GA_TagManager_Container

sabato 15 ottobre 2011

Indignados, torti e ragioni [1] - Il default

Salve.

In queste ore, migliaia di giovani stanno sfilando e manifestando nelle strade e nelle piazze delle principali città italiane e di altre città del mondo, per protestare contro l'immobilismo politico, l'iniquità o l'inefficacia delle misure anti-crisi varate dai governi dei Paesi industrializzati.

La manifestazione di protesta ha ricevuto in queste ore la solidarietà non solo di svariati personaggi del mondo politico italiano, sempre a caccia di consensi, ma anche del Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, appena due settimane prima della sua nomina a Governatore della BCE, la Banca Centrale Europea. In particolare, in più di un'intervista Draghi riconosce che non esiste alcuna ragione da parte dei giovani per accettare l'attuale stato delle cose.

Oggetto principale della protesta sono le banche e la finanza in generale, colpevoli -- a detta dei manifestanti -- di favorire l'arricchimento dell'1% della popolazione causando l'impoverimento del rimanente 99% attraverso un meccanismo di creazione ed alimentazione del debito, in particolare del debito pubblico.

Sin qui, per me, nulla di più condivisibile: resto anch'io perplesso dinanzi ai paradigmi della logica del "too big to fail", che prima ha permesso a grandi istituti di credito ed assicurativi di arricchirsi costruendo e rivendendo prodotti finanziari derivati il cui rischio è stato scaricato sul compratore in modo  -- come dire? -- non esattamente trasparente; e poi, quando il gioco è saltato, ha obbligato gli Stati ad intervenire per salvare tali istituti con massicce iniezioni di capitale pubblico, cioè di tasse dei contribuenti.

Non voglio nemmeno entrare nel merito dell'assurdità di concedere cospicui bonus (sempre pagati con il denaro pubblico!) ai dirigenti di questi istituti; un gesto che personalmente considero pura pazzia.
E lo dico da liberista. Davvero mi sfugge la logica per cui, se uno mi manda a quarantotto l'intero sistema finanziario, io debba elargirgli un bonus, invece che un calcio nel sedere.
Questo non è né capitalismo né liberismo: questa è semplicemente una presa in giro; pagata da noi, per giunta.

Ben venga, quindi, la protesta e l'indignazione, affinché la politica finalmente si schiodi dalle proprie beghe interne, sempre più irrilevanti agli occhi del Paese, e si decida a superare l'immobilismo attuale, orientandosi verso un qualche tipo di soluzione.

Tuttavia, con l'Italia il problema -- neanche a dirlo -- si complica.
E si complica perché la protesta è stata immediatamente presa in mano, nel migliore dei casi, da gruppi della Sinistra antagonista ed anticapitalista; nel peggiore, dai sostenitori di tesi pseudo-scientifiche e cospirazioniste.
Ed è qui che iniziano i guai.

In questa serie di post (il secondo, dedicato al tema dell'uscita dall'euro, è qui), mi propongo di affrontare uno per volta i temi e gli slogan più popolari tra gli Indignati, analizzandone la fattibilità.

Cominciamo con un classico dei classici: il default.
Quello del default dello Stato è uno degli argomenti più rilanciati dai cortei, perché è visto come uno strumento utile per giungere alla ristrutturazione del debito pubblico. Di che si tratta?
In pratica, lo Stato Italiano dichiara bancarotta e quindi si dice nell'impossibilità di ripagare il debito pubblico accumulato, se non in piccola parte. Di conseguenza, chiede la cancellazione di parte del debito ai suoi creditori interni ed esteri: come dire, che se prima ti dovevo "100", facciamo che da oggi ti devo solo, che so, "40".

Qualcuno penserà che così facendo rischiamo di passare per cattivi pagatori agli occhi di tutti gli investitori d'Italia e del mondo i quali, dopo aver comprato i nostri bei BOT a "100", improvvisamente si ritrovano in mano con dei prodotti che valgono solo "40" (così, per decreto); per cui c'è il rischio che alla prossima emissione di titoli di Stato ci rispondano tutti "comprateli te" e così noi non incassiamo un centesimo, a meno di non promettere interessi ancora più alti e, quindi, di inguaiarci ancora di più con i debiti.
(N.B. Per semplicità, permettetemi di chiamare ironicamente questo risultato "effetto comprateli te")

E allora ecco che dall'incredibile fantasia al potere dei manifestanti emerge una cosa nuova: il "default selettivo". In pratica, i BOT in mano alle famiglie non vengono decurtati, mentre quelli nelle mani di aziende, istituti di intermediazione, fondi di investimento, invece, sì.

