ad una visione d'insieme dei fatti. Quasi mai, ad esempio, si fa riferimento al fatto che -- nello stesso decennio -- oltre 300mila Ebrei sono stati espulsi dai Paesi Arabi e, ben lungi dal fermarsi al 1949, tale processo non si e' arrestato sino ai giorni nostri: dei circa 850mila Ebrei che nel 1948 vivevano in Paesi a maggioranza islamica, nel 2001 ne restavano meno di 8mila.
Dal 1948 ad oggi, circa 750mila Ebrei provenienti dai Paesi Arabi sono immigrati in Israele. Non tutti possono essere considerati rifugiati, ovviamente, ma esiste una vasta documentazione che attesta l'erosione sistematica dei loro diritti, ove non una vera e propria persecuzione.

In altre parole, quello che sembra essere realmente accaduto e' che sia Arabi che Ebrei, semplicemente, abbiano posto in essere politiche di reciproca espulsione, magari con tempi e modalita' differenti.
Ma e' pure evidente che, se da un lato lo Stato di Israele si e' dimostrato propenso e capace di accogliere i rifugiati Ebrei nel proprio piccolo territorio, fornendo loro asilo, pienezza di diritti e cittadinanza, non si puo' certo dire la stessa cosa dei Paesi Musulmani nei confronti dei rifugiati Palestinesi, i cui discendenti mantengono ancora oggi lo status di "profughi", "rifugiati" o, nel migliore dei casi, di "cittadini di serie B".
Tutto questo senza considerare anche le evidenti differenze tra il modo in cui Israele tratta la Minoranza Araba, ed il trattamento riservato invece alle Minoranza Ebraica nei Paesi Arabi.
3. Israele e' un Paese razzista, dotato di un apparato poliziesco di tipo totalitario che fa vivere la minoranza araba in un regime di segregazione etnica, di apartheid simile a quello che era in vigore in Sudafrica sino a qualche anno fa. Israele non ha nemmeno una Costituzione!

Nessuna norma del corpus normativo israeliano, dalle Leggi Fondamentali sino ai regolamenti comunali, contiene alcun elemento che giustifichi o anche solo consenta qualsiasi forma di razzismo o disparita' di trattamento tra i cittadini in base a differenze di religione, di censo, di sesso, di etnia o di provenienza di origine; anche se approvata, un'ipotetica norma di questo tipo sarebbe considerata immediatamente nulla, in quanto incostituzionale.

Israele, come altri Paesi (ad esempio la Gran Bretagna), non ha una Costituzione, ma si e' dotato di "Leggi Fondamentali" con valore costituzionale. Le Leggi Fondamentali vengono approvate dal Parlamento mediante una procedura speciale ed hanno rango supremo, cioe' superiore a tutte le altre norme (appunto, come una Costituzione). Le Leggi Fondamentali possono essere modificate dal Parlamento soltanto mediante speciali procedure di revisione, proprio come una Costituzione.
Si puo' pensare alle Leggi fondamentali come ad una Costituzione approvata "poco per volta". La ragione d'essere delle Leggi e' legata al contesto politico molto "fluido" in cui lo Stato di Israele e' sorto. I Padri fondatori non hanno voluto fissare troppi paletti costituzionali all'inizio, perche' non sapevano in che modo la situazione si sarebbe evoluta, ma hanno aggiunto -- man mano che la situazione lo consentiva -- nuovi tasselli all'impianto giuridico fondamentale del Paese.

La presunta associazione tra l'esistenza di un documento unico costituzionale e la democrazia di un Paese si rivela del tutto infondata, quando si considera che anche la Nuova Zelanda, la Gran Bretagna e il Canada non hanno una Costituzione unitaria; cosi' come non ce l'aveva l'Ungheria sino a prima di diventare comunista, nel 1949 (cioe' quando era un Paese democratico). Tutte le peggiori dittature fasciste e comuniste al mondo hanno invece una Costituzione. E pertanto logico dedurre che, piu' che la presenza o meno di una Costituzione, e' l'orientamento normativo nel suo complesso a fare la differenza.

