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mercoledì 27 maggio 2009

Un fiume di note nella rete.

Salve.

Si può ancora vendere musica, oggi?
E, se sì, ha ancora senso sostenere che l'acquisto sia l'unico modo legittimo per entrare in possesso di un brano musicale?

Sia chiaro: ho pieno rispetto per chi, artista o produttore, ha ancora fiducia nel mercato e continua ad investirvi risorse, ricavando profitti sempre più bassi dalla produzione e commercializzazione di musica a pagamento.
I diritti d'autore non dovrebbero mai essere violati.

Ciò nonostante, ritengo che le tecnologie dell'informazione abbiano reso obsoleti i metodi dell'industria discografica o che, quantomeno, ve ne abbiano aggiunti di nuovi sicuramente più efficaci nel contesto attuale, in cui:
  • il contenuto di qualunque supporto digitale è duplicabile con tecnologie alla portata di tutti;
  • grazie ad internet, chiunque può copiare illegalmente un brano musicale infinite volte e distribuirlo gratis in tutto il pianeta. E, che se ne dica, nessuno può realmente farci niente;
  • anche per l'incisione di un brano musicale in qualità DAT basta un computer debitamente attrezzato e non servono più studi costosissimi.
In breve, grazie ai progressi della tecnologia, sono cadute una ad una tutte le barriere economiche, tecnologiche ed organizzative che impedivano a chiunque di produrre, duplicare e distribuire liberamente musica.

Di conseguenza, vendere musica è oggi un'attività che offre profitti sempre più incerti, posto che, per ogni acquisto legale, nessuno sa con esattezza quante volte un brano venga poi duplicato e distribuito illegalmente.

Personalmente, in un futuro non cosi' lontano, io vedo artisti che faranno uscire su internet i loro album e permetteranno di scaricare le loro canzoni gratis, con finalità esclusivamente promozionali.

Ma allora di cosa vivranno gli artisti? Di aria? No, autori ed interpreti guadagneranno ancora con:
  • i diritti di pubblica esecuzione (leggi: borderò SIAE);
  • i diritti di riproduzione meccanica (leggi: bollino SIAE sui supporti registrati);
  • gli incassi dei concerti (non essendo replicabile, la presenza fisica dell'artista è la sola cosa che ancora si può vendere).
Sembra un po' poco? Be', forse guadagneranno meno di oggi, ma ci saranno anche meno intermediari con cui dividere i profitti e, soprattutto, non si pone alcuna scelta: la tecnologia ha già pronunciato la propria sentenza, più forte di qualsiasi tribunale.

Ogni triste tentativo di fermare l'incessante flusso di musica che scorre in internet è destinato ad essere presto aggirato dall'abilità di qualche programmatore nascosto in un angolo del globo e dai milioni di internauti che sfrutteranno subito i frutti del suo lavoro.

Le note corrono incontrollate nella rete e nessun accordo per la distribuzione legale ed a pagamento di brani musicali cambierà nulla: la funzione promozionale dell'album è la sola risposta sensata.

Certo, qualche manager dovrà cambiare lavoro, ma non è la prima volta che il progresso rende obsoleta una professione.

Del resto, il progresso andava benissimo quando scalzava le vecchie società di edizioni musicali, che controllavano il mercato negli Anni '30 con le stampe degli spartiti per orchestrali, a tutto vantaggio della nascente industria discografica.

Anche in quel caso, fu il progresso a porre fine all'epoca delle orchestrine e della musica dal vivo, a favore della musica registrata, più economica e riprodotta da apparecchi nuovi, chiamati giradischi ed altoparlanti.

Qualcuno forse si preoccupò, a suo tempo, della fine che fecero tutti quegli orchestrali, rimasti nel giro di pochi anni senza lavoro?

Il masterizzatore, internet e gli algoritmi di compressione sono solo la tappa finale di un lungo processo di declino dell'industria discografica, iniziato già alla fine degli Anni '60, con l'introduzione da parte di Philips della musicassetta registrabile.

In futuro, le società di produzione e, in qualche misura, anche le case discografiche avranno ancora un ruolo importante nel marketing dell'artista, ma dovranno risolvere il problema di individuare un nuovo modello di business (ovvero: una nuova fonte di profitti), posto che la vendita di musica registrata -- su supporto come su file -- sarà inevitabilmente relegata in una posizione via via sempre più marginale.

Ciao,

(Rio)