Peccato che la stragrande maggioranza dei titoli pubblici sia nelle mani proprio di questi ultimi, e che spesso i loro BOT decurtati -- vuoi direttamente, o attraverso la creazione di prodotti derivati -- finiscano anche nei fondi pensione, nei piani di accumulo o nei piani di gestione patrimoniale di privati cittadini, per cui:
  • L'effetto "comprateli te" non viene attenuato più di tanto: i titoli comunque non si vendono più come un tempo.
  • Molti privati cittadini continuano a rimetterci tanto quanto prima, perché i titoli decurtati finiscono anche nei prodotti finanziari in loro possesso.
Inoltre, i titoli di stato si vendono e comprano liberamente sul mercato mobiliare. Con eccezione della Banca d'Italia, che non può acquistare titoli di stato al momento dell'emissione (cioè non può acquistarli direttamente dallo Stato), tutti gli altri soggetti possono acquistare, e di fatto acquistano, titoli sul mercato.
E allora che succede se, ad esempio, un titolo non decurtato in mano ad un cittadino finisce con l'essere rivenduto ad un'impresa privata?
In condizioni normali di mercato non farebbe differenza a chi il titolo viene venduto, ma in questa situazione di due pesi e due misure, non si capisce se il valore nominale di questo titolo andrebbe decurtato, ora che è passato nelle mani di una "malvagia azienda pluto-liberista" oppure può rimanere com'è.

Perché, se rimane com'è, si è trovato un modo per le imprese di aggirare il gioco: lasciare che i BOT li acquistino i privati, per poi ricomprarli da loro, ritornando così in possesso del debito pubblico, con buona pace degli Indignados.
Se invece viene decurtato, be', diventa molto più difficile per i privati monetizzare i BOT (cioè venderli), qualora si presentasse una necessità di liquidità: di conseguenza, i BOT diventano un prodotto molto meno interessante per gli stessi privati, visto che un privato riesce a venderli solo ad altri privati.
In sostanza, i buoni del Tesoro diventano utilizzabili solo come investimento a lungo termine e quindi, in generale, di BOT all'asta lo Stato riuscirà a venderne  meno.
Per cui, rimane il problema: senza vendere buoni del Tesoro, lo Stato come si finanzia?

Ma non finisce qui. E sì, perché tra i soggetti privati che più investono in titoli di Stato ci sono -- attenti alla scoperta dell'acqua calda -- le famigerate banche. Una banca ha mediamente il 20% (ma alcune banche di più) del proprio portafoglio titoli in titoli pubblici.
Ora, vedendosi decurtare sostanzialmente il valore di questa parte del portafoglio, secondo voi la malvagia banca che farà? Be', io direi che cercherà di correre ai ripari, chiedendo di rientrare subito ai suoi clienti, cioè alle imprese che hanno chiesto prestiti ed ai privati che hanno acceso mutui.
Quello che succede adesso dipende da diversi fattori, per cui ci sono più scenari ipotizzabili, ma i principali sono due:
  1. imprese e privati, rifiutandosi di rientrare (anche perché oggettivamente non possono), si rivolgono alla magistratura, appellandosi in base a questa o quella norma o regolamento, e la cosa può finire male per tutti, perché le banche a quel punto si rifiuteranno di concedere prestiti alle condizioni vigenti, che diverranno -- di colpo -- molto più onerose. Per tutti.
  2. oppure, semplicemente, i debitori che ce la fanno rientrano e gli altri invece vengono dichiarati falliti. I beni di aziende e privati vengono pignorati ai sensi di legge.
Scegliete voi lo scenario che vi aggrada di più. In entrambi i casi, la quantità di denaro prestata diminuirà drasticamente e le ripercussioni negative sul clima dei mercati e dell'economia in generale saranno rilevanti.