Quanto allo stato segregazionista, Israele e' sorto come "patria per gli Ebrei", ma non per i soli Ebrei: fin dalla dichiarazione di indipendenza, nel rispetto di quanto previsto dalla Risoluzione ONU n.181, tutti i diritti concessi ai cittadini di religione ebraica sono stati riconosciuti anche a quelli di ogni altra confessione religiosa, in ugual misura. E sin dalla sua fondazione, Israele si e' configurato come Stato laico, con una separazione netta tra religione e Stato. L'Ebraismo non e' la "religione di Stato" in Israele.
Ogni cittadino arabo che viveva in territorio israeliano si e' visto riconoscere gli stessi diritti in materia di istruzione, di sanita', di sicurezza e di rappresentanza politica concessi ai cittadini ebrei. Non stupisce, quindi, che la percentuale di Arabi nella Knesset (il Parlamento) e nelle universita' e' uguale alla percentuale della popolazione della medesima confessione.

Vi sono Arabi Musulmani parlamentari, campioni sportivi, imprenditori, artisti, attori, consiglieri comunali, funzionari pubblici, ministri, ambasciatori, professori universitari e persino Arabi Musulmani che servono nell'IDF, l'Esercito Israeliano.
Un Arabo cristiano e' anche Giudice della Corte Suprema.
Del resto, non e' un segreto che in materia di diritti civili e di tenore di vita, le condizioni degli Arabi Palestinesi in Israele sono ben piu' elevate che in tutti i Paesi Arabi del Medio Oriente: i Palestinesi in Libano non possono essere titolari di un conto in banca, ne' aprire un'attivita' intestata a loro nome. Non godono di diritti civili (questo nemmeno in Giordania), non votano, non hanno rappresentanti -- nemmeno nominati dall'alto -- presso le Autorita'.

Si consideri, inoltre, che si e' tenuto un referendum tra le popolazioni arabe israeliane di confine, in cui si chiedeva loro se volessero passare con l'Autorità Palestinese: la maggior parte di loro (circa 80%) ha detto di no, adducendo come principale motivazione quella che, pur sentendosi Palestinesi, volevano rimanere in un regime democratico e con un tenore di vita migliore.

Da quanto detto, e' ragionevole concludere che l'idea di un presunto regime di apartheid israeliano sia infondata come, d'altro canto, una semplice visita di qualche giorno in Israele potrebbe facilmente confermare.

Cio' premesso, Israele e' terra di asilo politico per le minoranze perseguitate di tutto il Medio Oriente: omosessuali arabi, artisti arabi "non allineati" e femministe arabe "fastidiose", minoranze religiose come i Baha'i (che in Israele hanno il loro centro mondiale) o i Musulmani Ahmadi, che subiscono persecuzioni nei loro Paesi mediorientali di origine, chiedono ed ottengono asilo politico in Israele.
Forse non e' un caso che le organizzazioni di gay e lesbiche considerino Tel Aviv una delle citta' piu' gay-friendly al mondo (anche se Israele sta diventando molto meno disponibile a concedere asilo politico ai gay di Gaza e della Cisgiordania che non abbiano per partner un cittadino israeliano).
Una posizione controversa e molto dibattuta anche dall'opinione pubblica israeliana, perche' in Palestina gli omosessuali (e chi si schiera dalla loro parte) rischiano la vita. Alcuni pero' ritengono che non sia nemmeno ragionevole caricare sulle spalle di Israele i problemi dei diritti civili di tutti i Paesi Arabi del Medio Oriente. In ogni caso, e' evidente che si tratta di un normale dibattito democratico al quale nessun Paese sviluppato europeo, inclusa l'Italia, puo' dirsi estraneo.
4. Israele tiene sotto assedio le minuscole terre che i Palestinesi sono riusciti a strappare all'invasore e, grazie ad una superiore potenza militare, perpetra l'occupazione militare di quelle terre.
A seguito dell'applicazione del Piano di Disimpegno Unilaterale Israeliano, Israele si e' ritirato dalla West Bank e dalla Striscia di Gaza nell'estate del 2005.
Attualmente (Gennaio 2013), non c'e' un solo soldato israeliano ne' mezzo militare israeliano, ne' in tutti i territori sotto il controllo dell'Autorita' Palestinese nella West Bank, ne' nella Striscia di Gaza.

