GA_TagManager_Container

domenica 8 febbraio 2009

Sua Maestà il Precariato

Ciao.
Questa volta, invece che parlare io, voglio far parlare gente piu' seria di me, attraverso i quotidiani italiani. I miei commenti, quando proprio non ho resistito, li ho messi in parentesi quadre [ ... ].

Da "La Repubblica" del 7/02/2009
Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale sulla recessione italiana sono più pessimistiche di quelle della Commissione Europea e della Banca d'Italia. Anzi, gli stessi analisti di Washington definiscono "tetre" le prospettive economiche dell'Italia, ritenendo che nel migliore dei casi si avrà "un'eventuale ripresa debole e lenta".

Cosa fare per evitare il peggio? Secondo il FMI l'Italia deve continuare sulla strada delle liberalizzazioni del mercato del lavoro, dove è necessaria una riforma di "seconda generazione". Servono "riforme ampie al fine di evitare ulteriori interventi parziali che esacerberebbero le iniquità già esistenti".

[Notare come persino da Washington siano chiare le INIQUITA' GIA' ESISTENTI sul mercato del lavoro italiano. Solo a Roma maggioranza ed opposizione non le vedono. Ma facciamo un passo indietro.
Il professore della Bocconi ed editorialista del Corriere della Sera Francesco Giavazzi, in un suo articolo del 26 Agosto 2007, scriveva -- a proposito del precariato --] che, il maggior ostacolo che i giovani precari (ma anche molti purtroppo non più giovani) hanno di fronte a sé è la rigidità dei contratti a tempo indeterminato, in particolare il fatto che licenziare un lavoratore con un posto fisso è spesso impossibile.

I motivi dell'azienda possono essere i più ragionevoli, ma se il lavoratore si rivolge a un giudice il più delle volte questi ne ordina il reinserimento nel posto di lavoro.

Per evitare questo rischio, le aziende (sia private che pubbliche) tendono a offrire contratti a tempo determinato.
E quando questi scadono, abbandonano il lavoratore e lo sostituiscono con un altro precario.
L'assunzione a tempo indeterminato è troppo rischiosa per il datore di lavoro e così i precari rimangono tali per sempre.

[Aggiungo io, che non saro' Giavazzi ma ogni tanto qualcosa di sensato la dico, che - nonostante le mille promesse elettorali di Centrodestra e Centrosinistra - non esiste ad oggi alcun incentivo di carattere fiscale per le imprese ad assumere a tempo indeterminato: anzi, con l'eccezione del lavoro interinale, un lavoratore a tempo indeterminato ha un costo aziendale superiore rispetto a quello di un precario, per il quale l'azienda e' tenuta a versare meno contributi. Morale: il precario e' piu' asservito e costa anche meno...!].

Oggi, scriveva Giavazzi nel 2007, in Italia il 15% dei lavoratori (oltre 3,7 milioni) è precario.
Questa cifra include sia coloro che hanno un lavoro a tempo determinato sia coloro che lo hanno avuto, l'hanno perduto e ne cercano uno nuovo: un precario su quattro sta cercando un altro posto di lavoro precario.

Invece di pensare in modo nuovo ai problemi di un mercato del lavoro profondamente trasformato, i sindacati continuano a porre una condizione irrinunciabile: tutti i precari vengano regolarizzati, cioè diventino lavoratori permanenti.
In questo modo si ritornerebbe semplicemente al sistema in vigore prima dei pacchetti Treu e Biagi, quando c'era un solo tipo di contratto, quello a tempo indeterminato: l'effetto sarebbe di riportare la disoccupazione oltre il 10%, come accadeva prima dell'introduzione dei contratti a tempo determinato, quando il mercato rispondeva alla mancanza di flessibilita' con il lavoro nero.

Da quando in Europa (in particolare in Italia, Spagna e Francia) si è avuta una liberalizzazione del mercato del lavoro, l'occupazione è effettivamente salita.
[Aggiungo io, non me ne voglia Giavazzi, che si e' trattato in realta' per lo piu' di emersione del lavoro nero. Ma e' gia' qualcosa. Di questo a Centrodestra e Centrosinistra va dato atto].

Tra il 1980 e il 1995 nell'area UE furono creati solo 12 milioni di nuovi posti di lavoro, a fronte di 26 milioni negli Usa.
Ma nel decennio successivo (1996-2006), quando in Europa è stata introdotta la liberalizzazione, il numero di nuovi posti di lavoro creati è salito a 18 milioni, esattamente lo stesso dei nuovi posti creati negli Usa nel medesimo decennio.

Il problema è che la maggior parte dei nuovi occupati non riesce a uscire dalla condizione precaria.

In Europa, come ormai è noto, il modello più efficace è quello danese (il Paese con il minore numero di disoccupati nel continente): nessun vincolo ai licenziamenti (tranne in casi di evidente discriminazione del lavoratore) e forte protezione di chi è temporaneamente senza lavoro.
La Danimarca ha raggiunto questo risultato trasformando le tutele che un tempo si applicavano al posto di lavoro in tutele al lavoratore.
Per introdurre in Italia un sistema simile occorrerebbe il coraggio di rispolverare le proposte della Commissione Onofri, insediata dal primo governo Prodi nel 1996 e presto dimenticata, proprio per l'opposizione dei sindacati.

Un'altra soluzione sarebbe quella di abolire sia i contratti a tempo determinato che quelli a tempo indeterminato e sostituirli con un contratto unico che offra garanzie crescenti nel tempo: tutti precari all'inizio, ma tutti con la prospettiva di divenire dipendenti via via più stabili se il rapporto tra lavoratore e impresa funziona.
E' questo il modo per sottrarre i lavoratori precari a una situazione oggi senza via d'uscita. Ma richiede che si mettano in discussione i contratti a tempo indeterminato, un tabù per i sindacati.

E la Sinistra e' consapevole del fatto che « Senza una Cgil forte un governo di Centrosinistra non reggerebbe » come scrive sul manifesto Rossana Rossanda.
Io non so se reggerebbe: so però che i sindacati difendono — comprensibilmente dal loro punto di vista — i loro iscritti e questi non sono né i veri poveri né i lavoratori precari.

(Rio)