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domenica 31 gennaio 2010

Che cos'è davvero Facebook

Ciao.
Resto abbastanza perplesso quando su Facebook, leggendo il flusso di informazioni in bacheca, trovo spesso notifiche dell'adesione di tizio o di caio a questo o a quel gruppo strano: si va dal tipico "Scopri chi visita il tuo profilo" sino ai vari "ricevi una notifica se qualcuno fa questo o quell'altro".
La mia perplessità deriva dal fatto che la gente usa ormai Facebook da anni, ma sembra che ancora non abbia capito che cos'è veramente.

Partiamo da una considerazione banale, quasi demenziale: un servizio di social networking sarà anche gratis per gli utenti, ma costa tantissimo a chi lo offre.
Ce l'avete presente quanti server deve possedere o affittare Facebook nel mondo, per gestire il flusso di cazzate di una "popolazione" perennemente collegata (per via del fuso orario) che ormai supera abbondantemente i 350 milioni di anime (dati al Gennaio 2010)?
Per Facebook lavorano a tempo pieno oltre mille persone, tra sviluppatori, commerciali, tecnici ICT, e così via. E' gente che prende uno stipendio, mica lavora gratia et amore Dei.
Secondo voi, chi paga per tutto questo, posto che noi utenti non scuciamo un centesimo?

La risposta e' nel modello di business di Facebook, cioè nell'idea imprenditoriale che sta dietro tutto l'ambaradàn del Faccialibro.

L'idea e' la seguente: io ti offro tutto questo ben di Dio di social networking se tu, in cambio, mi dai alcune informazioni su di te.

E bada che non sto parlando solo del tuo nome e cognome (vero o finto che sia), della tua e-mail (vera o finta che sia) o del tuo indirizzo IP, numero e gestore di cellulare (se hai attivato Facebook mobile), o del fatto se sei uomo o donna, o di quanti anni hai, o di dove vivi, o di qual e' il tuo livello di istruzione, dove hai studiato e dove lavori: sto parlando di sapere DIRETTAMENTE da te tutto quello che ti piace, i tuoi interessi, ciò che cattura la tua attenzione o desta la tua curiosità.

Alcuni diranno: "Io sono a posto, perché tutti i miei dati sono finti e quella mail li' non la uso mai".

E già.
Ma che mi dici di tutti i "mi piace" che hai dato, di dove hai postato più o meno commenti, delle applicazioni che hai usato - primi tra tutti, i famosi "quiz" di Facebook(!) - di tutte le pagine e di tutti i gruppi che hai visitato (e per quanto tempo ci sei stato, e per quante volte ci sei ritornato), di tutti i gruppi a cui ti sei iscritto e gli eventi a cui hai dato o negato la tua partecipazione, eccetera eccetera?

Facebook, naturalmente, registra tutto; ma proprio tutto.
Volendo, potrebbe suddividere tutti gli utenti per classi (si dice nel gergo del marketing "segmentare"), sulla base dei loro interessi, decisi in base al modo in cui hanno visitato, che so, le pagine di viaggi ai Caraibi.
Quante foto hanno guardato? Su quali pagine si sono soffermati più a lungo? Su quali hanno lasciato un commento o un bel "mi piace"?

E cosi', anche persone che non si conoscono tra di loro finiscono con una bella etichetta in fronte, del tipo "Giovane single, maschio, Italiano, istruzione superiore, con interessi per i viaggi esotici, destinazioni di mare".

Il nome o la mail nemmeno sono indispensabili: se ci sono, e' bene; se no, visto che comunque l'utente ha un account su Facebook, possono fargli apparire le inserzioni pubblicitarie lì. Lo raggiungono così: a che servirebbe la mail? A spammarlo?

E qui veniamo al punto: ammesso che Facebook raccolga tutte queste informazioni su di noi e che le elabori per etichettarci e raggrupparci nei modi più diversi, poi che se ne fa?

La risposta e' semplice: le vende ai suoi inserzionisti, che pagano molto caro per averle.

Perché pagano caro?
Spieghiamo con un esempio: diciamo che un'azienda vuole fare pubblicità ad un suo prodotto su un giornale e per questo mette una bella inserzione con foto a pagina 3. Se il giornale ha una tiratura media di - boh - 10mila copie al giorno, ti fa pagare l'inserzione, diciamo, 2mila euri.