L'espressione "occupazione militare", pertanto, e' del tutto infondata, posto che la parola "occupare" comporta necessariamente che qualcuno sia li' a farlo.

Inoltre, i Governi palestinesi della West Bank e di Gaza detengono il pieno controllo dei propri confini, ne' piu' ne' meno di ogni altro Stato sovrano.
Tutte le recinzioni, i muri, i check-point gestiti dall'Esercito Israeliano riguardano esclusivamente il flusso di persone verso e da Israele.
Quello che solitamente viene omesso, quando si parla di "controlli e barriere sioniste", e' che tali barriere circondano e racchiudono Israele, non i Territori Palestinesi.
E' Israele che, per evidenti ragioni di sicurezza, si e' "chiuso dietro un muro".
Israele non ha "chiuso dentro i Palestinesi". Casomai, li ha "chiusi fuori": le frontiere che i Territori Palestinesi hanno con Stati terzi -- ad esempio, quello Gaza-Egitto o quello West Bank-Giordania -- sono sotto l'esclusivo controllo palestinese (e difatti e' da li' che entrano armi).

Di conseguenza, anche l'espressione "assedio" appare priva di senso in questo contesto, posto che non si capisce come si "assedia" qualcuno chiudendosi a chiave in casa propria.
Dall'esame dei fatti, e' evidente che cio' che sta a cuore al Governo israeliano e' la sicurezza interna dei propri cittadini, non certo "l'isolamento territoriale dei Palestinesi", che possono invece andare liberamente ovunque... fuoche' verso Israele, chiaramente.
5. Israele sfrutta tutte le risorse del Medio Oriente, tenendo alla fame ed alla sete sia la Cisgiordania che, soprattutto, la Striscia di Gaza, schiacciata e ridotta in miseria da un embargo sionista illegale ed immotivato.
Per colpa di Israele, la popolazione della Striscia di Gaza e' costretta a vivere in un perenne stato di emergenza umanitaria che i limitati aiuti internazionali che l'embargo sionista lascia filtrare possono solo mitigare.

L'embargo israeliano sulla Striscia di Gaza non riguarda i generi alimentari, che possono passare in quantita' illimitate (previa ispezione, ovviamente). L'embargo riguarda solo le armi, alcuni materiali da costruzione, alcuni materiali plastici e metallici ed alcuni carburanti (non tutti: il diesel, ad esempio e' ammesso), oltre ad alcuni fertilizzanti chimici esplosivi, come quelli a base di nitrato di potassio.
E' disponibile sul sito del CoGAT (il Coordinamento Israeliano delle Attivita' Governative nei Territori) un rapporto settimanale con le quantita' e tipologie di beni che sono transitate verso Gaza, passando attraverso i valichi di terra sul confine israeliano.
Il sito e' anche una fonte di informazioni aggiornate sul supporto medico sanitario che Israele fornisce ai Palestinesi.

Quanto ai beni proibiti, la ragione per cui certi materiali sono sottoposti ad embargo e' perche' con essi si possono costruire armi artigianali, come i famigerati razzi Qassam, composti da strutture tubolari in metallo o persino in PVC, con un'ogiva esplosiva contenente anche schegge di metallo, per massimizzarne l'effetto letale.

I famosi tunnel sotto il confine egiziano attraverso i quali -- secondo Vittorio "Vik" Arrigoni -- i Palestinesi importavano "beni di prima necessita', per sopravvivere all'embargo israeliano" in realta' servivano e servono per far entrare nella Striscia di Gaza soprattutto armi (esplosivi, parti di missili, lancia granate, componenti di piattaforme mobili, eccetera), per lo piu' di provenienza iraniana.

Infatti, oggi Hamas controlla il confine tra Gaza e l'Egitto e, dato che il clima politico in Egitto e' mutato a favore dei Palestinesi dopo la vittoria dei Fratelli Musulmani (scrivo nel 2013), non vi sarebbe alcun motivo per utilizzare ancora quei tunnel, se il fine fosse davvero quello di importare solo viveri: i valichi doganali regolari, anche quelli al confine con Israele, ne consentirebbero il transito.
Hamas, invece, lavora alla ricostruzione dei tunnel giorno e notte, perche' ha bisogno di quei passaggi nascosti ad occhi indiscreti per continuare ad importare armi da utilizzare per colpire obiettivi civili nel Sud di Israele.