Ricapitoliamo:
  • uno Stato che non riesce più a vendere titoli del Tesoro;
  • un Paese già nei guai e che vede contrarsi ulteriormente l'economia nazionale, anche per effetto di una stretta creditizia; 
  • un sistema bancario che non si fida più di nessuno e pretende condizioni più difficili da soddisfare;
  • una serie di imprese dichiarate fallite;
  • altre imprese che devono prendere a prestito il denaro per lavorare ad un costo molto più elevato di prima;
  • e, per finire, un gran numero di privati cittadini non benestanti che si ritrova con le case ipotecate.
Un risultato niente male per la fantasia al potere, vero?
Ma facciamoci del male: andiamo ancora avanti.
Che succede dopo? La cosa più ovvia, visto l'elenco precedente, è che lo Stato -- non riuscendo più a vendere tanti BOT quanti ne vendeva prima -- finisca col non avere più i soldi per pagare le pensioni e gli stipendi degli Statali.

Cosa farà? Be', può chiedere un prestito al Fondo Monetario Internazionale, ma questo è assurdo per almeno due ragioni:
  1. vanificherebbe tutta la menata degli Indignados, perché si finirebbe con il cancellare un debito per poi coprirlo con un altro debito; un debito, tra l'altro, verso il FMI, ovvero il Male Puro, la testa dell'Idra Finanziaria Mondiale... 
  2. La seconda ragione è che il FMI non è mica Babbo Natale. Non presta soldi a vanvera. Se ti concede una somma in prestito, lo fa solo a condizione che tu elimini dal tuo sistema ogni elemento di nonsense che possa in qualche modo inficiarne la restituzione. Il FMI è un po' come il papà che ti dà la paghetta, ma vuol prima vedere che rimetti in ordine la stanza. Quindi, in sostanza, si tratterebbe di tornare ad una situazione precedente alla "Rivoluzione degli Indignados". Forse ancora più "capitalista" di quella.
E allora che si fa? Se nessuno presta i soldi allo Stato, be', lo Stato si mette a stampare cartamoneta. Ma con l'euro non si può. E' la BCE, e solo la BCE, che ha l'autorità di disporre i quantitativi di euro stampati dai vari Paesi ogni anno.

Quindi, non rimane che uscire dall'euro.
Questa è una delle richieste, ad esempio, degli Indignados greci. Ma con un'economia debole come quella italiana o greca, ritornare alla lira o alla dracma significa reintrodurre una valuta estremamente svalutata, rispetto all'euro. Per la serie: che nessuno si sogni di rivedere la lira a quota 1.936,27 sull'euro, con l'economia disastrata che abbiamo oggi! Un euro oggi varrebbe molto di più: diciamo 3.000 lire, ad esempio.

L'Italia, si sa, non è un Paese produttore di molte materie prime essenziali.
Provate voi ad acquistare il petrolio o il gas metano che ci occorrono, come anche qualsiasi altra merce di importazione, pagandola, di colpo, il 30% in più.
Questo vuol dire che andranno rivisti al rialzo i prezzi di quei beni prodotti con l'ausilio di quelli primari (cioè TUTTI i beni, perché quasi tutto si produce e vende utilizzando, prima o poi, energia o benzina). In breve: un'inflazione a due cifre.

Questa inflazione galoppante fa sì che il valore della "lira reintrodotta" si riduca sempre di più, portandosi ai livelli delle valute di quei Paesi africani in cui, ad esempio, ogni tre o quattro anni il prezzo di tutto raddoppia.

Non è ancora finita: esiste la possibilità concreta che molti operatori internazionali presto smettano di accettare la "lira reintrodotta" per i loro pagamenti. Di conseguenza, lo Stato è costretto prima a dar fondo alle proprie riserve di valuta pregiata e poi a conferire in garanzia il proprio oro.
Una catastrofe.

Morale della storia: questo del default è il classico esempio di teoria pseudo-scientifica che -- in tempi disperati come questi -- ha grande presa sulla gente, perché sembra offrire una soluzione semplice a problemi in realtà molto complessi.
Tutte queste teorie, come vedremo, si fondano su un unico principio: quello che chi legge non abbia un quadro complessivo della situazione e che sia quindi indotto a vedere solo quello che gli piace (o gli fa comodo) vedere.

Alla prossima,

(Rio)