Solo che, di tutti i lettori del giornale, quelli a cui può importare di 'sto prodotto saranno si' e no uno su cento (quando va bene).
E allora tu spendi 2mila euri per reclamizzare il prodotto non a 10mila persone, ma solo a (10.000/100)= 100 persone appena.

Una spesa di 2mila euri per pubblicare una réclame a 10mila persone, alla stragrande maggioranza delle quali non frega un accidenti di quello che vendi; tutto questo solo perché sei costretto a "sparare nel mucchio" se vuoi acchiapparne cento, si' e no.
Non e' un grande affare, se ci pensi.

E qui entra in gioco Faccialibro.
Facebook va dai suoi inserzionisti e dice loro: "Li volete 10mila contatti SICURI di gente che e' appassionata proprio di quel genere di prodotti che volete vendere voi, che abita proprio nelle aree del paese in cui ci sono i vostri negozi, che ha questa età, questo livello di istruzione (così sapete come costruire i messaggi nelle inserzioni)? Allora tirate fuori gli euri."

E quelli di corsa!
E' come se tu potessi costruire un messaggio pubblicitario che sai che sarà letto solo da un certo gruppo di persone di un dato tipo e non da altre; anzi, puoi progettarne di diversi, per ciascuno dei differenti "segmenti" di potenziali clienti del tuo prodotto o servizio.

Come dire, vendi accessori per il fitness? Nelle inserzioni destinate a clienti di genere femminile con interessi per il fitness che abbiano dai 18 ai 23 anni, utilizzi un messaggio e contenuti adatti a quella fascia d'età, mentre per i maschi cambi tutto i messaggio e ci metti qualcosa che richiama di più l'attenzione maschile.

Questa e' la vera pubblicità mirata.

Sia chiaro che i miei sono solo esempi dozzinali, giusto per spiegarmi: nei messaggi differenziati, il livello di sofisticazione e' molto più elevato di una banale distinzione maschio / femmina.
Da noi in Gran Bretagna, ogni campagna pubblicitaria web o di mailing ha almeno una dozzina di "creatives", ovvero di messaggi differenziati: e noi vendiamo solo abbonamenti a due dei nostri quotidiani, quindi un articolo piuttosto limitato ed indifferenziato.
Immaginate cosa succede, invece, per prodotti iper-differenziati come quelli della moda!

E veniamo ora alle applicazioni.
Chi e' questa gente che fa tutte 'ste applicazioni, oppure che ne sviluppa alcune che puoi completare tu (tipo: "Crea il tuo quiz! E' facilissimo!").
Be', queste sono aziende terze (cioè non Facebook) che pagano Facebook per raccogliersi da sole i dati degli utenti.
Avete mai notato che, che so, per dirvi come sarà il vostro oroscopo Maya per il 2010, o per darvi un consiglio di Krishnamurthi, vi chiedono di autorizzare l'accesso ai vostri dati "dei quali si renderà necessaria l'elaborazione"?
Ma cosa gliene frega all'I Qing o a Krishnamurthi delle vostre informazioni personali?!?

A Krishnamurthi niente: e' pure morto da tempo.
A chi ha scritto l'applicazione (o ha creato l'applicazione su cui qualche utente ha sviluppato il "parla con"), invece, frega eccome: sta li' per questo.

E poi che fanno?
Indovinate? Le rivendono (!).
Gli inserzionisti sborsano (ad esempio, pagano un canone mensile) e gli sviluppatori delle applicazioni, in base al canone percepito, passano flussi di dati più o meno sofisticati su di voi.

Morale della favola, fateVi un piacere: e' inutile che vi iscriviate a quei gruppi che vi promettono di dirvi chi visita il vostro profilo; non perché Facebook non lo sappia, lo sa eccome.
Ma col cavolo che ve lo dice gratis, babbei.

Facebook e le aziende sviluppatrici di applicazioni per Facebook vivono di web customer journey tracking (registrazione di tutti gli spostamenti in navigazione dell'utente) e della vendita di tali informazioni.

Farvele sapere così, senza pagare, sarebbe come se un pizzaiolo si mettesse a regalare le pizze per strada. Potrebbe essere un evento promozionale, ma non una situazione stabile.

Ciao,

(Rio)