Curioso come gli stessi tunnel vengano oggi utilizzati per l'importazione di droghe illegali consumate dai giovani di Gaza, alcuni dei quali ormai disillusi da Hamas (diversamente dai nostri).
In risposta, Hamas ha messo in campo tutta la brutalita' di cui e' capace per combattere la piaga della droga nella Striscia di Gaza.

Per quanto riguarda l'emergenza umanitaria a Gaza, una semplice visita della Striscia dimostrerebbe come non c'e' piu' poverta' di quanta ve ne sia in una qualsiasi citta' araba o persiana del Medio Oriente.
A Gaza entrano ogni mese quantita' rilevanti di cibo ed altri beni, a Gaza si inaugurano centri commerciali, si costruiscono belle ville, aprono ristoranti gourmet, hotel a cinque stelle, ed i mercati sono pieni di merci proprio come in una qualsiasi citta' mediorientale.
Certo, come ovunque in Medio Oriente, c'e' anche poverta'; ma l'espressione "emergenza umanitaria", come se si trattasse del Darfour, appare del tutto strumentale e completamente fuori luogo.
6. Il processo di democratizzazione del Medio Oriente non potra' mai aver luogo, sino a quando la potenza occupante sionista non verra' eliminata.

Probabilmente e' vero l'esatto contrario. Non si capisce davvero in che modo Israele -- una democrazia parlamentare in mezzo a regimi totalitari (per giunta, attualmente interessati da una fase di radicalizzazione religiosa) -- potrebbe trarre vantaggio dall'ostacolare un ipotetico processo di democratizzazione in quegli stessi Paesi.
E' invece altamente probabile che la presenza di Israele rappresenti il principale ostacolo alle mire egemoniche (se non espansionistiche) in Medio Oriente dell'Iran sciita (sino a qualche mese fa, avrei indicato anche la Siria e l'Egitto, ma la situazione creata dalla cosiddetta primavera araba e' ancora troppo fluida per capire cosa succedera') o dell'Internazionale Wahabita Sunnita (quella che in tanti chiamano, semplicemente, "Al Qaida").
Senza gli Ebrei e senza i regimi laici mediorientali venutisi a creare a partire dal secondo dopoguerra, le forze "islamiste" ("islamico-fasciste") potrebbero rapidamente consolidare la propria egemonia in Medio Oriente e stringere alleanze con tutti gli altri Paesi islamici in Asia ed Africa.
Le conseguenze di tale processo (che la primavera araba ha sicuramente contribuito ad accelerare) sono difficili da prevedere, ma comporterebbero sicuramente cambiamenti di grande portata agli equilibri geopolitici, interessando in primo luogo i Paesi occidentali europei.

Tra l'altro, Israele spende il 7% del proprio PIL (oltre 16 miliardi di US $ l'anno) per difendersi dai Paesi totalitari che lo accerchiano e non ricaverebbe altro che vantaggi da una maggiore distensione.

L'ipotesi bislacca che "l'eliminazione di Israele innescherebbe un grande processo di rinnovamento laico e socialista nel mondo arabo" e' un'affermazione di pura propaganda che non ha davvero alcun fondamento nell'attuale realta' del Medio Oriente, in cui invece si stanno affermando culture religiose pre-illuministiche che non riconoscono i diritti umani, l'uguaglianza tra tutti gli uomini o la parita' uomo-donna.
7. Le pretese territoriali gia' di per se' illegali, immorali ed ingiustificate di Israele diventano davvero assurde quando si tratta di Gerusalemme Est, non solo legittima capitale dello Stato Palestinese oppresso ma anche Terza Citta' Santa dell'Islam, per via della presenza del Duomo della Roccia (moschea di Al Aqsa) e perche' ritenuta dai Musulmani la citta' da cui Maometto ascese al cielo.
Quello israeliano, quindi, non e' solo un insulto "politico" al Popolo di Palestina, ma anche religioso a tutta la Comunita' Islamica.

