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mercoledì 24 novembre 2010

La CGIL e l'iniziativa "Giovani NON+"

Salve.
Spesso questo blog (come altri) si e' occupato della drammatica situazione della disoccupazione giovanile in Italia, che supera ormai largamente il 30%.

Per contrastare di questo fenomeno, sono state concepite e poste in essere numerose iniziative. Tra queste, quella che che ha ottenuto maggiore visibilità e' stata senza dubbio l'iniziativa della CGIL, denominata "Giovani NON+". Una campagna inizialmente partita in modo "anonimo", con affissioni che descrivevano alcune ironiche ed inverosimili (ma mica tanto) offerte di lavoro per giovani neolaureati e neodiplomati, che ha dato poi vita ad un seguito gruppo su Facebook ed una serie di iniziative volte ad aumentare la visibilità mediatica del problema: sit-in dinanzi a sedi istituzionali, flash mob davanti alla Camera dei Deputati e cosi' via.

Intendiamoci bene: iniziative pacifiche e legali come queste volte a far si' che si parli del problema sono sempre le benvenute e rappresentano un elemento importante, in un Paese in cui la consapevolezza della gravita' della situazione e' scarsissima, persino tra i giovani che vivono tale condizione ogni giorno sulla propria pelle.

Tuttavia, anche questa iniziativa della CGIL ha evidenziato subito i limiti di tutte quelle che l'hanno preceduta e - temo - anche di molte tra quelle che la seguiranno.
Al di la' dell'indignazione (sacrosanta), al di la' delle immancabili affermazioni di principio, che non costano nulla, questa iniziativa si e' rivelata del tutto incapace di formulare proposte credibili per affrontare - non osiamo dire risolvere - il problema della disoccupazione giovanile in Italia.
Si torna, come al solito, a parlare di eliminazione degli sprechi, di lotta all'evasione fiscale, di taglio delle spese militari; il tutto al fine di finanziare un "grande progetto per rianimare il nostro Paese e rimettere in circolo le energie dei giovani". 
Tutto qui? 
Non abbiamo forse gia' sentito schiere di ministri di Centrosinistra e di Centrodestra dire cose simili molte e molte altre volte? 

Anzi, c'e' dell'altro. Tutte le volte che nella storia della politica economica italiana si e' voluto NON fare qualcosa, e' bastato stabilirne il finanziamento "a valere sui fondi rivenienti dal recupero dell'evasione fiscale". Si tratta infatti di entrate presunte, non certe, che a fine anno non riescono mai a raggiungere i livelli stimati: cosi' il gioco e' fatto. Non ci sono i soldi, non si implementa l'iniziativa.
Come mai questa volta dovrebbe essere diverso?
Molti si chiedono: "Ma in un Paese in cui i 2/3 dei contribuenti dichiara meno di 20mila euro lordi, e' possibile che non si riesca a fare una lotta seria all'evasione, neppure in una fase storica cosi' drammatica?" 
Una domanda legittima, per carità: la dimensione dell'evasione fiscale in Italia e' davvero scandalosa, inaccettabile. 

Ma quanti si sono mai posti il problema delle conseguenze economiche e sociali di una lotta vera all'evasione fiscale? Non sto parlando dei soliti numerini di cui si vanta questo o quel governo: sto parlando di una lotta SERIA, in grado di recuperare, che so, il 50% del gettito evaso. 
Sapete qual e' la verità? La verità e' che - prescindendo dalla crisi economica globale - dato che la massiccia evasione fiscale in Italia esiste da decenni, non poche aziende oggi sono talmente malmesse che restano aperte e competitive soltanto... perché evadono. Fate pagare loro davvero le tasse e molte di loro chiuderanno; o emigreranno. 

Questo, in pochi anni, oltre a produrre ulteriore disoccupazione, ridurrà drasticamente l'imponibile e saremo punto e daccapo. 

E' per questo che nessun governo ha mai fatto una lotta seria all'evasione fiscale, nemmeno negli ultimi vent'anni, quando ce n'era più bisogno: ci si limita a recuperare qualcosa per potersi vantare un po', quando conviene. 

Ma nessun pavido governo degli ultimi vent'anni vorrà mai assumersi la responsabilità politica di tali conseguenze economiche e sociali. L'opposizione avrebbe gioco facile, con accuse di "assassinio dell'Italia" e la gente, anche chi oggi chiede a gran voce la lotta all'evasione, dinanzi ad una crisi ancora peggiore di quella di oggi, darebbe credito a tali accuse.
Soprattutto nei momenti difficili, la gente dimentica in fretta anche le proprie opinioni.

Si propone la cancellazione delle norme di diritto del lavoro che consentono i contratti precari. Ma che bell'idea. Chi, come me, ha (purtroppo) l'età, ricorda bene com'era l'Italia prima della cosiddetta "Legge Biagi" e anche prima del "Pacchetto Treu" del 1995: eravamo tutti... in nero. 