A parte l'affermazione "terza citta' santa dell'Islam" in se' (ma quante citta' sante ha l'Islam?), lo status di citta' santa islamica per Gerusalemme e' un concetto vago e senza alcun elemento fondante, ne' sul piano storico ne' su quello, ben piu' aleatorio, della religione.

Inizialmente, quando il Profeta Maometto era ancora agli inizi della predicazione, i fedeli dovevano pregare rivolti verso Gerusalemme e non verso La Mecca. La ragione di questa scelta e' che all'inizio (e per lungo tempo) Maometto ha cercato di farsi accettare come profeta dalle popolazioni ebraiche che nel VII secolo popolavano ancora la Penisola Arabica. A seguito dell'ostinato rifiuto degli Ebrei di includere Maometto nell'elenco dei loro profeti, Maometto cambio' la direzione della preghiera verso La Mecca e, sul finire della propria vita, maledisse tutti gli Ebrei e ne impose l'espulsione dalla Penisola Arabica (l'antisemitismo islamico ha profonde radici coraniche, purtroppo).

La sacralita' della citta' per i Musulmani deriverebbe da un racconto post-coranico secondo il quale il Profeta Maometto sarebbe asceso al cielo proprio da Gerusalemme (il che -- anche tralasciando l'elemento religioso dell'ascensione -- e' bizzarro, visto che tutti sanno che Maometto mori' nella Penisola Arabica, a Medina, distante oltre 900 km in linea d'aria e diversi giorni di viaggio a dorso di cammello da Gerusalemme).
In realta', solo molti anni dopo la morte del Profeta Maometto, il ribelle Abdallah ibn al-Zubayr si oppose agli Hajj, gli allora reggenti della fede, conquisto' parte della Penisola Arabica e proibi' agli Hajj ed ai loro seguaci di accedere a La Mecca ed alla Roccia Sacra.
Di conseguenza, gli Hajj designarono un sito sacro alternativo tra le citta' sotto il proprio controllo scegliendo, appunto, Gerusalemme. Fecero quindi costruire la Moschea di Al Aqsa (il Duomo della Roccia) proprio sul sito in cui sorgeva l'ormai distrutto Tempio di Gerusalemme, di cui oggi rimangono solo rovine (universalmente note come "Muro Del Pianto").

Il Monte del Tempio, luogo sacro ebraico su cui sorgono sia il Muro del Pianto che la Moschea di Al Aqsa, e' utilizzato dai Palestinesi anche per fare picnic e giocare a calcio, proprio sulla "sacra" spianata delle moschee.
Si ricorda inoltre che, durante gli attacchi da Gaza del Novembre 2012, Hamas ha lanciato razzi anche contro Gerusalemme, a riprova della reale considerazione in cui i Musulmani tengono la citta' ed i suoi siti sacri.
Un simile attacco da parte musulmana contro La Mecca o Medina (rispettivamente la prima e la seconda citta' santa dell'Islam) sarebbe assolutamente inconcepibile.

Ma la principale fonte a sostegno della tesi che Gerusalemme non sia altro che una delle tante citta' strategicamente importanti per l'Islam, come lo sono (o sono state) anche Istanbul o Damasco, viene proprio dal Corano.
- Gerusalemme e' citata nella Torah oltre 650 volte;
- Gerusalemme e' citata nei Vangeli oltre 140 volte;
- Gerusalemme e' citata nel Corano... Neanche una volta. Zero.
Tutti gli accadimenti coranici si svolgono nella Penisola Arabica, che il Profeta Maometto non ha mai lasciato, per tutto il corso della predicazione.

Inoltre, esistono ben due sure del Corano (la sura 5:21 e la sura 17:104) nelle quali si dice chiaramente che Allah ha assegnato la Terra Santa agli Ebrei ed alla loro discendenza.
Io non sono certo un esperto di religioni ma, in termini strettamente logici (del tutto inapplicabili ad un ambito emotivo e contraddittorio come la fede), i Musulmani che vogliono "ributtare in mare" gli Ebrei Israeliani sarebbero... apostati.

D'altra parte, e' oltremodo evidente che Gerusalemme e' la citta' santa degli Ebrei, come anche la citta' santa dei Cristiani, per via della presenza del Santo Sepolcro e perche' molti degli episodi della predicazione di Gesu' si sono svolti la' (inclusa la sua morte).
Da molti secoli, tuttavia, i Cristiani hanno rinunciato definitivamente (si spera) a qualsiasi pretesa di sovranita' territoriale sulla citta', nonostante a Gerusalemme esistano da oltre mille anni un quartiere cristiano e, da diversi secoli, anche un quartiere armeno, anche oggi popolati da fedeli di tutte le confessioni cristiane; e la presenza del Santo Sepolcro e dei Cristiani nella citta' e' attestata e documentata essere risalente ad epoche ben antecedenti alla nascita stessa della fede islamica.

Dopo l'analisi storica e religiosa, veniamo alle argomentazioni politiche.
La Risoluzione ONU n.181 conferiva a Gerusalemme lo status di citta' aperta, senza assegnarla ne' ad Israele ne' alla Palestina. Ne' all'uno ne' all'altro stato.
Gli Israeliani, si sa, hanno accettato quella risoluzione, mentre gli Arabi no ed hanno dichiarato guerra agli Ebrei. In base a che cosa, oggi, i Palestinesi (e gli Arabi in genere) si arrogherebbero il diritto di avere Gerusalemme Est come loro capitale? In base ad una Risoluzione che hanno rigettato o in base ad una guerra di distruzione lanciata da loro che hanno perso?

Per ben tre volte, Guerra Arabo-Israeliana del 1948, Guerra dei Sei Giorni del 1967 e Guerra dello Yom Kippur del 1973, i Paesi Arabi confinanti con Israele hanno stretto accordi segreti tra loro, hanno ammassato truppe lungo tutte le frontiere ed invaso Israele con l'obiettivo dichiarato di spazzarlo via dalla faccia della terra.
L'ultima volta lo hanno aggredito di sorpresa, senza neppure dichiarargli guerra prima, e proprio nel giorno dell'anno in cui non funziona niente e tutto e' chiuso, perche' e' il giorno in cui ciascun credente e' chiuso in se stesso e chiede perdono a Dio; un attacco da codardi, si direbbe, se le menti di molti non fossero annebbiate dall'"eccezione palestinese", quella tentazione di giustificare qualsiasi cosa i Palestinesi facciano contro gli altri e contro se stessi, non importa quanto grave.
Gli Arabi hanno negato ogni possibilita' di negoziato su Gerusalemme: hanno direttamente mosso guerra, per lasciare che fossero i fucili a stabilire come stessero le cose.

Comunque, allo scoppiare della Guerra dei Sei Giorni, le truppe giordane che occupavano Gerusalemme Est attaccarono quelle ebraiche, che controllavano Gerusalemme Ovest, ma in poco tempo furono respinte e scacciate fuori dalla citta', che fini' sotto l'esclusivo controllo di Israele.
E' interessante sottolineare che proprio il Monte del Tempio, il luogo piu' sacro per la fede ebraica, fu invece lasciato nelle mani di un consiglio islamico, un cosiddetto Waqf, a riprova del fatto che, con la conquista di Gerusalemme Est, Israele non intendeva far perdere alla citta' la propria connotazione multi-etnica e multi-religiosa.
Inoltre, Israele ha accordato ai cittadini arabi di Gerusalemme Est il diritto di richiedere la cittadinanza israeliana o di mantenere comunque la residenza a Gerusalemme, anche per chi non opta per la cittadinanza: ad oggi, il 93% degli Arabi di Gerusalemme Est ha la residenza permanente ed il 5% ha chiesto ed ottenuto anche la cittadinanza israeliana. Chi non vuole la cittadinanza, ha comunque il diritto di votare alle elezioni amministrative di Gerusalemme ed ha diritto al servizio sanitario israeliano.