Queste due misure, approvate dal Centrosinistra (Pacchetto Treu) e dal Centrodestra (Legge Biagi) erano volte proprio a favorire l'emersione del mercato nero. Cosa fa credere gli estensori della proposta che, una volta eliminate, le nostre imprese accetterebbero di assumere i precari?
I controlli a tappeto che non si sono mai fatti? E chi li paga? 
E se molte aziende, dinanzi all'impossibilita' di licenziare lavoratori "anziani" ormai poco produttivi per assumere giovani, si vedessero costrette a spostarsi all'estero? O a chiudere? O a cambiare forma, trasformando i contratti subordinati in consulenze, trascinando un intero Paese in interminabili cause civili?

L'impressione che se ne ricava e' che - ancora una volta - si cerchi solo di girare intorno ai problemi, come si e' sempre fatto in Italia, sperando che una bella mobilitazione di massa produca un'improvvisa materializzazione dei soldi necessari; quasi un fenomeno paranormale.

In passato, si badi, e' accaduto proprio questo: si e' finanziato tutto con una bella emissione di BOT a 20 anni (leggi: si sono fatti debiti sulle generazioni future) e via, tutti contenti: Confindustria, politica e sindacati. 
E' cosi' che i lavoratori "anziani" hanno ottenuto pensioni ben più elevate dei contributi che avevano versato nella loro storia lavorativa: facendo debiti su di noi. 

Questa volta, la mobilitazione di massa non farà il miracolo: i soldi non pioveranno dal cielo, ne' verranno da iniziative fatue come l'eliminazione degli sprechi, che pure va fatta, ma e' una goccia nell'oceano. 


Tutto perché non si vuole affrontare il nocciolo della questione, che e' ormai evidente ai più: una generazione, quella dei nostri padri, con l'aiuto di tutte le parti in causa, della politica, dell'INPS, della pubblica amministrazione, delle rappresentanze dell'industria, dei sindacati, ha finanziato il proprio benessere presente e futuro sulla pelle dei propri figli. 
Si sono assicurati posti di lavoro inamovibili, scaricando il peso della flessibilità - che pure e' una necessita' in ogni mercato del lavoro moderno - interamente sui più giovani. 
Si sono assicurati pensioni a bassa contribuzione ed elevato rendimento, il TFR pagato in contanti, il prepensionamento, senza pagare alcun costo per tutti questi "diritti acquisiti": semplicemente, chiedendo a noi di pagarlo per loro. 

Va da se' che le pensioni per i precari non ci saranno. Semplificando, se c'è chi ha versato "70" di contributi e poi prende "100" di pensione, necessariamente per riequilibrare il sistema ci vuole chi versi "100" e poi prenda "70"; anzi non "70", bensì "50", perché c'è anche il calo demografico, per cui i vecchi sono tanti ed i giovani pochi. 
I nostri figli, se mai ne avremo, avranno finalmente un sistema previdenziale in equilibrio; ma non noi. Noi siamo la generazione di mezzo, quella che deve risistemare le cose, che deve ovviare ai disastri dei propri padri. Noi siamo quelli che lo prendono in quel posto.

Credete che un'azienda, potendo scegliere di assumere un giovane entusiasta e qualificato al posto di un lavoratore anziano, demotivato ed "iper-sindacalizzato" non lo farebbe? Il problema e' che non può mandare a casa l'anziano, che e' inamovibile. 
Pensate che questo ricambio della forza lavoro che comporta il licenziamento dei meno produttivi sia uno scenario assurdo e crudele? 
Be', sappiate che e' cosi' che funziona il mercato del lavoro in quasi tutti i Paesi avanzati del mondo: dalla Gran Bretagna (dove vivo e lavoro io) agli Stati Uniti, dalla Germania alla Danimarca.
Io sono assunto a tempo indeterminato, ma se vogliono mandarmi via, bastano due mesi di preavviso. Punto.
Questo e' accettato dalle forze sindacali come un male necessario.

Voi direte: "Ma li' c'è il sussidio di disoccupazione, ci sono ammortizzatori sociali migliori!" 
Vero. 
Ma ci possono essere perché il Paese non si accolla (più) l'onere di pagare comunque uno stipendio ai 300mila esuberi della Pubblica Amministrazione italiana, ne' ai 10mila esuberi di RTI (ex Ferrovie dello Stato); perché il Paese non crea enti inutili fatti solo per dare posti di lavoro alla gente. 

L'Italia ha il bilancio bloccato, congelato - qualcuno dice blindato - a causa delle spese di parte corrente (cioè stipendi e pensioni) e non ci sono i soldi per finanziare alcun tipo di investimento e di iniziativa.
Altri, invece, hanno evitato certi eccessi, o sono tornati indietro, pagando anche un costo politico e sociale elevato, non crediate.

Ma e' cosi' che si finanzia la giustizia sociale e l'equilibrio tra le generazioni, nei Paesi seri: evitando di concedere troppo o tornando indietro in fretta se lo si e' già fatto.
Altro che flash mob a Montecitorio.


Saluti,


(Rio)