A parte tutto cio', anche chi considera illegittima la presenza israeliana a Gerusalemme Est chiamandola "occupazione" (pur se risultato di una legittima guerra di autodifesa), ha qualche difficolta' a far passare la tesi che Gerusalemme Est sia di sovranita' Palestinese perche', semplicemente, nessuno ha mai stabilito che Gerusalemme Est fosse territorio dei Palestinesi. Neppure la famosa Risoluzione (non vincolante) dell'Assemblea ONU n.2253 del 1967, che si limita solo a chiedere ad Israele di ritirarsi da Gerusalemme Est ed al Segretario ONU di relazionare sul ritiro israeliano: non una parola sulla sovranita'.
E difatti, l'opinione giuridica prevalente e' che Gerusalemme Est sia un "territorio a sovranita' indefinita".
8. Israele usa sistematicamente la forza per far valere le proprie ragioni illegali.
Israele ricorre sistematicamente, nell'ordine:
  1. agli inviti;
  2. ai negoziati / accordi / compromessi;
  3. alle proteste formali;
  4. agli appelli alla Comunita' Internazionale;
  5. agli avvertimenti ripetuti;
  6. infine, se nient'altro funziona, alle armi;
Questa e' la sequenza che si e' ripetuta, sempre uguale, dalla fondazione dello Stato di Israele sino ad oggi.
Dalla mano tesa agli Stati Arabi confinanti nel testo della Dichiarazione di Indipendenza ("lavoriamo insieme in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente"), a cui la Lega Araba ha risposto con le pallottole e le minacce di sterminio, sino al recente strike aereo su Gaza del Novembre 2012, seguito a mesi di (inutili) proteste per i lanci di razzi palestinesi contro obiettivi civili nel sud di Israele (oltre 1.400 in un anno), passando per i tanti, tanti, negoziati con la Giordania, la Siria, l'Egitto, il Libano e, ovviamente, l'OLP.

Anche a volerla mettere giu' in modo brutale, se forse Israele non e' il solo Paese del Medio Oriente a volere davvero la pace, e' certamente il Paese del Medio Oriente che dalla pace ha piu' da guadagnare.
Come gia' anticipato, Israele e' costretto a spendere una quota considerevole del proprio Prodotto Interno Lordo (oltre 16 miliardi di US $ l'anno, pari a quasi il 7% del suo P.I.L.) per difendersi da nemici che lo accerchiano da tutti i lati e non ricaverebbe altro che vantaggi da una maggiore distensione. Figurarsi dalla pace.
Come termini di confronto, si consideri che gli USA spendono poco meno del 5% del P.I.L. nella difesa, la Russia il 4%, l'Italia circa l'1,7%, la Francia meno del 2,5% e la Cina meno del 2%.
Israele ha stipulato accordi di pace con la Giordania e con l'Egitto ed ha provato a negoziarne con tutti i suoi vicini, soprattutto con quelli piu' prossimi: i Palestinesi. Sfortunatamente, in questi casi, la risposta sinora e' stata solo "NO".
9. Il controllo sionista dei media, attraverso la lobby della TV e della carta stampata, impedisce al mondo di vedere cosa Israele fa davvero ai Palestinesi.
Questa che Israele e/o la fantomatica "Internazionale Sionista" abbiano il controllo dei media e' probabilmente la regina di tutte le bufale della propaganda anti-israeliana.
Basta andare su Google e digitare "Israel Palestine conflict" e poi contare quanti risultati adottano il punto di vista palestinese e quanti invece quello israeliano.
Per contare i primi, vi consiglio di portarvi una calcolatrice, ma fate voi.

La bufala ha origini antiche, tuttavia: risale ad un'epoca pre-internet e dipende dal fatto che nell'industria americana del cinema e dell'entertaining in genere (industria discografica, televisiva, nel teatro, nel porno, ecc.) il numero degli Ebrei e' piu' elevato che in altri settori.
Ed e' vero.
E la ragione, piuttosto ovvia, e' che l'emigrazione ebraica verso gli USA e' avvenuta storicamente piu' tardi di quella di altri gruppi etnici dall'Europa: era naturale, quindi, che gli Ebrei americani cercassero di affermarsi nelle nuove industrie nascenti (appunto, quelle dello spettacolo e dell'entertaining), posto che in quelle piu' tradizionali gli spazi disponibili erano molto piu' limitati.

Tornando ad Israele, esistono cosi' tante riprove della totale inettitudine israeliana nella gestione della propria immagine mediatica o, quantomeno, della evidente inferiorita' di Israele nel presentare il proprio punto di vista sui fatti, rispetto ai Palestinesi, che davvero non si capisce da dove un'affermazione come "Israele controlla i media e non ci fa vedere tutto" possa mani venire (tranne che dalla propaganda, ovviamente).

Si prenda, ad esempio, il caso della Mavi Marvara: la distorsione dei fatti contro Israele e' tale che persino un'agenzia di stampa importante come la Reuters ha truccato le foto scattate a bordo dell'imbarcazione, rimuovendo i coltelli dalle mani dei cosiddetti "pacifisti".
I principali network televisivi americani (quelli che sarebbero controllati dalla fantomatica "Internazionale Sionista") sistematicamente riportano come vittime palestinesi quelle che in realta' sono vittime di conflitti in altri Paesi, ove non vere e proprie sceneggiate, secondo lo stile ormai noto come "Pallywood".
Queste immagini sono ovunque sui siti dei media e sui social network e vengono ancora oggi spacciate come vere, nonostante siano state gia' smascherate da tempo.

Il fenomeno e' talmente esteso e la "disfatta mediatica israeliana" talmente evidente che ormai esistono siti internet, come "The Second Draft" dedicati apposta all'analisi della distorsione nelle notizie -- non solo in Medio Oriente, ma e' chiaro che Pallywood rappresenta una parte importante del loro database.
10. Israele stipula accordi con i Palestinesi che poi non rispetta mai.
Mediante l'uso della forza, Israele si prende gioco della Comunita' Internazionale e delle Risoluzioni ONU che assegnano quelle terre ai Palestinesi.

Questa affermazione nasce dal fatto che, a detta della propaganda, esiste una lunga lista di Risoluzioni ONU che "condannerebbero" azioni commesse da Israele. Questa lista viene spesso utilizzata dalla propaganda anti-israeliana per sostenere la tesi che, nella storia del Medio Oriente, gli Israeliani svolgerebbero sempre la parte dei cattivi ed i Palestinesi sempre quella dei buoni e delle vittime.
Ma e' davvero cosi'?
Per rispondere seriamente a questa domanda, temo proprio che sia necessario analizzarle una per una (eh si'; la propaganda a volte obbliga a fare certe cose).
Essendo un discorso lungo, ho preferito riportare l'analisi delle Risoluzioni ONU in un post dedicato (di cui riporto qui il link), perche' se no sarebbe venuta una tabella con una colonna lunga un chilometro.
Qui mi limitero' a riportare le conclusioni, che potete trovare anche nel post dedicato, insieme all'analisi dettagliata.
In realta', solo 17 delle 65 risoluzioni ONU (appena 1/4) -- ad un'analisi attenta -- risultano essere effettivamente "contro" Israele e, di queste, 10 sono relative all'esilio temporaneo di alcuni Palestinesi (alcune di queste sono meri richiami a Risoluzioni precedenti), 4 agli espropri delle case e terre nei territori contesi e solo 3, invece, a veri fatti di sangue (relativi all'assedio di Beirut ed alla Prima Intifada).
Inoltre, nessuna delle suddette risoluzioni "assegna" alcunche' ai Palestinesi; ne' mai potrebbe, posto che la Palestina ed i Palestinesi hanno raggiunto una sovranita' nazionale solo molto di recente. Quando si tratta di indicare a chi Israele avrebbe strappato quelle terre contese (cioe' a Siria, Giordania ed Egitto, e sempre a seguito di guerre di autodifesa) l'ONU si limita a... glissare con formule vuote e mezze frasi, per evitare di mettere i Palestinesi completamente fuori gioco. L'ONU non puo' fare altro.
Si rimanda alla lettura di quest'altro post per i dettagli.

Alla fine di questo lungo post in cui ho contrapposto preconcetti a fatti documentati, voglio dire una sola cosa: sia chiaro che io non mi illudo di spostare minimamente le opinioni di nessuno.
Mi auguro soltanto che chi legge possa far uso di questo post per rendersi conto del modo superficiale e dogmatico, quasi fideistico, con cui si formano le opinioni della gente, anche su temi di grande importanza.
Non spero altro. I ranghi delle opposte "tifoserie" resteranno serrati.
Del resto, diceva il grande Albert Einstein che "e' piu' facile spezzare un atomo che un pregiudizio".
Chi se la sente gli dia pure torto.
Io resto a guardare, stavolta.

Saluti,

(Rio)